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La Stampa Rassegna Stampa
24.02.2007 Ecco come (s)ragiona chi passa troppo tempo al "tavolo della pace"
succede a Stefano Allievi dell'Università di Padova

Testata: La Stampa
Data: 24 febbraio 2007
Pagina: 37
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Io condannato per aver criticato un islamico»

Se litigassero solo fra di loro, non ci preoccuperemmo più di tanto. Stefano Allievi, docente all'Università di Padova e scrittore, è stato infatti denunciato da quel Adel Smith, ben noto per le sue comparsate televisive, per diffamazione. La cronaca è sulla STAMPA di oggi 24/02/2007 a pag.37. Quel che ci preoccupa sono invece le posizioni del prof. condannato per diffamazione. Ci saremmo aspettati uno strenuo difensore dei valori democratici contro il fondamentalismo dello Smith. Dalle sue dichiarazioni ne esce invece un personaggio affine ai vari Tariq Ramadan o Rached Ghannouchi, da lui presentati come campioni del dialogo. Si augurano la scomparsa di Israele ? Amano il dialogo, così li definisce l'esimio prof.di Padova ! E così ne riporta le dichiarazioni la cronista della STAMPA, Farian Sabahi, la cui attitudine verso le posizioni del fondamentaliscono islamico i nostri lettori conoscono bene. Ecco l'articolo:

«Sono sorpreso per la condanna e farò appello. Da vent’anni mi occupo di questioni islamiche e ho sempre favorito una visione pluralistica dell’islam e dei musulmani», dice il sociologo Stefano Allievi dell’Università di Padova, condannato dal giudice monocratico del Tribunale di Mondovì, Simonetta Boccaccio, a sei mesi di reclusione per diffamazione aggravata a mezzo stampa ai danni di Adel Smith, presidente dell’Unione musulmani italiani, un movimento poco rappresentativo di cui Allievi ha scritto nel saggio Islam italiano pubblicato da Einaudi.
Lei non è noto come diffamatore dell’Islam ma, piuttosto, come promotore di diverse iniziative per dar voce ai musulmani, anche al controverso Tariq Ramadan. Come concilia queste accuse contrapposte?
«Essere attaccato da più parti depone a favore della mia onestà intellettuale. In questi anni è diventato più complicato discutere di tematiche legate alla religione e in particolare all’Islam ma anche all’ebraismo, come è emerso dal caso Ariel Toaff. In Italia pregiudizi e isterie dominano la pubblica opinione. Ma un Paese democratico ha il dovere di lasciar parlare le persone, anche se si chiamano Tariq Ramadan o Rached Ghannouchi».
Lei è a Napoli al seminario «Dare voce ai musulmani democratici» proprio con Ghannouchi, il leader del partito islamico tunisino fuorilegge «Al Nahda», accusato da Magdi Allam di «predicare la distruzione di Israele, perseguire l’uccisione dei governanti musulmani, legittimare il terrorismo». Come hanno reagito i partecipanti alla sentenza?
«Hanno sottoscritto una dichiarazione di solidarietà nei miei confronti. Tra i firmatari vi sono i colleghi universitari e quattro membri, di diverse tendenze, della Consulta sull’islam italiano del Ministero degli Interni».
Fin dove si può spingere la libertà di espressione?
«È tra i risultati più grandi dell’Occidente e, per questo motivo, molti musulmani ci invidiano. Sono quindi contrario a condannare i reati d’opinione. Sono autore di un libro critico nei confronti di Oriana Fallaci ma, nonostante questo, ho preso le sue difese quando è stata processata per reato d’opinione. Limitare la libertà d’espressione è grave in principio e sbagliato in termini di realpolitik. Dobbiamo dare la parola a tutti, anche se l’Occidente tende troppo spesso a costruire interlocutori a sua immagine e somiglianza ma non rappresentativi, quindi non in grado di influenzare la comunità islamica. In altri termini, dobbiamo dare voce a quei leader religiosi che sanno parlare ai musulmani praticanti».
Si riferisce a Ghannouchi?
«Sì, a Ghannouchi ma anche a Ramadan. Sono loro ad affascinare i giovani musulmani e a indirizzarli alla democrazia. Se non fosse per i riferimenti all’Islam, il discorso di Ghannouchi a Napoli potrebbe essere firmato da Thomas Jefferson: non c’era nulla di anti-occidentale. Non ha senso demonizzarli e non dobbiamo impedire loro di parlare. Ghannouchi non può rientrare in Tunisia e ha lo status di rifugiato in Gran Bretagna. Non dimentichiamo che nel ‘73, durante il regime di Pinochet, l’Italia aprì le porte ad attivisti e politici cileni in esilio. Ma i musulmani sono considerati una diversa categoria politica»

Invitiamo i nostri lettori a protestare con il quotidiano torinese, cliccando sulla e-mail sottostante.


lettere@lastampa.it

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