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La Repubblica Rassegna Stampa
20.02.2007 Condoleezza Rice non ha minimizzato la minaccia iraniana
come vuol farci credere un titolo fuorviante

Testata: La Repubblica
Data: 20 febbraio 2007
Pagina: 12
Autore: Aluf Benn
Titolo: «»
Nell'intervista rilasciata ad Aluf Benn di Haaretz, Condoleezza Rice sostiene che la situazione creata dalla minaccia iraniana all'esistenza di Israele non è paragonabile a quella che nel 1938 fu determinata da Hitler.
Perché? E' del tutto evidente dall'intervista che la differenza sta nel fatto che per la Rice la comunità internazionale può ancora prendere la decisone giusta, a differenza di quanto fece a Monaco nel 38.  Può ancora reagire alla minaccia.
Dichiara infatti la Rice: "quando si tratta di rispondere ad un comportamento aggressivo, non va mai a finire bene, ed è per questo che è importante rispondere adesso all´Iran, senza perdere tempo".

Il pensiero del Segretario di Stato americano è però totalmente stravolto dal titolo scelto per l'intervista da REPUBBLICA del 20 febbraio 2007, che la pubblica grazie ad un accordo con Haaretz: "
"Ahmadinejad minaccia Israele ma non è paragonabile a Hitler" .

In questa frase non c'è un esortazione ad affrontare la minaccia, ma il tentativo di minimizzare o sminuire la minaccia.

Ecco il testo:

GERUSALEMME - Il segretario di Stato Condoleezza Rice ha respinto ogni confronto tra il modo in cui la comunità internazionale sta affrontando il programma nucleare iraniano e la politica tenuta nel 1938 nei confronti della Germania nazista. «Le analogie storiche mi piacciono, ma non sino a questo punto», ha detto la Rice.
Possiamo essere certi che per noi israeliani questo non sia il 1938?
«Non posso pronunciarmi sul quella analogia storica, ma posso dirvi che quando la comunità internazionale non si accorda per tempo quando si tratta di rispondere ad un comportamento aggressivo, non va mai a finire bene, ed è per questo che è importante rispondere adesso all´Iran, senza perdere tempo».
È delusa da Abu Mazen?
«Aspettiamo e vediamo cosa succede con questo governo. Sono momenti difficili, ma se dovessi aspettare che arrivi un momento facile in Medioriente, credo che non riuscirei mai a salire su un aeroplano. Anche nei momenti difficili è importante trattare con quei palestinesi che accettano le condizioni del Quartetto. Mazen non solo le accetta, ma un paio di giorni fa le ha addirittura riaffermate, e io credo che questo sia il momento buono per ribadire che quel rapporto rimarrà intatto».
Venerdì scorso il presidente Bush ha parlato con Olmert. Il presidente Mazen ha solo ricevuto una visita dall´assistente al segretario di Stato, David Welch. Non le sembra un po´ poco?
«Il presidente non ha bisogno di chiamare ciascuno ogni volta, ad ogni momento. Il primo ministro e il presidente non si parlavano da molto tempo ed è stato importante riaffermare l´impegno dell´America verso i principi del Quartetto».
Abu Mazen parla in termini di "status definitivo o niente", mentre gli israeliani dicono che di Gerusalemme, dei profughi o dei confini del 1967 non se ne parla nemmeno. Come può far conciliare questo?
«Quando si hanno posizioni diverse, convocare tutti in una stanza in modo da discuterne è probabilmente una buona idea. Noi una guida l´abbiamo: abbiamo una road map, che è importante, e una delle cose che voglio dire alle parti in causa è di riaffermare e rispettare gli impegni presi reciprocamente, compresi quelli che prevedono che l´autorità palestinese smantelli le organizzazioni terroristiche e Israele smantelli gli avanposti dei coloni».
Ritiene che sia possibile giungere ad un qualsiasi compromesso su temi così scottanti, e parlare di Gerusalemme?
«Facciamo un passo alla volta. La road map copre tutti i punti che vanno risolti prima di poter creare uno stato palestinese. Ma la road map non vieta di parlare dell´obiettivo finale, anche se da ambo le parti molte condizioni devono ancora essere soddisfatte prima che lo si possa raggiungere. Il popolo palestinese potrebbe trarre giovamento dalla consapevolezza dell´esistenza di un obiettivo finale, e dal fatto che israeliani e palestinesi sono pronti a parlare di quella meta».
Se Hamas accetta i principi del Quartetto cancellerete il suo nome dalla lista dei gruppi terroristici?
«Un governo palestinese che accetti i principi del Quartetto e dica "riconosceremo il diritto di Israele ad esistere, rinunciamo alla violenza, accettiamo ogni trattato internazionale" e poi si comporti di conseguenza, sarà un governo cui gli Stati Uniti - e credo tutta la comunità internazionale - offriranno il proprio appoggio».
Molti politici israeliani dicono che la colpa sia tutta sua, per aver imposto le elezioni. Se Hamas non avesse partecipato, tutte queste complicazioni e questi problemi non esisterebbero.
«Gli Stati Uniti hanno più fiducia nel processo democratico. Sì, le elezioni hanno prodotto un risultato complicato. Forse, persino un risultato che non ci è piaciuto. Ma non rimpiango nemmeno per un attimo di aver dato al popolo palestinese un´opportunità elettorale, o di averli appoggiati nell´ottenerla. Il popolo palestinese, credo come il popolo israeliano, riconosce che si potrebbe vivere una vita normale con due stati uno accanto all´altro in libertà e pace. Sono convinta che la grande maggioranza dei palestinesi e la grande maggioranza degli israeliani desiderino esattamente questo».
copyright Haarezt - La Repubblica (traduzione di Marzia Porta)

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