Dunque Ariel Toaff ha ritirato il suo libro sugli omicidi rituali di bambini cristiani da parte degli ebrei. È una vicenda che impone un primo bilancio. È stata commessa una gran quantità di errori imperdonabili. Un soggetto delicato come questo – da maneggiare come la nitroglicerina – doveva essere trattato da uno storico specialista dell’argomento, tenendo conto delle ricerche precedenti e guardandosi bene dall’accreditare (persino nel titolo) revisioni clamorose, ove non vi fossero serie pezze d’appoggio. È sembrato che tali documenti esistessero, a giudicare dall’entusiasmo con cui Sergio Luzzatto ha presentato il libro sul Corriere della Sera. Era curioso che un tema del genere venisse trattato non da uno storico del medioevo ma da uno storico dell’epoca moderna, per giunta noto per la propensione allo scandalismo storiografico. Tuttavia, la sicurezza con cui Luzzatto accreditava la serietà del libro lasciava interdetti. Non meno sorprendenti sono stati i titoli urlati del Corriere della Sera, in cui campeggiava un “sangue” scritto a rosse lettere cubitali. Un altro grave errore è stato quello di chi si è affrettato a condannare il libro per ragioni di principio o di opportunità senza neppure leggerlo. Questo non si deve fare mai, per nessun motivo. Bisognava aspettare i giudizi degli storici professionisti. Questi giudizi sono stati drastici e unanimi: un’autentica demolizione del libro. A tanto ci si doveva attenere anziché dare a Toaff l’opportunità di atteggiarsi a vittima, con toni di pessimo gusto dato l’argomento («mi stanno crocefiggendo»). È una vicenda da cui è uscito malissimo Toaff, e in cui hanno fatto una brutta figura Sergio Luzzatto, il Corriere della Sera e chi ha protestato a priori. Da comune lettore, non specialista, mi hanno colpito queste frasi di Toaff: «A proposito delle torture è bene ricordare che, almeno dagli inizi del Duecento, nei comuni dell'Italia settentrionale il loro uso era disciplinato non solo dai trattati, ma anche dagli statuti. Come strumento per l’accertamento della verità, la tortura era ammessa in presenza di indizi gravi e fondati […]. Successivamente le confessioni estorte in questo modo per essere ritenute valide andavano confermate dall’inquisito in condizioni di normalità, cioè non sotto la costrizione del dolore o della minaccia dei tormenti. Queste procedure, se pur inaccettabili oggi ai nostri occhi, erano quindi di fatto normali…». Un libro basato su una simile premessa di metodo è fradicio dalle fondamenta. È già aberrante l’idea che la tortura, se regolamentata, sia uno strumento legittimo e attendibile di formazione della prova. Ma è incredibile l’affermazione secondo cui le confessioni così estorte divenivano valide se confermate dall’inquisito in “condizioni di normalità”. Figuratevi in che condizioni di “normalità” sareste dopo che vi hanno cavato gli occhi, schiacciato le dita e stirato la colonna vertebrale, sapendo che potrebbero ricominciare anche se, al momento, non lo minacciano. Inutile dire che se si attribuisce una simile affidabilità alle confessioni estorte sotto tortura, basta leggere gli atti del processo e prenderli per buoni… Un bel metodo storiografico, non c’è che dire. La faccenda è chiusa ma ha messo in scena un insieme di comportamenti poco responsabili che hanno prodotto inutilmente molti guasti. Bastava navigare sul web per constatare quanto fango sia stato smosso. Lo ha constatato chi si è visto arrivare messaggi del tipo «ebreo succhiatore di sangue» e «assassino di bimbi cristiani». E tutto ciò passando a scarpe chiodate sulla verità pur di ottenere successo.