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Giorgio Israel
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Bilancio del caso Ariel Toaff 22/02/2007
Dunque Ariel Toaff ha ritirato il suo libro sugli omicidi rituali di
bambini cristiani da parte degli ebrei. È una vicenda che impone un
primo bilancio. È stata commessa una gran quantità di errori
imperdonabili. Un soggetto delicato come questo – da maneggiare come
la nitroglicerina – doveva essere trattato da uno storico specialista
dell’argomento, tenendo conto delle ricerche precedenti e guardandosi
bene dall’accreditare (persino nel titolo) revisioni clamorose, ove
non vi fossero serie pezze d’appoggio. È sembrato che tali documenti
esistessero, a giudicare dall’entusiasmo con cui Sergio Luzzatto ha
presentato il libro sul Corriere della Sera. Era curioso che un tema
del genere venisse trattato non da uno storico del medioevo ma da uno
storico dell’epoca moderna, per giunta noto per la propensione allo
scandalismo storiografico. Tuttavia, la sicurezza con cui Luzzatto
accreditava la serietà del libro lasciava interdetti. Non meno
sorprendenti sono stati i titoli urlati del Corriere della Sera, in
cui campeggiava un “sangue” scritto a rosse lettere cubitali. Un
altro grave errore è stato quello di chi si è affrettato a condannare
il libro per ragioni di principio o di opportunità senza neppure
leggerlo. Questo non si deve fare mai, per nessun motivo. Bisognava
aspettare i giudizi degli storici professionisti. Questi giudizi sono
stati drastici e unanimi: un’autentica demolizione del libro. A tanto
ci si doveva attenere anziché dare a Toaff l’opportunità di
atteggiarsi a vittima, con toni di pessimo gusto dato l’argomento
(«mi stanno crocefiggendo»). È una vicenda da cui è uscito malissimo
Toaff, e in cui hanno fatto una brutta figura Sergio Luzzatto, il
Corriere della Sera e chi ha protestato a priori.
Da comune lettore, non specialista, mi hanno colpito queste frasi di
Toaff: «A proposito delle torture è bene ricordare che, almeno dagli
inizi del Duecento, nei comuni dell'Italia settentrionale il loro uso
era disciplinato non solo dai trattati, ma anche dagli statuti. Come
strumento per l’accertamento della verità, la tortura era ammessa in
presenza di indizi gravi e fondati […]. Successivamente le
confessioni estorte in questo modo per essere ritenute valide
andavano confermate dall’inquisito in condizioni di normalità, cioè
non sotto la costrizione del dolore o della minaccia dei tormenti.
Queste procedure, se pur inaccettabili oggi ai nostri occhi, erano
quindi di fatto normali…».
Un libro basato su una simile premessa di metodo è fradicio dalle
fondamenta. È già aberrante l’idea che la tortura, se regolamentata,
sia uno strumento legittimo e attendibile di formazione della prova.
Ma è incredibile l’affermazione secondo cui le confessioni così
estorte divenivano valide se confermate dall’inquisito in “condizioni
di normalità”. Figuratevi in che condizioni di “normalità” sareste
dopo che vi hanno cavato gli occhi, schiacciato le dita e stirato la
colonna vertebrale, sapendo che potrebbero ricominciare anche se, al
momento, non lo minacciano. Inutile dire che se si attribuisce una
simile affidabilità alle confessioni estorte sotto tortura, basta
leggere gli atti del processo e prenderli per buoni… Un bel metodo
storiografico, non c’è che dire.
La faccenda è chiusa ma ha messo in scena un insieme di comportamenti
poco responsabili che hanno prodotto inutilmente molti guasti.
Bastava navigare sul web per constatare quanto fango sia stato
smosso. Lo ha constatato chi si è visto arrivare messaggi del tipo
«ebreo succhiatore di sangue» e «assassino di bimbi cristiani». E
tutto ciò passando a scarpe chiodate sulla verità pur di ottenere
successo.

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