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Il Foglio Rassegna Stampa
23.02.2007 Matthew Kaminski ricorda Daniel Pearl
Giulio Meotti intervista il direttore dell'edizione europea del Wall Street Journal

Testata: Il Foglio
Data: 23 febbraio 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «E’ giusto combattere in Iraq? La risposta si chiama Daniel Pearl»
Dal FOGLIO del 23 febbraio 2007

Roma. Ieri il Wall Street Journal parlava della “spanish connection”, l’abbraccio strategico-ideologico fra la cellula che ha insanguinato Madrid nel 2004, contro la quale si è aperto il processo, e quella di Mohammed Atta che si è abbattuta sulle Twin Towers. Matthew Kaminski, che dirige l’edizione europea del Journal, parla anche della “Daniel Pearl connection”. Così come Madrid è legata a New York, l’assassinio rituale del giornalista americano a Islamabad è legato all’11 settembre e alle bombe di Londra del 2005. Nei giorni scorsi sono usciti alcuni ricordi di Daniel Pearl, ucciso cinque anni fa a Islamabad. “Un grande amico e collega è stato decapitato da chi ha portato la morte a New York, Londra, Bali e Madrid”, racconta Kaminski al Foglio. “Mi rattrista molto pensare a Danny e a sua moglie incinta, che in Pakistan ne supplicava il rilascio. Ho conosciuto Daniel Pearl negli anni Novanta, lavorava nell’ufficio di Parigi e seguiva il medio oriente e i Balcani. Danny era un corrispondente meraviglioso, un iconoclasta che amava mettere in discussione la versione ufficiale degli eventi. Era un grande raccontatore di storie, nel suo lavoro esercitava una grande onestà intellettuale. Era un osservatore indipendente e apolitico”. Il suo assassino, Khalid Sheikh Mohammed, è lo stratega di al Qaida che ha partecipato all’11 settembre e alle bombe di Bali. Lo ha sgozzato come si fa con agnelli, capre e montoni nella Id al Adha, la festa islamica che segna la fine del pellegrinaggio alla Mecca. “Un complice, Ahmed Omar Saeed Sheikh, era un figlio dell’Inghilterra con un curriculum da London School of Economics. Come la maggior parte dei nuovi terroristi islamici, l’omicida di Daniel Pearl era integrato e benestante”. E’ la generazione dei terroristi nati in Europa, “homegrown”, vipere cresciute nel ventre caldo del vecchio continente. “Da loro verranno i futuri attacchi all’Europa. Sono musulmani privilegiati, gente colta e ricca. Così è avvenuto a Madrid, Londra e New York. E’ il nemico che ci conosce molto bene, persino meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Prima di Danny, ci sono state le vittime israeliane di Monaco ’72. E dopo Daniel Pearl, c’è stato un uomo di nome Nick Berg. Le immagini degli ostaggi occidentali decapitati sono la migliore riposta al perché dobbiamo restare in Iraq. Pearl e Berg sono, purtroppo, la risposta alla domanda: contro chi combattiamo in Iraq?”. A Parigi, un anno fa, Ilan Halimi veniva ucciso al grido di “ho ucciso il mio ebreo”. “E vent’anni fa i terroristi mettevano una bomba in un ristorante kosher. Nel caso Halimi non abbiamo visto alcun video, ma le descrizioni delle torture ricordano l’uccisione di Danny. Al Qaida sta vincendo questa guerra delle immagini, pensiamo ai lavoratori delle Twin Towers che saltarono dalle torri in fiamme. Gli assassini di Danny leggevano i quotidiani occidentali e guardavano la Cnn. La mia reazione alla sua morte era legata a quella frase, ‘sono ebreo’. Poi ho capito che Danny era una delle migliaia di vittime delle Twin Towers. Viveva, come loro, nel mondo libero e credeva nella democrazia occidentale. Era un uomo libero ucciso da chi odia la libertà e sta cercando di negarcela, compresa quella di pensare. Non sappiamo se Danny sia stato ucciso perché ebreo, perché americano o perché era il corrispondente del giornale della guerra al terrorismo islamico. Il video della sua esecuzione è servito come benzina in medio oriente e per reclutare jihadisti antisemiti. Hanno pensato, ‘anch’io voglio essere un assassino di ebrei’. Ma al Qaida non discrimina fra ebrei e cristiani, ha ucciso più musulmani che ‘infedeli’”. Siamo tutti obiettivi di guerra: “Lei vive a Roma e io a Parigi, nessuno è immune da questo odio qaidista. Così come un jihadista inglese lasciò Londra per andare in Pakistan a uccidere Danny, migliaia di islamisti giordani, palestinesi, egiziani e marocchini sono andati a portare la morte in Iraq”. Matthew Kaminski scandisce di continuo il colloquio con la frase: “Dobbiamo finire il lavoro in Iraq”. “Sebbene Nancy Pelosi pensi sia tutto concluso. La morte di Pearl è parte della guerra terroristica all’occidente. Per la nostra sicurezza e la nostra libertà, è necessario che il medio oriente sia democratico. E’ difficile tuttavia essere ottimisti sull’Iraq oggi, sarebbe stupido. Ci sono due lezioni: non è una guerra finita e nessuno può andarsene senza pensare al costo del fallimento occidentale nella regione. E’ una guerra diversa a seconda che sia vista da Washington e da dove mi trovo, Parigi. In Francia nessuno parla di Iraq, è molto divertente perché nella campagna presidenziale nessun candidato ne fa cenno, come se non esistesse il problema. Spero in Nicolas Sarkozy, l’unico che possa tornare a stabilire rapporti forti fra Parigi e Washington. Sarzozy è l’anti Chirac, Chirac è l’anti America, noi stiamo con Sarkozy. Il problema politico più grande è che dopo l’Iraq, a causa del suo costo altissimo, sarà molto più difficile per gli Stati Uniti uscire dai propri confini per dichiarare guerra ai suoi nemici”.

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