|
|
||
Il settimo pozzo Fred WanderTraduzione dal tedesco di Ada vigliani
Einaudi Euro 11,00
Fred Wander (come Wanderer: viandante) è il nome d’arte dell’ebreo viennese Fritz Rosenblatt (1917-2006), che si considerava una sorta di reincarnazione dell’Ebreo Errante. Figlio di un commesso viaggiatore, Fritz lascia la scuola a quattordici anni. “Prima di finire in un campo di concentramento – racconta nelle sue memorie, intitolate Das gute Leben (La buona vita) – sono stato per cinque anni un vagabondo. Andavo in giro per l’Europa, a piedi, in autostop, facendo lavori occasionali”.Ad Amsterdam fa “il decoratore di vetrine”, a Parigi “il pittore d’insegne”. E’ un autodidatta: “Chi cerca libri li trova dappertutto, persino nelle abitazioni dei profughi”.
Poi la neutrale Svizzera lo consegna, in manette, alla polizia francese, che a sua volta lo consegnerà agli occupanti tedeschi. Passerà per molti Lager, da quello di Perpignano, nella Francia meridionale, ad Auschwitz e Buchenwald. Sopravvive. Ma dopo la liberazione scoprirà che tutti i suoi parenti sono morti.
Ritorna a Vienna, assume il nome di Fred Wander, fa il giornalista, scrive un libro per bambini, si sposa, entra nel Partito Comunista. Nel 1955, con la seconda moglie si trasferisce nella Repubblica democratica tedesca (che lascerà nei primi anni 80). Nel 1968 Kitty, la figlia di undici anni, muore in un incidente. Quel dolore è la spinta irresistibile che fa riaffiorare le memorie della prigionia, i tanti volti, ognuno diverso da tutti gli altri, del mondo ebraico europeo cancellato per sempre.
Wander decide di farli rivivere e scrive Der Siebente Brunnen (“La settima fonte” o “Il settimo pozzo”), che esce nel 1970. In quel libro sta scritto: “E’ possibile capire la sofferenza degli altri. Ma nessuno riesce a capire il proprio dolore”.
Non è un libro di memorie, è un capolavoro narrativo. Ogni compagno di prigionia – quasi nessuno si salverà – ha un volto e una voce inconfondibile, parla in prima persona.Solo la voce narrante è anonima, come un registratore o un apparecchio fotografico (Wander fu anche fotografo). Ogni volto, ogni voce porta con sé un mondo. Un mondo di bellezza perduta: la comunità, la famiglia, il cibo, la preghiera, l’amore, l’amicizia, il lavoro, “l’odore delle vecchie città”, “il bosco di Vincennes”, “il vento caldo nella macchia mediterranea”. “Di che cosa vive l’uomo?” si domanda la voce narrante. L’uomo vive della bellezza perduta, che nel mondo esiste ancora, a dispetto del Lager.
L’orrore, le mogli e i figli avviati alle camere a gas all’arrivo del treno, la fatica, le piaghe, i mille episodi di sadismo quotidiano, nulla è taciuto ma tutto è descritto senza odio. Non l’ottusità degli aguzzini campeggia ma l’indomabile vitalità delle vittime, che sanno strappare alla sofferenza e alla morte tante piccole gioie quotidiane: un blues suonato con le dita da un ragazzo viennese su un asse di legno, il boccone di pane assaporato lentamente che “lascia sciogliere sulla lingua il sapore del sole”, l’orgoglio del grande sarto olandese De Groot dalla scelta clientela, le accanite discussioni letterarie (è meglio Madame de Renal, da Il rosso e il nero, o Madame Bovary?), il colore del cielo, i versi declamati di Baudelaire e la canzone intonata con bella voce tenorile da un italiano che sta morendo. Gioia, bellezza sono parole ricorrenti.
Morirà anche Mendel Teichmann, il saggio che sa “come si racconta una storia”. “Che cosa diceva il grande Rabbi Low di Praga? Il settimo pozzo laverà via ciò che hai accumulato. Resterai nudo, come appena uscito dal grembo di tua madre. La maledizione che grava su di noi è come l’acqua del settimo pozzo”. Dodici capitoletti, 140 pagine di piccolo formato che leggiamo finalmente in italiano nell’ottima traduzione di Ada Vigliani: un libro immenso, da imparare a memoria.
Andrea Casalegno
Il Sole 24 ore |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |