Finanziare Hamas è il vero scopo di certe campagne "umanitarie" ?
Testata: Il Manifesto Data: 23 febbraio 2007 Pagina: 9 Autore: Michelangelo Cocco Titolo: ««La fame in Palestina effetto delle sanzioni»»
"Fame" in Palestina effetto delle sanzioni, annuncia il MANIFESTO del 23 febbraio. In realtà, nei territori palestinesi la fame non c'è. "Difficoltà" a procurarsi il cibo, necessità di vendere terreni o beni di proprietà, aumento delle attività assistenziali, non configurano una crisi umanitaria. Come quelle, per esempio, del Darfur o della Corea del Nord. Detto questo, è indubbio che i palestinesi si trovino in una situazione difficile. Ma ciò non è dovuto alle sanzioni. E' dovuto al fatto che Arafat ha costruito, con gli aiuti internazionali, un sistema assistenzialistico e clientelare, che ha depresso le attività produttive e ha alimentato un ceto di funzionari (per lo più armati) che per la sopravvivenza dipende dagli aiuti esterni. E dipende dal fatto che i palestinesi hanno consegnato la vittoria elettorale a un partito terrorista, che vuole la distruzione di Israele e un genocidio antiebraico: Hamas. Secondo Cocco Israele e la comunità internazionale dovrebbero comunque finanziare questo governo. I morti, ebrei e palestinesi che ne deriverebbero, non contano.
Ecco il testo:
La signora Layla Abu Nofal non poteva scegliere un momento peggiore per mettere al mondo cinque gemelli, quattro maschietti e una femminuccia. Anche se Abu Nofal, il 28enne marito della donna protagonista l'altro ieri del parto record nell'ospedale Al-Shifa di Gaza, è da considerare - con il suo stipendio da poliziotto di 470 dollari al mese - un privilegiato, il disastro economico della Striscia e dei Territori occupati, con cinque bocche in più da sfamare, metterà in crisi anche i Nofal. Il boicottaggio - israeliano ed europeo anzitutto - dell'ex governo guidato dagli islamisti di Hamas sta portando al collasso l'Autorità nazionale palestinese e impoverendo sempre più la popolazione palestinese. Un rapporto pubblicato ieri dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) traccia un quadro drammatico: nel 2006 il 46% dei palestinesi ha avuto difficoltà o non è riuscita a procurarsi il cibo di cui aveva quotidianamente bisogno, un balzo di oltre dieci punti, dal 35% del 2004. Secondo il rapporto dell'Agenzia dell'Onu, molte persone che non erano in grado di procurarsi da mangiare sono state costrette a vendere terreni o esaurire tutti i risparmi pur di sfamare le proprie famiglie. Il Pam dichiara di aver aumentato del 25% le proprie attività assistenziali nell'ultimo anno: il mese prossimo i non rifugiati assistiti dall'Agenzia passeranno da 480mila a 600mila. «Molta gente vive soltanto di pane e della verdura più economica, generalmente avanzi acquistati nei mercati a fine giornata» ha dichiarato Arnold Vercken, direttore del Pam per i Territori occupati. A pesare - su una situazione già difficile a causa dell'occupazione militare israeliana che da quasi 40 anni rende gli occupati dipendenti dagli occupanti - è secondo il Pam «il mancato pagamento degli stipendi di 150mila dipendenti pubblici, che colpisce indirettamente un milione di persone, e le chiusure più frequenti imposte da Israele a causa delle misure di sicurezza sempre più strette». Soltanto l'altro ieri il ministro delle finanze dell'Anp, Samir Abu Eisheh, aveva certificato un debito di 655 milioni di dollari. Il bilancio dell'Autorità, ha spiegato il ministro, per il 2006 e stato di un miliardo di dollari, il 75% frutto degli aiuti provenienti dall'estero. «Il deficit, 450milioni di euro, è causato dal blocco delle tasse raccolte da Israele per conto dell'Autorità nazionale palestinese, che ammontano a 660milioni di dollari», ha detto in conferenza stampa a Ramallah Abu Eisheh. E oggi il presidente Abu Mazen incontrerà a Bruxelles il responsabile della politica estera dell'Unione europea, Javier Solana. L'Ue, che un tempo era il principale donatore (con 500milioni di euro annui) dell'Anp, ha recentemente messo su un meccanismo, denominato «Tim», per far arrivare parte degli aiuti - sospesi dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006 - bypassando il governo islamista. Un provvedimento che allevia minimamente le sofferenze della popolazione. L'Europa, che pure sta spingendo per la nascita di un governo di unità nazionale in cui Hamas non la faccia da padrona, non parla con una voce sola: ai più favorevoli a una ripresa di dialogo col nuovo governo, come Norvegia e Francia, si oppone la Gran Bretagna, che in Medio Oriente persegue una politica estera simile a quella statunitense. Abu Mazen, dopo l'incontro con il segretario di stato Usa Rice e il premier israeliano Olmert, ha perso la speranza di ottenere qualcosa dall'Amministrazione Usa e punterà tutto sull'Ue, che nella riunione dell'altro ieri del Quartetetto (Usa, Ue, Russia, Onu) non ha chiuso le porte in faccia al futuro esecutivo.
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