Dalla STAMPA del 15 febbraio 2007:
«Non chiederei il vostro aiuto se le condizioni qui non fossero tali da obbligarmi a fare di tutto per evitare il peggio». Così scriveva Otto Frank, padre di Anna, al suo ex compagno di studi americano Nathan Straus chiedendo numi su come riuscire al più presto a rifugiarsi negli Stati Uniti. Il testo della lettera, datato aprile 1941, è da ieri in mostra per i visitatori dell’Istituto ebraico di ricerca (Yivo) di New York, riuscito nell’impresa di raccogliere e rendere pubbliche diverse dozzine di missive scritte dal padre di Anna pochi mesi prima che l’intera famiglia olandese fosse obbligata a nascondersi nel vano tentativo di evitare la deportazione da parte dei nazisti nei campi di sterminio.
La penna di Otto Frank tradisce la certezza che il peggio stava per arrivare ad Amsterdam subito dopo l’invasione dell’Olanda da parte della Werhmarcht, nel maggio del 1940. «Mi devo occupare soprattutto della sorte dei miei figli, la nostre sorte è di minore importanza» si legge in una lettera in cui si chiede come poter ottenere un visto di entrata in America o a Cuba innanzitutto per le figlie Margo ed Anna e, solo in un secondo momento, per lui, la moglie Edith e la suocera Rosa Hollander.
Fra il 30 aprile e l’11 dicembre 1941 Otto Frank scrisse a parenti, amici e alti funzionari americani spiegando che era pronto ad «ogni sacrificio» pur di riuscire a superare l’Oceano Atlantico ma in ogni occasione la risposta fu negativa. È lo stesso Otto Frank che fa riferimento agli ostacoli scrivendo in una lettera: «Mi rendo conto che sarebbe impossibile partire per tutti anche se il denaro fosse disponibile ma Edith mi chiede di andare comunque, da solo o con i bambini».
Le lettere si interrompono pochi giorni dopo l’attacco a Pearl Harbor, quando anche la Germania dichiara guerra agli Stati Uniti e la possibilità della fuga oltre Atlantico svanisce. La cronologia della storia di Anna Frank vuole che fu proprio a seguito della mancata fuga che Otto scelse di rifugiarsi con la famiglia nella soffitta di Amsterdam dove sarebbero poi rimasti per oltre due anni fino alla cattura, dovuta ad una spiata.
L’intenzione di Otto di emigrare in America risale al 1938 ma nei due anni seguenti i tentativi cessano perché, come spiega David Engel docente di Studi sull’Olocausto alla New York University, «probabilmente preferì affrontare le incertezze dell’occupazione nazista all’insicurezza di una vita da doppio rifugiato in una nuova nazione, a prescindere dalla possibilità di trovare i visti».
Il tentativo di emigrazione in extremis verso gli Stati Uniti accomuna i Frank a «migliaia di ebrei europei ed in particolare tedeschi che trovarono le porte sbarrate dalle leggi dell’epoca» osserva Richard Breitman, storico dell’American University. Il premio Nobel per la Pace, Elie Wiesel, ha dedicato numerosi scritti per imputare all’amministrazione Roosevelt la scelta di non accogliere gli ebrei in fuga dall’Europa nazista ed il museo della Shoà di Washington ricostruisce nei dettagli episodi come quello di una nave St Louis con a bordo 937 profughi ebrei salpata da Amburgo nel 1939 e respinta di fronte alle coste della Florida.
Anna Frank morì di tifo nel campo di sterminio di Bergen-Belsen nel 1945 ed il suo diario venne pubblicato dal padre in Olanda nel 1947 divenendo un best seller mondiale con oltre 75 milioni di copie vendute.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Stampa