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Il Foglio Rassegna Stampa
14.02.2007 Bombe contro la piazza e l'unità nazionale libanese
mentre l'Iran è a un passo dall'atomica

Testata: Il Foglio
Data: 14 febbraio 2007
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Beirut tra Teheran e Riad»

Dal FOGLIO del 14 febbraio 2007:

Beirut. Alla vigilia del secondo anniversario dell’assassinio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, due bombe su altrettanti autobus hanno causato tre vittime e decine di feriti. E’ la prima volta, dal 14 febbraio 2005, che sono presi di mira civili. L’attacco è avvenuto lungo la strada che attraversa il villaggio di Ain Alaq e dalle montagne scende a Beirut. In “paese cristiano”, come dicono i libanesi. A pochi chilometri da Bikfaya, feudo della famiglia maronita Gemayel. Pierre – figlio di Amin, ex presidente della Repubblica – è stato assassinato a novembre. Padre e figlio fanno parte del gruppo di maggioranza, antisiriano, antiraniano, vicino al premier Fouad Siniora e appoggiato dalla comunità internazionale nella lotta interna contro Hezbollah, sostenuto invece da Damasco e Teheran. Ci sono “mani straniere” dietro l’atto, avrebbe detto l’ex presidente. Oggi erano attese centinaia di persone nella piazza dei Martiri. Il fronte del 14 marzo vuole celebrare l’anniversario della morte di Hariri ma, tra la pioggia che non smette da ore e la paura, molti militanti non si presenteranno. Ne è convinto Walid Jumblatt, leader druso: sostiene, e sembra l’analisi più convincente, che gli attacchi hanno proprio l’obiettivo di scoraggiare i libanesi dallo scendere in piazza. Fino all’attentato, c’era speranza per una soluzione della crisi interna, come dimostrano i titoli dei giornali libanesi di ieri. C’erano voci di un accordo raggiunto dal “pompiere” Nabih Berri, come alcuni chiamano il presidente sciita del Parlamento, il quale avrebbe tra le mani un’iniziativa su cui ci sarebbe accordo tra le parti. Include questioni controverse: la creazione di un governo di unità nazionale e di un tribunale per processare gli assassini di Hariri; la nascita di due comitati, di maggioranza e opposizione, per discutere i punti. Berri propone di tenere elezioni presidenziali allo scadere del mandato, adottare una nuova legge elettorale e discutere di legislative anticipate. Accanto alle speranze suscitate dal piano Berri, ci sono quelle nate attorno al desiderio di Riad di contrastare, anche in Libano, l’influenza iraniana sulla regione. La corte saudita appoggia il governo Siniora e avrebbe un piano per la formazione di un governo d’unità nazionale – tattica che ricorda quella scelta sul fronte palestinese – e l’elezione immediata, tramite il Parlamento, di un nuovo presidente, seguita da legislative anticipate. Il tribunale internazionale sulla strage Hariri dovrebbe invece aspettare la fine dell’inchiesta dell’Onu. Oggi il ricordo di Hariri L’attacco di ieri è un déjà-vu. I passati attentati a danni di politici e giornalisti non hanno mai mancato le scadenze internazionali. Oggi la piazza di Beirut ricorda Hariri, ma le esplosioni di ieri arrivano in un contesto regionale che suggerirebbe la calma ad alcuni suoi attori principali. Secondo il Financial Times, uno studio dell’ufficio dell’alto rappresentante per la Politica estera europea, Javier Solana, spiega che ormai è impossibile fermare l’Iran dall’ottenere la Bomba, che le interruzioni nel processo non sono dovute alle pressioni internazionali, ma a rallentamenti tecnici. Il portavoce di Solana ha parlato di “manipolazione” da parte del quotidiano inglese, ma il rapporto sembra ammettere il fallimento della via diplomatica. Il 21 febbraio la comunità internazionale è pronta a imporre sanzioni economiche all’Iran. Il paese, dice il suo presidente Mahmoud Ahmadinejad, non rinuncerà all’arricchimento dell’uranio, ma i toni sono cambiati. Domenica, in occasione dell’anniversario della Rivoluzione khomeinista, ci si aspettava dal leader il temuto annuncio sull’installazione di tremila centrifughe per l’arricchimento nella centrale di Natanz, ma è stato rimandato addirittura a dopo la festa di Nowruz – il capodanno iraniano che cade il 21 marzo – cioè in aprile. Il ministero degli Esteri di Teheran ha detto che tutte le questioni, compresa quella dell’arricchimento, sono negoziabili. La guida suprema, Ali Khamenei, sta facendo pressioni su Ahmadinejad, con il capo dei negoziatori sul nucleare, Ali Larijani, per mostrare Teheran meno pericolosa agli occhi della comunità internazionale. Il fronte del presidente pasdaran e quello dei religiosi più esperti hanno lo stesso obiettivo: l’Iran atomico. Ma in questa fase scelgono tattiche differenti: Ahmadinejad vorrebbe insistere con la retorica aggressiva, Khamenei spinge per una fase di apparente moderazione. E’ grande infatti la preoccupazione per le sanzioni, che hanno già scatenato la fuga di capitali.

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