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Basta! Musulmani contro l'estremismo islamico Valentina Colombo (a cura di) Mondadori I mmaginate che esista un Paese in cui un intellettuale musulmano possa ringraziare Bin Laden per aver risvegliato il mondo libero, con lo choc dell'11 settembre. Un luogo inaudito, dove un giurista iraniano possa alzarsi e pretendere che si proietti nei cinema il film Submission, a causa del quale il regista Theo van Gogh è stato assassinato dagli integralisti. E ancora: uno Stato arabo in cui un giornalista possa scrivere un articolo in difesa delle famose vignette blasfeme pubblicate da un giornale danese, perché hanno costretto il mondo musulmano a riflettere su se stesso, aiutando indirettamente la causa dei riformisti. In quello stesso, fantastico Paese una giornalista tunisina potrebbe invocare l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei Diritti dell'uomo in favore del «vignettista satanico» e della sua libertà d'espressione, e poi magari aggiungere che nel mondo si deve lasciare uno spazio anche alla futilità se si vuole far crescere la fede. Come se non bastasse, nel mondo che state immaginando potrebbe vivere un insegnante arabo pronto a teorizzare il «self Islam», cioè una religione musulmana a misura di individuo e non di comunità, creata liberamente attraverso un «bricolage» di fede, etica, usanze spesso condivise con gli occidentali. Figuratevi, al suo fianco, un poeta marocchino che invoca un «Islam dai colori italiani», mentre la figlia di un combattente arabo ucciso dai soldati di Tel Aviv denuncia le scuole palestinesi che insegnano ai bambini l'odio nei confronti di Israele. Ed ecco una ricercatrice universitaria yemenita condannare la campagna del terrore condotta dai Fratelli musulmani nei loro testi scolastici e nei loro siti web, ricordando che le lagrime di un qualsiasi ebreo valgono quelle di un credente in Maometto. E infine toccherebbe a Magdi Allam rovesciare sugli integralisti le accuse di blasfemia che siamo soliti sentir pronunciare — senza contraddittorio — nei proclami islamisti. Blasfemi, ribatte Allam, sono quelli che, nel nome di organizzazioni politiche o religiose, accostano al Corano i simboli della bomba o del kalashnikov. Il mondo che stiamo descrivendo sarebbe tollerante verso tutte le religioni, ma esiste davvero? I mitici intellettuali moderati e pacifici del mondo musulmano, sempre invocati e mai individuati con certezza, si trovano realmente fra noi? La risposta viene da Basta!, musulmani contro l'estremismo islamico, l'antologia curata della ricercatrice Valentina Colombo: sì, quel Paese esiste, e non è fantascienza. Tutto quello che abbiamo pensato finora del mondo musulmano era probabilmente sbagliato, o per lo meno visto da una prospettiva falsata. La jihad proclamata dagli islamisti, questi eredi dei totalitarismi novecenteschi nazista e comunista, non è diretta soltanto contro l'Occidente. Lo è anche, e forse soprattutto, contro i musulmani e le musulmane che hanno scelto la libertà di pensiero, ispirandosi alla gloriosa scuola islamica mu'tazilita dell'VIII secolo. E, per favore, — raccomanda Valentina Colombo nella sua introduzione — non parliamo più di «moderati», termine ambiguo dietro al quale può anche nascondersi l'arte della taqyya, la dissimulazione che insegna a negare pubblicamente quel che si prescrive segretamente ai compagni di fede, l'odio per l'infedele e l'apologia del terrorismo. Chiamateli invece musulmani liberali, cioè pensatori convinti che il valore della libertà sia il fondamento di tutti gli altri, il collettivismo degli Stati arabi vada combattuto, e il Corano oltre ad essere parola di Dio sia anche opera umana, dunque interpretabile alla luce del progresso e della civiltà planetaria. Rimane qualche dubbio circa la identificazione di questi «liberali»? Bene, per smascherare i finti «moderati» si può utilizzare un semplice test, vagamente simile a quelli introdotti di recente in Germania e Olanda per ottenere la cittadinanza: alcune decine di domande che riguardano la condanna del terrorismo kamikaze e della jihad in genere, il riconoscimento dei diritti delle donne e quelli di chi professa altri credo, la legittimità di ogni tipo di conversione religiosa e il rapporto fra leggi laiche e sharia islamica. E infine, la pietra miliare senza la quale non si può costruire nulla: l'accettazione del diritto di Israele ad esistere. Giunti a questo punto, il mondo alieno descritto dall'antologia di Valentina Colombo, le decine di brevi testimonianze raccolte nell'universo musulmano liberale, a volte dure e ottimiste, a tratti disperate ma indomabili, smetterà di apparirci estraneo. E anche se i nomi dei tanti che parlano in nome della libertà potranno suonare anonimi alle nostre orecchie, come quelli di Shakir al-Nabulsi o Farag Foda, sarà evidente che la loro campana suona anche per noi. Ad esempio quando ci ricordano che per rispetto verso il popolo iracheno, liberato dagli americani e capace di sfidare i terroristi andando a votare, quel Paese non può essere abbandonato. O che i ricchi occidentali devono investire nell'istruzione del mondo arabo, perché è lì che si gioca il cuore della partita. Insomma, non è vero che nella notte apparentemente nera del mondo islamico, tutto sia uguale. Basta adattare lo sguardo alla luce, e si vedono apparire i profili degli spiriti liberi. Dario Fertilio dal CORRIERE della SERA del 25 febbraio 2007: Quando, di pari passo con la religione del dialogo, procede l'avanzata dell'ultrafondamentalismo, occorre interrogarsi seriamente sulla natura e gli scopi degli incontri destinati a chiudersi come un corto circuito tra ristrette cerchie di intellettuali. È questa la prima amara lezione che si ricava dopo che, all'istituto orientale di Napoli, una strana miscela di studiosi e militanti dei Fratelli musulmani ha dato vita tra il 23 e il 24 febbraio a un convegno dal titolo e dall'obiettivo tanto altisonanti quanto improbabili: "Dare voce all'Islam democratico: garantire pace e sicurezza nello spazio euro-mediterraneo". Accanto alla legittima domanda su quante illusioni ci sia ancora moralmente consentito nutrire in Occidente di fronte all'addomesticabilità del fondamentalismo, convivono anche alcuni altrettanto legittimi dubbi sui tentativi di raccogliere sotto un'unica etichetta gli "Arabi invisibili", protagonisti del volume di Paola Caridi, sottotitolato "Catalogo ragionato degli arabi che non conosciamo. Quelli che non fanno i terroristi". Spesso, una sorta di sedativo wishful thinking fa sovrapporre il musulmano che vorremmo, modernista, laicista, occidentalizzato, con il musulmano reale, naturalmente più sensibile ai richiami identitari che a un relativismo che tende a privare i suoi aderenti di qualsiasi punto di riferimento culturale e valoriale. Espongo tutte queste perplessità a Valentina Colombo che, oltre ad aver pubblicato nel passato due preziose antologie di scrittori arabi, è curatrice di un'importante raccolta: "Basta! Musulmani contro l'estremismo islamico", appena uscita da Mondadori. Alla ricerca dei laici Il senso dell'operazione, non esclusivamente editoriale, è «rispondere al quesito su dove siano i laici musulmani», risponde. Non dunque inventare una categoria, quanto scovarne le tracce, anche flebili. «I personaggi della mia antologia sono spesso sconosciuti», ammette. Ma ciò non toglie che siano «tutti da far uscire dalla solitudine, da far incontrare fra loro. Devono sapere che qualcuno crede in loro». Scorrendo i nomi degli autori, emergono personalità molto distanti e forse anche inconciliabili. Da un lato Nasr Hamid Abu Zaid, già docente universitario al Cairo e ora esule nei Paesi Bassi dopo essere stato dichiarato "apostata" e conseguentemente "divorziato d'ufficio" dalla propria moglie per decisione delle autorità egiziane. Tradotto anche in italiano, sconta la sua propensione alla tolleranza nella terra d'origine dei Fratelli Musulmani con una rilevanza che gli riconosce soltanto un ristretto ambiente di intellettuali europei. Gli è andata, tutto sommato, molto meglio che ad Ayaan Hirsi Ali, la ex deputata olandese di origine somala e già collaboratrice del regista Theo van Gogh, divenuta prima obiettivo dei terroristi islamici e poi caduta vittima del sistema "politicamente corretto" e ora rifugiata negli Stati Uniti. Una vita da carcerati Ed è proprio verso l'America che anche Valentina Colombo dirige i suoi sforzi nel tentativo di creare il network dei "musulmani contro l'estremismo islamico". A partire da un convegno, che si svolgerà il 4 e 5 marzo prossimi a St. Petersburg, in Florida, il Secular Islam Summit. Del resto, chi sceglie di rimanere nel proprio Paese a combattere il fondamentalismo, sa che la sfida, con tutta probabilità, se non lo condannerà a essere ucciso, come il giornalista libanese Samir Kassir, lo porterà almeno a condividere la sorte dell'ex giudice Muhammad Said al-Ashmawi, anch'egl"i presente nella raccolta con "L'islam politico si è allontanato dall'islam puro". Il titolo è anche la più perfetta sintesi del suo pensiero. Non ha mai rinunciato a esprimerlo e conseguentemente, da ventisette anni, vive blindato nell'isola di Zamalek, quartiere centrale del Cairo, senza potersi nemmeno affacciare alla finestra. Anzi, dieci anni fa, in occasione di un'intervista concessa a chi scrive e poi pubblicata da Aiuto alla Chiesa che Soffre in "La libertà religiosa nei Paesi a maggioranza islamica. Rapporto 1998", oltre ad essere protetto da una scorta di tre uomini armati, al-Ashmawi viveva in un ambiente dove «pesanti tende di velluto coprono le finestre per evitare che insieme al sole possano entrare le pallottole dei fondamentalisti musulmani che vorrebbero sbarazzarsi della sua scomoda presenza». Il riconoscimento di Israele È proprio questa vita da sorvegliati speciali a far sorgere i dubbi più radicali sulla effettiva rappresentatività di questo islam non radicale. Eppure, è in questo coraggio di non cedere che si ritrova la garanzia dell'esistenza di un'alternativa alla strategia del "cedere per non perdere". Una possibilità e una speranza ci sono. Gli esempi non mancano, pur essendo disorganizzati e difficilmente organizzabili. Ma si intrecciano generazioni e formazioni culturali diverse, a testimonianza che non è la ricerca dell'omogeneità il filo conduttore dei loro contributi, raggruppati nel volume in quattro aree: "Libertà di pensare e di credere", "Libertà, democrazia e laicità", "Libertà è donna", "Terrorismo, e islam politico, nemici della libertà". Piuttosto, si trovano un limite in negativo e uno in positivo che li accomuna, cioè il rifiuto del terrorismo e il riconoscimento di Israele. Questi gli spartiacque dichiarati anche nell'ultima sezione dei Documenti, dichiarazioni e manifesti di musulmani che rifiutano la contrapposizione all'Occidente. E non per questo sono "servi dell'imperialismo sionista-americano", ma soltanto uomini di pace che gridano nel deserto. Finché qualcuno deciderà di ascoltarli |
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