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Il Foglio Rassegna Stampa
16.02.2007 Inizia il processo per la strage di Madrid
l'attentato che fruttò ad Al Qaeda la caduta del governo Aznar e il ritiro della Spagna dall'Iraq

Testata: Il Foglio
Data: 16 febbraio 2007
Pagina: 4
Autore: la redazione
Titolo: «A processo a Madrid i terroristi dell’11 marzo. Aleggia l’altra verità sulle non bugie di Aznar»
Dal FOGLIO del 16 febbraio 2007: 

A Madrid è iniziato il processo contro gli estremisti islamici accusati dell’attentato terrorista dell’11 marzo 2004. Dieci bombe e quasi 200 morti. Un lutto nazionale senza precedenti. Quasi tre anni più tardi, con un governo spagnolo socialista che prese forma proprio dalle macerie della stazione di Atocha (alle elezioni del 14 marzo), con la lotta al terrorismo ancora in corso, il ventre europeo sempre più flaccido – ancora due giorni fa la Francia di Jacques Chirac ha arrestato sul suo territorio undici persone legate ad al Qaida – e l’opinione pubblica alienata dalla guerra, torna in mente quel che accadde allora. Quella manipolazione mediatica che impose il paradigma del complotto dell’allora premier José Maria Aznar contro la verità per nascondere una pista investigativa che avrebbe condannato “il governo della guerra in Iraq”. Era il paradigma del “verdad y paz”, che si basava sull’assioma – denunciato dal Foglio in un editoriale dal titolo “La stanchezza dell’occidente” e una ricostruzione dettagliata di quel che avvenne in quel caotico giovedì nero – secondo cui “se tu non vieni a patti con il terrorismo internazionale di matrice islamica, e gli fai la guerra, sei responsabile della sua reazione, sei direttamente colpevole dei morti fatti dagli amici e sodali di Bin Laden”. Quel paradigma ha avuto il sopravvento, per il mainstream Aznar mentì appositamente dando la colpa a Eta, nascondendo l’impronta di una mano islamica negli attentati di Atocha per non perdere le elezioni sull’Iraq, lui battagliero e sparuto sostenitore della campagna voluta dall’Amministrazione Bush. Ora, con il processo, qualche dettaglio in più emergerà, la verità sarà in qualche modo appurata, forse ci sarà pure qualche sorpresa, e certo attorno al lavoro dei giudici si addenserà lo scontro tra i sostenitori del governo di José Luìs Zapatero e i partigiani di un’altra verità sulle stragi dell’11M, come viene chiamato in Spagna quell’11 marzo. “Sappiamo soltanto che non sappiamo”, come ha detto il deputato popolare Jaime Ignacio del Burgo, e sul banco degli imputati insieme con Mohammed l’Egiziano (al secolo Rabel Osman al Sayed) e i suoi compagni ci sono anche le ombre e incertezze che pesano sull’impianto probatorio. Da ultimo, si è aperta una disputa sul tipo di esplosivo. Secondo i critici del lavoro di giudici e periti, un’analisi più attenta escluderebbe la cosiddetta “pista asturiana” sul reperimento dell’esplosivo da parte degli attentatori e aprirebbe la strada ad altri scenari che potrebbero tornare a considerare un coinvolgimento dei terroristi di Eta. Eta-islam radicale, islam radicale-Eta. “Forse mai un processo è stato tanto pervaso di teorie e speculazioni, che condensano una contrapposizione civile e politica quasi senza precedenti in tempo di pace e di normalità democratica”, scrive Ernesto Ekaizer sul País. La sua è la posizione di chi bolla come teorie cospiratorie tutte le critiche alla “verità ufficiale” che sembra già decisa all’inizio del processo. Ma fotografa la realtà e dice della spaccatura che ha mandato a ramengo quel Patto antiterrorista che ha stretto per anni in una politica condivisa e davvero bipartisan Psoe e Pp. I giornali hanno giocato un ruolo decisivo in questa disputa. Il governativo El País ha srotolato un cordone sanitario contro qualsiasi interpretazione altra dell’accaduto, mentre El Mundo si è distinto per le inchieste che mettevano alla prova certe adamantine certezze e ancora ieri aveva un titolo – con un articolo secondo cui “alla fine risulterà che l’unico a non dire bugie fu il Partito popolare” – che recitava così: “11M-entirosos”, 11M-enzogneri”. L’altra verità, quella che non si è imposta, parla di un Aznar che, dopo le stragi, ha ragionato sul filo dei fatti per alcune ore – e i fatti imponevano l’attribuzione prevalente delle bombe a Eta – ammettendo come legittima la congettura della pista islamica fin dalle 13 di quel giovedì nero, quando le agenzie batterono la dichiarazione del ministro dell’Interno Angel Acebes. Domanda: “La responsabilità della strage può essere attribuita agli estremisti islamici?”. Risposta: “Non è escluso, non possiamo trascurare nessuna pista”. A quasi cinque ore dalla mattanza, l’esecutivo di Madrid stava seguendo anche la pista islamica. Alle 14 e 30 Aznar prometteva in tv: “Prenderemo i criminali”. A dodici ore dall’attentato, il governo spagnolo era la prima fonte delle notizie che accreditavano la matrice islamica, la traccia del terrorismo diventava la prevalente, e dopo 44 ore c’erano già i primi arresti. Ma tutti ormai gridavano che i popolari avevano “usato il terrorismo basco per motivi politici”, anche se poi, a giugno del 2004, il governo vittorioso alle elezioni di quei giorni non aveva ancora tolto il segreto sui documenti degli 007. La verità non emergeva, “verdad y paz” s’imponeva, e ancora oggi il paese si spacca.

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