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La Repubblica - Il Sole 24 Ore - Europa - Il Manifesto Rassegna Stampa
20.02.2007 Mazen-Olmert-Rice: un vertice immaginario
quello che emerge da cronache e commenti di quattro quotidiani

Testata:La Repubblica - Il Sole 24 Ore - Europa - Il Manifesto
Autore: Alberto Stabile - Ugo Tramballi - Janiki Cingoli - Michelangelo Cocco
Titolo: «Intesa sui "due Stati", ma non basta - L'illusione di un vertice inutile - Abu Mazen, per amore o per forza - «Boicotteremo la nuova Anp»

Ignorando, o negando,  il fatto che l'accordo per il governo di unità palestinese non cambia in alcun modo le posizioni di Hamas, e costituisce un successo soltanto per questa organizzazione (in proposito, vedi gli articoli di Angelo Pezzana e Fiamma Nirenstein da noi riportati a questo link), molti quotidiani del 20 febbraio denuncianoun'immotivata intransigenza  di Israele e Stati Uniti.

Di seguito, l' articolo di Alberto Stabile dalla REPUBBLICA :


Gerusalemme - «Si rivedranno presto», parola di Condoleezza Rice. Con questa vaga assicurazione e nulla più, il vertice fra Stati Uniti, Israele e Autorità palestinese, nato tra aspettative ambiziose e orizzonti inusitati, dove i protagonisti avrebbero dovuto nelle intenzioni collocare il futuro Stato palestinese, s´è risolto in un modesto pourparler senza neanche troppa pubblicità, da cui è difficile estrarre una prospettiva futura concreta.
Colpa dell´accordo della Mecca, che ha gettato la sua ombra lunga su un terzo dell´incontro, e del nascituro governo palestinese d´unità nazionale, Al Fatah-Hamas-indipendenti che ne è la germinazione diretta. Un governo che Stati Uniti e Israele ritengono geneticamente indisponibile a rispettare le tre condizioni dettate dalla comunità internazionale (riconoscimento d´Israele, accettazione degli accordi precedenti, cessazione della violenza e del terrorismo) e che, invece, il presidente dell´Autorità palestinese Abu Mazen ha difeso come il miglior esecutivo possibile nelle attuali circostanze.
Privato, così, di un qualsiasi spazio per negoziare alcunché, con l´equilibrio delle forze in campo bloccato dalla formidabile potenza dell´asse Bush-Olmert (davanti al quale la cosiddetta «strategia delle donne», i due ministri degli Esteri di Usa e Israele Rice e Livni, è letteralmente sparita) il vertice ha partorito una breve dichiarazione congiunta che potrebbe benissimo riferirsi a uno o due anni fa. I temi sfiorati sono gli immutabili temi di sempre.
«Tutti e tre - ha detto la Rice, attingendo al testo della dichiarazione - abbiamo affermato il nostro impegno nella soluzione (del conflitto) basata sui due Stati, e abbiamo concordato che uno Stato palestinese non può nascere da violenza e terrore». Naturalmente, Olmert ed Abu Mazen hanno ribadito la loro accettazione degli accordi precedenti inclusa la Road Map, il cosiddetto percorso di pace ideato da Bush, lanciato dallo stesso nella primavera del 2003, e tuttavia rivelatosi come un sentiero velleitario e impercorribile. L´alto patrocinio degli Stati Uniti nelle future tappe del dialogo, è stato sollecitato dalle due parti. Anche se non è stata fissata nessuna data per un altro vertice a tre.
La fedeltà del presidente palestinese all´idea stessa del negoziato come unico strumento per raggiungere la pace, la sua accettazione, ribadita anche in questa occasione, delle condizioni poste dalla comunità internazionale, l´avversione del terrorismo, tutto questo ha fatto sì che Abu Mazen venisse confermato nel ruolo d´interlocutore privilegiato. Ma un Abu Mazen in un certo senso dimezzato, amputato di quella capacità di manovrare messa in mostra alla Mecca, e che gli ha permesso di trovare un compromesso, dal suo punto di vista, onorevole con Hamas.
«Il primo ministro e il presidente hanno concordato di rivedersi presto», ha annunciato la Rice. «Dunque, anch´io tornerò presto». Presto, quando? Non si sa. Intanto le commissioni hanno concordato di rivedersi fra una decina di giorni per fare il punto.
Più tardi, parlando al gruppo parlamentare del suo partito, Kadima, Ehud Olmert ha spiegato che occorre «mantenere un canale di comunicazione coi palestinesi e l´unico possibile è con il presidente Abu Mazen». Attenzione, però. Nelle intenzioni del premier israeliano questo collegamento non servirà a rilanciare il negoziato o discutere le possibili soluzioni ai problemi che hanno impedito, finora, di trovare un accordo definitivo (rifugiati, Gerusalemme, confini). Al massimo, Israele tratterà con Abu Mazen «sui modi per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi». Il che potrebbe anche suonare interessante se non fosse un ritornello già sentito.
«I modi per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi» (e in particolare la riduzione delle centinaia di posti di blocco che impediscono alla gente dei Territori di muoversi persino da un villaggio all´altro, da una città all´altra) sono stati, infatti, discussi durante il vertice natalizio tra i due leader, ma in pratica non ne è venuto niente.
Di più, parlando ai suoi colleghi, ma di fatto rivolgendosi al pubblico israeliano al di là delle telecamere, Olmert ha dettato le condizioni necessarie e sufficienti per proseguire nel dialogo. E sono sensibilmente diverse da quelle poste dal Quartetto degli sponsor internazionali. Non si tratta, per esempio, di riconoscere semplicemente Israele, ma di «riconoscere il diritto d´Israele ad esistere come Stato ebraico», o basato su una maggioranza ebraica, il che suona come un rifiuto preventivo di prendere in considerazione il diritto al ritorno dei profughi palestinesi.
Olmert, inoltre, ha chiesto l´immediata liberazione del soldato Shalit, sequestrato il 25 giugno scorso in un´azione di commando al confine della Striscia di Gaza. Ed ha concluso: «Noi non riconosceremo alcun governo palestinese che non onori i suoi impegni. Non coopereremo con questo governo e con i suoi ministri».

Tramballi sul SOLE 24 ORE nega a Condoleezza Rice giustizia ed equidistanza nel suo ruolo di arbitro tra israeliani e palestinesi.
Giustizia ed equidistanza, nella concezione di Tramballi, equivarrebbero all'accettazione come posizioni legittime del terrorismo e del rifiuto dell'esistenza di Israele.
"Equidistanza" o "equivicinanza" tra l'aspirante assassino e la vittima potenziale che si difende.

Tramballi agginge un'altra perla: il paragone tra il rifiuto di Hamas di riconoscere l'esistenza di Israele e la posizione negativa di Golda Meir sullo stato palestinese.
In proposito è bene ricordare quanto, ancora nel 1977, dichiarava Zuheir Muhsin, ex capo del Dipartimento Militare e membro del Comitato Esecutivo dell’Olp, al quotidiano olandese Trouw:

“Non c’è differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi: siamo tutti parte di una nazione. È solo per ragioni politiche che sottolineiamo accuratamente la nostra identità palestinese… L’esistenza di un’identità separata palestinese serve solo a scopo tattico. La creazione di uno stato palestinese non è che un nuovo strumento per continuare la battaglia contro Israele”. 

(fonte israele.net)

Di fatto, è una verità storica che il popolo palestinese sia stato concepito per lungo tempo come parte della più vasta nazione araba, e che le sue rivendicazioni nazionali siano state cavalli di troia per distruggere Israele.
La posizione di Golda Meir deve essere situata e compresa in questo contesto storico.

Janiki Cingoli su EUROPA lamenta che Israele e Stati Uniti rifiutano il dialogo con Abu Mazen. Cosa falsa, perché il presidente palestinese, non facendo parte del governo Fatah-Hamas, pè riconosciuto come interlocutore dal governo israeliano. Sia il premier Olmert che il ministro della Difesa Peretz hanno rilasciato dichiarazioni in questo senso.

Ecco il testo dell'editoriale di Cingoli:
Il vertice tripartito di Gerusalemme tra Olmert, Abu Mazen e Condoleezza Rice, è andato per certi versi meno peggio di quanto si temesse.
La tenaglia Olmert-Rice, che si era profilata alla vigilia, non si è stretta intorno ad Abu Mazen, che ha ottenuto una dilazione, fino alla formazione effettiva del governo di unità nazionale, e fino a quando non sarà resa nota la sua composizione e il ruolo che in esso avrà Hamas.
Ma israeliani e statunitensi sono rimasti ferreamente ancorati alla richiesta di un rispetto integrale delle tre condizioni poste ai palestinesi dal Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu), al governo palestinese, e cioè il riconoscimento di Israele, la rinuncia alla violenza e l’accettazione di tutti i trattati p r e g r e s s i .
Dietro questo fuoco di sbarramento si cela anche l’indisponibilità israeliana a discutere, in questa fase, delle questioni centrali del negoziato finale, come quella dei rifugiati o di Gerusalemme.
Di fatto, Olmert e la Rice hanno dovuto tuttavia scegliere un atteggiamento più interlocutorio, in base a due considerazioni essenziali: per prima cosa, non esiste un altro interlocutore palestinese in grado di sostituirsi ad Abu Mazen: il presidente dell’Anp da lungo tempo dichiara di accettare le tre condizioni, e la sua posizione contro violenza e terrorismo è nota.
Ma soprattutto, una ripulsa netta degli accordi della Mecca potrebbe costituire un oltraggio al re saudita, Abdullah, che li ha promossi e garantiti, e un indebolimento evidente per quell’asse dei paesi arabi moderati e sunniti che si contrappone all’aggressiva crescita dell’onda sciita, che fa perno sulla emergente potenza iraniana.
Olmert ha così dichiarato al gruppo parlamentare di Kadima, poco dopo l’incontro, che Israele manterrà i contatti con il presidente palestinese, ma non con il governo di unità nazionale. Dobbiamo tenere aperto un canale di comunicazione con i palestinesi – ha aggiunto, e il solo possibile è appunto il loro presidente. Tale canale affronterebbe in particolare le questioni attinenti la vita quotidiana della popolazione palestinese, e naturalmente, la lotta al terrorismo.
Secondo Saeb Erekat, il vecchio negoziatore palestinese, si sarebbe parlato anche della possibilità di estendere il cessate il fuoco di tre mesi, in vigore per l’area di Gaza, anche alla Cisgiordania.
Condoleezza Rice, l’unica a rilasciare dichiarazioni al termine del vertice, ha affermato che i due hanno concordato di incontrarsi nuovamente, e hanno reiterato il loro impegno a favore della road map e il loro auspicio per il coinvolgimento e la funzione di leadership degli Stati Uniti nel rilancio del processo negoziale. La stessa Rice si è impegnata a tornare presto nella regione.
«Tutti e tre noi – ha concluso infi- ne, abbiamo confermato il nostro impegno per una soluzione basata su due stati, e abbiamo concordato che uno stato palestinese non può nascere dalla violenza e dal terrore».
La possibilità, avanzata dai maggiori leader israeliani, di rompere i rapporti anche con Abu Mazen, se questo varava il nuovo governo di unità nazionale con la partecipazione diretta di Al Fatah, appare quindi almeno per il momento accantonata, di fronte alla pressione della Rice.
Questo non significa che la stretta esercitata sul leader palestinese sia destinata a restare senza effetti: già altre volte il presidente dell’Anp sotto le pressioni Usa aveva mandato a monte all’ultimo minuto gli accordi definiti con Hamas. Ma anche per lui sarà dif- ficile recedere da quegli accordi così solennemente sottoscritti, con una ulteriore e forse definitiva perdita di credibilità, ed il probabile distacco dell’ala più giovane e dinamica di Al Fatah, che si richiama al leader in carcere Marwan Barghouti, ispiratore di quel Documento dei prigionieri posto a base dell’accordo interpalestinese appena raggiunto.
Quello che stupisce, in tutto questo contesto, è l’assordante silenzio dell’Europa.
Il Consiglio europeo di dicembre aveva affermato l’appoggio a un governo di unità nazionale palestinese che “ri- flettesse” (reflecting) le tre condizioni, sostenendo implicitamente che se fosse stata approvata una piattaforma palestinese che muovesse in direzione delle tre condizioni, anche se non le rispettava integralmente, questo sarebbe stato considerato un passo positivo, cui si sarebbe dovuto rispondere con iniziative positive e concrete.
Oggi, di fronte all’offensiva congiunta Israele-Usa, non ci si può fermare lì, si deve andare ad una posizione di sostegno più aperto.
Gli accordi della Mecca impegnano il governo al rispetto dei trattati pregressi; in tali trattati è previsto il riconoscimento esplicito di Israele; è espressa la disponibilità a rinunciare agli attacchi armati dentro lo stato ebraico e comunque ad una tregua di lungo periodo nella lotta armata.
Far cadere quegli accordi significa precipitare il popolo palestinese nella guerra civile, e comunque segnare la fi- ne politica di Abu Mazen. Il prossimo con cui discutere potrebbe essere Meshall, e potrebbe già essere troppo tardi anche per lui

Per Michelangelo Cocco dell MANIFESTO  contro l'Autorità palestinese Israele vorrebbe continuare un'ingiustificato boicottaggio.
Le ragioni e le esigenze di Israele non esistono, c'è solo una volontà aggressiva.

Dopo due ore di colloquio a Gerusalemme con il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, Condoleezza Rice si è presentata da sola davanti ai giornalisti e ha letto un comunicato di 90 secondi, senza accettare domande da parte dei cronisti. «Tutti e tre abbiamo riaffermato il nostro impegno per una soluzione che conduca alla convivenza di due stati e siamo d'accordo che uno Stato palestinese non può essere fondato sulla violenza e sul terrore», ha dichiarato il segretario di stato statunitense. Per il capo della diplomazia dell'Amministrazione repubblicana «il presidente e il premier hanno stabilito che s'incontreranno presto un'altra volta e hanno ribadito di volere la partecipazione e la guida americana per superare gli ostacoli. Per questo penso che ritornerò presto nella regione». Quello che, a giudicare dalle dichiarazioni della Rice, sembra un vertice concluso con un «nulla di fatto» ha lanciato però un messaggio chiaro ai palestinesi che, dopo settimane di scontri intestini (circa 90 morti), sono riusciti, l'8 febbraio, a sottoscrivere alla Mecca un accordo per la formazione di un governo di Unità nazionale per superare le divisioni interne e l'embargo che l'occidente ha imposto ai Territori occupati dopo la vittoria elettorale di Hamas nel gennaio 2006. Olmert ieri l'ha detto senza mezzi termini: avremo rapporti solo con Abu Mazen, ma il boicottaggio continuerà, finché il nuovo esecutivo non riconoscerà Israele, gli accordi sottoscritti tra Stato ebraico e Organizzazione per la liberazione della Palestina e rinuncerà alla violenza. «Ringrazio Washington per aver affermato inequivocabilmente che non riconoscerà un governo che non accetta i princìpi del Quartetto», ha dichiarato Olmert ai delegati del suo partito Kadima. Poi ha dettato alla controparte altre condizioni: fine del lancio di razzi dalla Striscia di Gaza e liberazione immediata di Gilad Shalit, il caporale catturato in giugno dai combattenti palestinesi. La Rice era stata più cauta: «Non ho visto nulla che suggerisca che questo governo andrà incontro ai princìpi del Quartetto, ma vedremo cosa succederà quando l'esecutivo sarà formato». Ma il premier israeliano aveva concretizzato il sabotaggio già l'altro ieri, dichiarando che il presidente Bush «venerdì nel corso di una telefonata» si era detto a favore della continuazione dell'isolamento dell'Anp. Ismail Haniyeh, il premier di Hamas che ha cinque settimane di tempo per comporre un esecutivo multipartitico, ieri ha fatto appello a Washington: «la nuova maggioranza darà ampio margine di manovra politica», ha detto da Gaza. Ma Mustafa Barghuti giudica quella di Olmert una «dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese». Il deputato di «Mubadara» sostiene che «quello sottoscritto in Arabia Saudita non è un accordo tra Hamas e Fatah, ma tra tutti i partiti palestinesi». «Sabotarlo - ci dice al telefono da Ramallah - significa fomentare la guerra civile, per poter poi nuovamente dire che Tel Aviv non ha partner per la pace». Per Barghuti, che si è aggiudicato il 19,5% alle ultime presidenziali, «ora la palla passa all'Unione Europea: solo un suo intervento può preservare l'unità palestinese». Bruxelles - il principale donatore dell'Anp - da un anno ha bloccato parte dei 600milioni di euro annui destinati ai palestinesi. Ma l'europarlamentare di Rifondazione comunista Luisa Morgantini non è ottimista. «Temo che l'Ue continui a seguire gli Stati Uniti», dice al manifesto alla vigilia dell'incontro del Quartetto di mediatori (Usa, Ue, Russia Onu) che si riunirà domani a Berlino. Per la Morgantini «la questione andrebbe rovesciata: perché Israele non riconosce la Palestina? E perché non si dice che la Road map impone a Tel Aviv la cessazione della colonizzazione, mentre gli insediamenti nei Territori occupati continuano a crescere?». Per la Morgantini è necessario «fare pressione sul governo italiano, affinché assuma la posizione «aperturista» nei confronti dell'Anp, quella del presidente francese Chirac e dall'esecutivo norvegese». Mouin Rabbani, che per International Crisis Group analizza il Medio Oriente, ricorda che «l'Olp ha riconosciuto Israele ma in seguito lo Stato ebraico ha delegittimato tutta la leadership dell'Olp». «È assurdo bloccarsi ora sulla questione del riconoscimento, che va affrontata nell'ambito di un accordo complessivo di pace» dice Rabbani, secondo il quale «l'esecutivo israeliano mira a prendere tempo per consolidare il proprio dominio sulla Cisgiordania, con l'espansione delle colonie ebraiche e il completamento del muro». E poco importa che anche il britannico Financial Times ieri scrivesse: «L'accordo della Mecca non parla di riconoscimento d'Israele, ma obbliga le parti a rispettare gli accordi esistenti, che includono tale riconoscimento». Per Olmert la parola d'ordine è: boicottaggio.

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