Pubblichiamo la terza parte della ricostruzione dei processi di Mosca.
Pubblicheremo le prossime parti nella rubrica dell'autore: Luciano Tas
Il secondo grande processo
I contrasti nel partito
Al quattordicesimo congresso del partito comunista del 1936 esplodeva il contrasto tra Zinoviev e Kamenev da una parte e Bucharin dall’altra. Stalin si schierava con Bucharin (questo intervento di Stalin verrà in seguito espurgato dalle sue opere uscite in volume). Ecco cosa aveva detto Stalin in quella occasione:
Voi chiedete il sangue di Bucharin? Non ve lo daremo. Il partito potrebbe essere guidato senza Rykov, senza Kalinin, senza Tomskij, senza Molotov, ma senza Bucharin? No, il partito non può essere guidato senza l’aiuto del compagno che ho nominato ora…
Rykov e Bucharin avrebbero seguito a breve la sorte di Kamenev e Zinoviev, Tomskij sarebbe stato spinto a suicidarsi, e anche da morto il suo nome sarà infangato. 23 gennaio 1937, la prima udienza Ancora il verbale, ancora Ulrich a presiedere, ancora Vysinskij all’accusa. Diciassette gli imputati, ancora una volta personaggi di rilievo nel partito. Valentin Arnold, Michail Boguslavskij, Iakov Drobnis, Ivan Hrasche, Ivan Knyazev, Iakov Livshitz, Mikolaij Muralov, Boris Norkin, Juri Pjatakov, Gavriil Pushin, Karl Radek, Stanislav Rataichak, Leonid Serebryakov, Aleksej Shestov, Gregorij Sokolnikov, Michail Stroilov, Iosif Turok. Tra i diciassette, cinque – Boguslavskij, Drobnis, Livshitz, Radek, Pushin – sono ebrei. L’accusa per tutti è: tradimento della patria, spionaggio, azioni eversive e preparazione di atti terroristici. Gli imputati rinunciano all’avvocato difensore e dicono che si difenderanno da soli. C’è una novità in questo secondo processo rispetto al primo. Si chiamano in causa la Germania e il Giappone. Oltre agli altri crimini gli imputati vengono accusati di servire quei due paesi al fine di rovesciare con il loro aiuto il potere comunista. In cambio gli imputati avrebbero promesso alla Germania e al Giappone parti del territorio sovietico.
Legge il cancelliere:
L’imputato Radek, nel suo interrogatorio del 22 dicembre 1936, ha dichiarato che l’immissione di capitale tedesco e giapponese per lo sfruttamento dell’URSS creerà importanti interessi capitalistici nel territorio sovietico. Quegli strati che nei villaggi non hanno superato la psicologia capitalistica e sono scontenti del kolchoz graviteranno intorno a questi interessi.
Quelli che “non hanno superato” sono poveri contadini che un pezzetto di terra non ha certo fatto diventare dei capitalisti, ma che hanno già pagato un altissimo prezzo per la collettivizzazione forzata delle campagne: sei milioni di deportati, uccisi o lasciati morire di fame per essersi visti requisire persino le semine. Ma continua il cancelliere nella citazione delle presunte dichiarazioni di Radek:
I tedeschi e i giapponesi richiederanno che noi creiamo un clima di distensione nelle campagne. Noi dovremo quindi fare delle concessioni e permettere lo scioglimento dei kolchoz o perlomeno la libertà di uscirne…
Già, perché proprio nessuno poteva uscire dal suo kolchoz, la fattoria collettiva, il disastroso errore che metterà in ginocchio per decenni l’economia sovietica. Se il kolchoz non era proprio una prigione, poco cii mancava. La sua pporta era solo d’entrata. Quanto ai tedeschi, ciò che nel processo viene addebitato agli imputati, cioè un collaborazionismo avanti lettera, appena due anni dopo, nel 1939, sarà lo stesso Stalin a farlo, moltiplicato per cento. Tutta l’Unione Sovietica, infatti, lavorerà alacremente per la Germania di Hitler dall’agosto 1939, data del patto sovietico-tedesco, fino al 21 giugno 1941, il giorno dell’attacco nazista all’URSS.
Una lettera fantasma
Ecco che cosa avrebbe scritto Trotzkij a Radek secondo il verbale:
Dovremo fare inevitabilmente delle concessioni territoriali. Dovremo cedere la Provincia Marittima e la regione dell’Amur al Giappone e l’Ucraina alla Germania. La Germania ha bisogno di materie prime, generi alimentari e mercati. Dovremo permetterle di prender parte allo sfruttamento delle miniere di ferro, manganese, oro, carburante, fosfato di calcio e dovremo impegnarci a fornirle per un certo periodo di tempo generi alimentari e grassi a prezzi inferiori a quelli del mercato mondiale.
Questa la presunta lettera mai prodotta in aula perché non è mai stata scritta. Sarebbe infatti davvero curioso che proprio Trotzkij, ebreo, fosse stato contento di cedere un territorio grande come l’Ucraina alla Germania di Hitler che già stava perseguitando gli ebrei tedeschi, e anche di fornirle metalli preziosi e materie prime, oltretutto sotto costo. Il processo prende una piega non gradita ai suoi sceneggiatori. Dalla bocca di un imputato esce infatti qualche frase pericolosa, certamente “fuori copione”. Il verbale riporta una dichiarazione di Shestov: Pjatakov diceva che la strutturazione di miniere gigantesche, l’idea di Stalin del complesso Urali-Kuznezk, erano costruite sulla sabbia. Si legge ancora sul verbale che Shestov cominciò, matita alla mano, a calcolare quanto sarebbe costata una tonnellata di metallo ricavata a Magnitka col carbone del bacino Kuznezk, una tonnellata di metallo nella fabbrica del Kuznzk ricavata dal minerale… Interrompe Vysinskij:
Qual era la conclusione? Shestov – La conclusione era che questi impianti non avrebbero reso.
A questo punto Vysinskij abbandona un terreno troppo pericoloso perché suscettibile di mettere in forse l’efficienza e l’efficacia dell’impiantistica e dell’organizzazione sovietiche, e passa a un altro capo d’imputazione, quello delle “tangenti”, che pure può presentare qualche insidia per l’accusa. Alla sbarra è Pjatakov.
Pjatakov - Senza tergiversare Sedov mi disse: “Voi vi renderete conto che essendo stata ripresa la lotta c’è bisogno di denaro, e voi potete fornirci i fondi necessari per condurla”. Egli accennava al fatto che la mia posizione ufficiale mi dava la possibilità di prelevare alcuni fondi del governo o, per dirla schiettamente, di rubare. Sedov mi disse che una sola cosa mi chiedeva, e cioè che io procurassi il maggior numero possibile di ordinazioni alle due ditte tedesche Borsig e Dmag. Egli, Sedov, si sarebbe accordato per avere da queste ditte le somme necessarie, ma io dovevo tenere presente che non dovevo essere troppo stretto nei prezzi. Era chiaro infatti che le maggiorazioni da praticare sui prezzi delle ordinazioni sovietiche sarebbero finite interamente, o in parte, nelle mani di Trotzkij per la lotta controrivoluzionaria.
In sé l’accusa è tra le più credibili, e da noi si sarebbe inserita in quelle vicende giudiziarie degli anni Ottanta e Novanta, chiamate "Mani pulite" . Niente di nuovo sotto il sole, e men che meno nell’Unione Sovietica. Se è vero infatti che il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente, l’URSS di Stalin aveva raggiunto un grado elevatissimo di corruzione. Persino dopo la morte del dittatore georgiano, il suo successore Kruscev avrebbe fatto celebrare una serie di processi detti “economici”, conclusi con un alto (e sospetto) numero di condanne a morte. E anche con Kruscev, come con Stalin, era meglio trovare capri espiatori piuttosto che mettere le mani nell’inestricabile ginepraio della corruzione a tutti i livelli. Ma qui la differenza non di poco conto è che le “tangenti” sono messe sul conto di improbabili “attività di sabotaggio e di eversione”. Chi manda gli ordini, chi riceve il denaro, chi lo amministra e lo smista è il solito Trotzkij. E infatti a Pjatakov viene fatto dire:
Ricevetti una lettera, e rimasi assai sorpreso. Io attendevo un’informazione da Sedov e invece la busta conteneva un’informazione non di Sedov ma di Trotzkij. La lettera era scritta in tedesco e firmata “L.T.”
Ora, che Lev Trotzkij per non farsi riconoscere siglasse le sue lettere, che ordinavano nientemeno che il sabotaggio e l’eversione, con le sue stesse iniziali, L.T., non appare molto probabile. Un errore di sceneggiatura Ma accade che almeno una inverosimiglianza durante questo processo non passi. Un infortunio, un errore di sceneggiatura. Ecco di che cosa s tratta. Nel corso dell’udienza l‘accusa sostiene che Pjatakov si era incontrato con Trotzkij a Oslo. Pjatakov si sarebbe procurato un falso passaporto tedesco e il 12 dicembre 1935 sarebbe volato a Oslo, dove Trotzkij era ad attenderlo. Succede però che qualche giornalista norvegese presente in aula s’incuriosisce perché conosce bene il clima del suo paese, e scopre che nessun aereo era atterrato a Oslo, né in alcun altro aeroporto norvegese, non solo in tutto il mese di dicembre 1935, ma addirittura tra settembre del ’35 e maggio del ’36. Ed ecco l’inconveniente. Pjatakov è alla sbarra. Pjatakov confessa di avere incontrato Trotzkij a Oslo, e precisamente in quel giorno di dicembre del 1935. Dice dunque Pjatakov:
Andai direttamente all’ingresso dell’aeroporto. Sedov mi aspettava davanti all’ingresso e mi guidò. Mi mostrò il passaporto che era stato preparato per me. Il passaporto era tedesco. Salimmo su un aeroplano e partimmo. Non ci fermammo in nessun luogo e all’incirca verso le tre pomeridiane atterrammo all’aeroporto di Oslo. Là un automobile ci aspettava. Salimmo e camminammo in auto per circa trenta minuti, giungendo a un sobborgo in campagna. Scendemmo, entrammo in una casetta che non era arredata male, e lì vidi Trotzkij. - Imputato Pjatakov, ditemi per favore, voi viaggiaste in un aereo verso la Norvegia per incontrare Trotzkij? Sapete in quale aeroporto atterraste? Pjatakov – Vicino a Oslo. -Sentiste parlare di un luogo chiamato Kieller o Kjellere? -No. -Confermate che atterraste in un aeroporto vicino a Oslo? -Vicino a Oslo, questo lo ricordo.
Peccato però che un paio di giorni dopo i giornali norvegesi documentino la falsità dell’accusa. In quel mese nessun aereo era atterrato in qualsiasi aeroporto norvegese, stante le condizioni atmosferiche su tutto il paese, il cui clima non è precisamente mediterraneo e a dicembre men che meno. Vysinskij però non demorde:
-Ho ricevuto una comunicazione ufficiale che chiedo sia messa agli atti: “Il Dipartimento consolare del Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri informa il procuratore dell’URSS che secondo un’informazione ricevuta dall’ambasciata dell’URSS in Norvegia, l’aeroporto di Kjellere, vicino a Oslo, riceve per tutto il corso dell’anno, secondo le convenzioni internazionali, aerei di altri paesi, e che l’arrivo e la partenza degli aeroplani è possibile anche nei mesi invernali”.
Così Vysinzkij liquida l’irrilevante fatto che effettivamente nessun aereo era arrivato in Norvegia o ne era partito tra settembre 1935 e maggio 1936, secondo il nuovo principio che l’”oggettivo” prevale sul “soggettivo”, il possibile sul reale, l’utile sull’inutile, la menzogna sulla verità. Si chiude il secondo processo (con una variante rispetto al primo) Il 30 gennaio 1937, alle tre del mattino, si chiude il secondo dei grandi processi, dopo otto ore di Camera di Consiglio. Chissà perché ci sono volute tante ore, visto che la sentenza era già pronta fin da mezzogiorno e cinque minuti del 23 dello stesso mese, quando si è aperto. Rispetto al primo processo, concluso con una sentenza di morte per tutti, qui c’è una raffinata variante. Su diciassette imputati solo tredici vengono condannati a morte. A quattro sono invece inflitte pene detentive. Due di questi quattro sono stelle di prima grandezza nel firmamento bolscevico, Karl Bernardovic Radek e Grigorij Yakovlevic Sokolnikov. Non si tratta però di un atto di relativa clemenza. Al contrario. I quattro verranno fatti soffrire in lager, chi uno, chi due anni, e poi trucidati. Una raffinatezza di Stalin. Della loro sorte non verrà mai data notizia, così il sistema giuridico sovietico apparirà irreprensibile e i tribunali non privi di umana pietà. Per il mondo esterno quattro sovversivi erano stati risparmiati. Il vizio rendeva omaggio alla virtù. Ma chi sono questi diciassette personaggi offerti in sacrificio umano al dio Stalin? I personaggi I condannati sono tutti vecchi amici e compagni d’arme di Trotzkij, ma non necessariamente trotzkisti. Lo sono però oggettivamente, secondo le nuove categorie bolsceviche, proprio perché amici dell’ex-capo dell’Armata Rossa. Le figure più importanti, oltre a Radek e Sokolnikov, sono Pjatakov e Serebriakov. Quello più in alto nella gerarchia del partito è Karl Radek, ovvero Karl Sobelsohn, che nasce da una famiglia ebrea nel 1885 in una cittadina nota in tedesco come Lemberg, ma in polacco e in russo Lvov (prima Polonia, poi URSS e oggi Ucraina). una cittadina – in italiano Leopoli – passata più volte di mano nella sua tormentata storia. L’anno in cui Radek nasceva Leopoli contava 50.000 ebrei, un terzo di tutta la popolazione. Diventeranno 150.000 nel 1939 (l’anno in cui Radek morirà in un lager staliniano) e saranno quasi tutti sterminati dopo l’invasione tedesca perché Stalin si opporrà a farli riparare in URSS. Dopo la vittoria sulla Germania, a Leopoli (passata dalla dominazione nazista a quella sovietica) dei 3400 ebrei superstiti, una parte verrà arrestata nel 1957 per “sionismo”, un’altra parte nel 1959 per avere cotto clandestinamente del pane azzimo, altri infine nel 1962 per “reati economici”. Il resto sarà massacrato nel 1969 in un pogrom contro l’unica sinagoga rimasta in piedi. Tutto sommato si può quindi dire che Radek sia stato fortunato a morire subito. Giovanissimo, Radek s’iscriveva al partito socialdemocratico polacco, corrente di sinistra. Conosceva Lenin e gli era stato molto vicino nell’esilio, tanto da far parte di quelli che lo accompagnarono nel treno che dalla Svizzera e attraverso una compiacente Germania nel 1917 lo riportava in Russia. Lenin lo mandava subito in Svezia a rappresentare il partito, ma allo scoppio della rivoluzione Radek tornava, per essere di nuovo mandato all’estero l’anno dopo, nel 1918. Il suo incarico era difficile e delicato. Si trattava infatti di organizzare il primo congresso del partito comunista tedesco, ma più che il congresso, Radek preparava la rivoluzione in Germania, che però falliva. Nel febbraio del 1919 i tedeschi lo arrestavano e Radek restava in carcere fino alla fine di quell’anno. Tornato in Russia diventava personaggio di spicco nel Comintern, l’Internazionale comunista che raggruppava i partiti comunisti del mondo, tutti sotto il controllo di Mosca. Qui per Radek cominciavano i guai perché vieniva incaricato di mantenere i contatti – leggi il controllo – con il movimento ebraico comunista e sionista, chiamato “Poalé Sion”, che aveva chiesto il riconoscimento e l’ingresso nel Comintern. Più tardi questi contatti gli verranno messi in conto di complotto o di spionaggio, a piacere. Nel 1924 Radek condivideva alcune posizioni di Trotzkij, che vagheggiava una rivoluzione mondiale, ma soprattutto perché si opponeva a Stalin. Per questo, quando Trotzkij dopo essere caduto in disgrazia fu costretto a emigrare, nel 1927 Radek veniva espulso dal partito. Vi era però riammesso nel 1930 dopo avere fatto “autocritica”, cioè essersi gettato fango addosso. Ma perché tanti comunisti caduti in disgrazia si sono assoggettati all’umiliante pratica di denigrarsi? Perché credevano che così facendo avrebbero potuto avere ancora qualche influenza nel partito, potevano limitare il potere di Stalin e infine, e forse soprattutto, perché al comunismo ci credevano davvero. Radek però non era un politico puro. Era uno studioso, tanto è vero che per un anno era stato rettore all’università Sun Yat Sen di Mosca per gli studenti cinesi. Si occupava di letteratura e di teatro, e diventava editorialista della Pravda e delle Izvestija. Poi è stato tra coloro – segnatamente con Bucharin – che nel 1936 avevano preparato la nuova Costituzione russa, detta in seguito la “Costituzione di Stalin”. Il secondo guaio di Radek era stato proprio quello di avere lavorato con Bucharin. Radek ha 57 anni quando è ucciso. Un altro personaggio di primo piano a questo processo del 1937 è Juri Georgij Pjatakov, uno dei sei nominati da Lenin nel suo testamento come possibili suoi successori. Forse aveva un debole proprio per Pjatakov, che definiva “il più abile dei giovani comunisti”. Nel 1910, a vent’anni, diventa comunista. Durante la guerra civile combatte con molto coraggio, vede la morte da vicino ma se la cava per miracolo. Suo fratello, invece, è catturato dai Bianchi che lo fucilano. Anche Pjatakov ha simpatia per Trotzkij, così come ce l’hanno quasi tutti quelli che tra i Rossi hanno combattuto nella guerra civile. Questa simpatia è costretto a rinnegarla nel 1926 con una lunga e come sempre umiliante autocritica. Né a lui né agli altri questa autocritiche basteranno per salvarli, anzi, diventeranno prove a carico, e si capisce perché; erano “confessioni” a futura memoria. Le biografie degli altri imputati si somigliano un po’ tutte. Gregorij Sokolnikov e Leonid Serebriakov erano membri autorevoli del Politburo, fino a quel momento la vera stanza dei bottoni dell’URSS. Yacov Abramovic Livshitz è una figura carismatica di vecchio bolscevico. Nikolaij Muralov era stato ispettore generale dell’Armata Rossa sotto il diretto comando di Trotzkij. Per Nikolaj Ivanovic Muralov il discorso è un po’ diverso nel contesto del processo. La sua storia processuale si discosta dal “copione”. Arrestato il 17 aprile 1936, avrebbe dovuto far parte della prima ondata, cioè dal primo dei tre grandi processi, quello di agosto. Muralov però, a differenza degli altri imputati, non ha mai confessato. Le pressioni psicologiche, le torture fisiche, le minacce, i ricatti, con Muralov non hanno funzionato. Muralov non intende confessare ciò che non ha commesso e nemmeno pensato. Per spezzarne la volontà gli inquirenti impiegano otto mesi. Si può solo immaginare che cosa siano stati per lui quegli otto mesi. A dicembre 1936 Muralov però è crollato e così, avendo “saltato” il primo processo, ora deve passare al secondo. Ma la puntigliosa sceneggiatura scritta da Visinskij sotto dettatura di Stalin (che segue i processi dietro una tenda) viene un po’ disturbata. Una cupa settimana di gennaio Il secondo processo dura dal 23 al 30 gennaio 1937. Tutti gli imputati sono accusati di tradimento della patria, spionaggio, azioni eversive, preparazione di atti terroristici, sempre naturalmente sotto la bacchetta lontana di Trotzkij. Le dichiarazioni degli imputati si assomigliano tutte, proprio come era accaduto nel primo processo. Sentiamone uno, Alexei Shestov.
Cittadini giudici – dice - per tredici anni fui membro dell’organizzazione fascista controrivoluzionaria terroristica e distruttiva di Trotzkij. Negli ultimi cinque anni preparai attivamente l’assassinio dei capi del popolo lavoratore, tentai di uccidere i capi della classe operaia e di coloro che sono oppressi nel mondo capitalista. Negli ultimi anni fui un traditore, un agente del più reazionario distaccamento della borghesia mondiale, un agente del fascismo tedesco. Ho tradito per la prima volta la classe operaia nel 1923.
Si conferma qui che non basta confessare ogni specie di delitto, ma si deve far risalire il tradimento fin dal 1923, cioè praticamente dall’inizio del potere bolscevico. Di qualcuno si dirà che l’inizio del tradimento è da ricercarsi ancora più lontano, addirittura a prima della guerra. Di altri si dirà che si trattava di spie della Okrana, la polizia politica zarista, Al centro di ogni nefandezza è sempre Lev Davidovic Bronstein, detto Trotzkij. Ma chi è Trotzkij in verità? Trotzkij nasce nel 1879 in Ucraina, figlio di un agricoltore ebreo di Ivanovka. Ha studiato matematica all’università di Odessa, ma aveva interrotto gli studi per dedicarsi all’attività rivoluzionaria. Era entrato nel partito socialdemocratico clandestino nel 1896, a 17 anni. Due anni più tardi le autorità zariste lo arrestavano e lo spedivano in Siberia, da dove riusciva a fuggire nel 1902 (con Stalin nessuno riuscirà più a fuggire dai lager siberiani) per riparare in Inghilterra, dove lavorava a stretto contatto di Lenin nella redazione del giornale socialdemocratico russo “Iskra” (la Scintilla). Al congresso del partito socialdemocratico del 1903 si poneva dalla parte dei menscevichi (più moderati) e attaccava i delegati del fortissimo Bund (il cui nome completo era “Unione (Bund) di tutti i lavoratori ebrei di Lituania, Polonia e Russia”), federato al partito, accusandoli di debolezze sioniste. (A sua volta Stalin li chiamerà con disprezzo “sionisti col mal di mare”). Il Bund però determinerà con il suo voto la vittoria dei bolscevichi che diventeranno così maggioranza (“bolscioi”) nel partito. Trotzkij tornava in Russia nel 1905 e partecipava ai moti rivoluzionari di quell’anno. Di nuovo arrestato, di nuovo deportato in Siberia, da dove riusciva ancora a fuggire per recarsi prima a Londra, poi a Vienna e quindi a Parigi. Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 abbracciava la causa pacifista e per questo la Francia lo espelleva. Trotzkij allora andava a New York, per tornare in Russia nel 1917. A Pietrogrado (che era San Pietroburgo, poi diventerà Leningrado, per tornare San Pietroburgo dopo la fine della dittatura comunista) veniva accolto trionfalmente dalle masse operaie festanti. E’ di nuovo a stretto contatto con Lenin, che ne apprezzava le doti intellettuali, politiche e anche militari. Trotzkij infatti lo avrebbe dimostrato ampiamente nella guerra civile seguita al colpo di Stato bolscevico detto in seguito “Rivoluzione d’ottobre” (che era poi novembre, data la differenza del calendario russo di allora). L’Armata Rossa, di cui era a capo, lo idolatrava. Intelligente, brillante, grande oratore, stratega, aveva conquistato la simpatia, l’affetto e l’obbedienza degli stessi soldati che in odio al dispotismo zarista avevano deposto le armi di fronte ai tedeschi. Alla morte di Lenin nel 1924, Trotzkij si opponeva alla politica di Stalin, il quale, accantonando l’internazionalismo, cioè l’idea di una rivoluzione universale, mirava invece al “socialismo in un solo paese”, che era poi la Russia. Trotzkij riteneva che in realtà Stalin volesse imporre il suo personale e dittatoriale potere nell’impero ex-zarista. Dal canto suo Stalin vedeva in Trotzkij, non del tutto a torto, il suo più pericoloso rivale. In realtà Lenin lo aveva già designato quale suo successore, ma Trotzkij aveva rifiutato dicendogli: "Non dobbiamo dare ai nostri nemici la possibilità di dire che il nostro paese è governato da un ebreo"
E invece ne diranno di peggio, eccome. Stalin prima esiliava Trotzkij all’interno della Russia asiatica, poi lo espelleva dal paese. Nel 1938 in Svizzera Trotzkij fondava la IV Internazionale. Due anni più tardi, braccato dagli agenti di Stalin, veniva assassinato in Messico da uno di questi agenti (con la complicità di un pittore messicano e di un comunista italiano), che per farla finita con la famiglia Trotzkij, assassinavano anche il figlio. Gennaio 1937: come si procede al processo Il pubblico ministero, sempre Visinskij, interroga l’imputato Karl Radek. Radek non è certo innocente, ma non per infedeltà a Stalin o tradimenti, proprio il contrario. Radek è stato complice di molti delitti di Lenin. Nel maggio del 1921 al X congresso del partito si opponeva a qualsiasi voce di clemenza per gli oppositori socialisti e socialrivoluzionari (gli altri, i “bianchi” erano già stati eliminati o erano in via di eliminazione) perché, affermava, non sarebbe opportuno lasciarli liberi in quanto “l’enorme massa dei contadini essendo contraria ai comunisti, questo sarebbe un vero suicidio”. E ne suggerisce la pura e semplice eliminazione. Del resto Radek era stato tra gli organizzatori della strage, tecnicamente perpetrata agli ordini di Trotzkij, dei marinai di Kronstadt in rivolta. Radek votava l’annientamento dei menscevichi e nel 1922 dei socialrivoluzionari. Tutti quelli che avevano resa possibile la rivoluzione d’ottobre.
L’interrogatorio di Radek Visinskij
– Imputato Radek, nella vostra testimonianza voi dite: “Nel 1935 noi decidemmo di convocare una conferenza, ma prima di questo, in gennaio, quando arrivai, Vtvot Putna venne da me con una richiesta da parte di Tukacevskij”. Io voglio sapete in riferimento a che cosa voi fate il nome di Tukacevskij. Radek – Tukacevskij aveva avuto dal governo un incarico per il quale non riusciva a trovare il materiale necessario. Io solo ero in possesso di questo materiale. Lui mi telefonò e mi chiese se avevo questo materiale. Io lo avevo e di conseguenza egli mi mandò Putna, con cui doveva compiere questo incarico, per prendere da me il materiale. Naturalmente Tukacevskij non aveva idea della parte che faceva Putna, né della mia funzione criminale. Visinskij – E Putna? Radek – Era membro dell’organizzazione, e non era venuto per parlarne, ma io approfittai della sua visita per parlarne. Visinskij – Sicché Putna venne da voi, mandato da Tukacevskij, per un incarico ufficiale che non aveva niente a che fare con le vostre faccende, dato che lui, Tukacevskij, non aveva con esse alcun rapporto? Radek – Sì.
Diventa chiara la sceneggiatura del processo. Il maresciallo Tukacevskij non deve (e non può) essere subito messo sul banco degli imputati, vista la sua posizione nell’esercito e la popolarità di cui gode ma il solo fatto che i “traditori” lo abbiano incontrato giustifica un’indagine su di lui. Si va dunque per piccoli passi. Così Visinskij la prende alla larga e chiede a Radek se avesse approfittato dell’incontro allo scopo “di entrare in merito alle vostre faccende particolari”. Radek annuisce. Visinskij – Vi ho capito esattamente. Avete detto che Putna aveva a che fare con i membri della vostra organizzazione trotzkista clandestina e che la vostra allusione a Tukacevskij si riferiva al fatto che Putna venne con un incarico ufficiale su ordine di Tukacevskij? Radek - Lo confermo e dico che non ebbi mai e non ho potuto mai avere rapporti con Tukacevskij in relazione ad attività controrivoluzionarie, perché sapevo che l’atteggiamento di Tukacevskij nei confronti del partito e del governo era quello di una persona assolutamente devota. Il caso Tukacevskij In apparenza dunque Radek scagiona completamente il maresciallo Tukacevskij, ma in realtà lo coinvolge due volte, secondo copione. La prima, perché “confessa” la complicità del generale Putna, molto vicino al suo superiore Tukacevskij, la seconda perché quello di Radek, già spacciato, è il bacio della morte. Ogni sua lode è un atto d’accusa. Colui che Radek scagiona è già un uomo morto. Il piano di Stalin per incastrare Tukacevskij, e con lui il fiore dell’Armata Rossa, è molto sottile. Del resto gli esperti sovietici (certo non quelli dell’occidente, i “cremlinologi”, che cadono nell’inganno inghiottendo esca e amo) leggono subito correttamente questo interrogatorio e si rendono conto che anche per il maresciallo era suonata la penultima ora. Gli arresti tra i militari erano incominciati nel luglio del 1936. E non si trattava soltanto dei generali in odore di trotzkismo, ma anche di quelli, come Yakir e altri, che si erano opposti alla grande “purga” staliniana. Curioso, se è lecito usare questa parola, il caso di un generale di divisione, Dmitri Schmidt, un focoso caucasico che un giorno, al congresso del partito comunista del 1927, incontrando Stalin si era messo a fare lo spiritoso, in quel rozzo stile da caserma che in genere Stalin del resto amava molto Lui stesso era solito impiegarlo con tutti quelli che incontrava facendoli rabbrividire con il suo humour nero. Schmidt rivolgeva dunque a Stalin alcune battute pesanti e alla fine, facendo il gesto di estrarre dal fodero la sua spada cosacca, mimava un’aggressione dicendo a Stalin: “Un giorno ti taglierò le orecchie”. Stalin, che ha una memoria di ferro, nove anni dopo, appunto nel 1936 durante la retata dei generali, fa arrestare e uccidere anche Schmidt, che non è nemmeno lontanamente sospettato di trotzkismo, tradimenti o altro. Il caso Tukacevskij però è diverso. Il maresciallo sovietico è un uomo da tutti ammirato per la sua grande intelligenza, l’eccezionale preparazione militare, la sua brillante visione strategica. Nato da famiglia nobile nel 1893, Michail Nicolaevic Tukacevskij, dopo avere combattuto nella Grande Guerra nell’esercito dello zar, si era unito ai bolscevichi nel 1918, combattendo con abilità e valore. Quando, durante la prima guerra mondiale, Tukacevskij, giovane ufficiale, era stato fatto prigioniero dai tedeschi e aveva condiviso la prigionia con un capitano francese che avrebbe avuto un ben diverso destino: Charles de Gaulle. Quando viene arrestato, Tukacevskij ha solo 43 anni, e ha già un curriculum prestigioso. Direttore dell’Accademia militare nel 1922, capo di stato maggiore l’anno successivo, si distingue per le sue idee moderne, proprio come de Gaulle. Motorizza l’Armata Rossa, la tecnologizza. Nel 1935 è nominato maresciallo. Ma Stalin non lo ama e lo teme, come teme tutti coloro che gli fanno ombra. Fucilato nel 1937, sarà riabilitato nel 1956. La distribuzione dei ruoli I capi d’accusa di questo secondo processo sono equamente distribuiti. Alcuni imputati sono accusati di “sabotaggio” o “tentativo di sabotaggio”.ll copione prevede che ogni imputato ne accusi un altro, in modo che queste accuse incrociate divengano prove determinanti, in mancanza d’altro. Knyazev dice che “Livshitz dette istruzioni speciali di preparare e condurre a termine atti eversivi (esplosioni, distruzioni di treni o avvelenamenti) – in verità tutti atti non meglio specificati – che avrebbero causato grandi perdite di vite umane”. Ulteriore prova, si legge sul verbale, la “analoga deposizione fatta dall’imputato I.D. Turok (T.XXII, f.73). Accusa anche più grave quella mossa a Knyazev. Infatti “una missione ancor più mostruosa diretta contro il popolo dell’Unione Sovietica ebbe l’imputato Knyazev dallo stesso agente del servizio di spionaggio giapponese (che) insisteva sulla necessità di usare mezzi batteriologici in tempo di guerra allo scopo d’infettare treni, spacci e centri sanitari militari con batteri ad alta virulenza”. Invece “gli imputati S.A. Rataichak, G,J, Pushin e I.I. Frasche ammisero di aver avuto rapporti col servizio di spionaggio tedesco, al quale essi fornivano informazioni segrete sulla condizione e l’attività dei nostri impianti chimici”. E tra le accuse c’erano pure quelle relativi atti di terrorismo individuale, come l’uccisione dei massimi dirigenti sovietici (di nessuna delle quali peraltro si è mai avuta notizia). Queste, afferma Visinskij, “sono le istruzioni che L.D. Trotzkij, l’agente del fascismo, dava all’organizzazione trotzkista, la quale stava preparando alcuni atti terroristici contro i capi del partito comunista dell’Unione Sovietica e del governo sovietico in varie zone dell’Unione”. Shestov infatti dichiara che nel 1934, “quando il compagno V.M. Molotov, presidente del Consiglio dei Commissari del popolo dell’URSS andò in Siberia, i terroristi trotzkisti (.) tentarono di ucciderlo in un incidente automobilistico”. Una tecnica, sia detto tra parentesi, molto usata proprio dai “servizi” sovietici contro i presunti oppositori o comunque persone scomode e prese in antipatia da Stalin. Ma questo attentato ebbe luogo? Il verbale si limita a dire che “l’attentato alla vita del compagno V.M. Molotov (.) mediante ribaltamento dell’automobile a bordo della quale egli si recava dall’ufficio telegrafico del Pozzo N.3 (Amministrazione delle miniere di Prokopyevsk) all’edificio degli operai, fu infatti compiuto, ma senza risultato (T. XXVI, f. 48). Chissà se è per questo presunto attentato che viene arrestata e mandata in un lager la moglie ebrea di Molotov, che del di lei destino non si curerà mai.
1937 In URSS annus horribilis
Il secondo dei grandi processi politici sovietici finisce dunque il 30 gennaio 1937, e si chiude con tredici condanne a morte e quattro pene detentive, da otto a dieci anni di carcere. Ma anche i quattro imputati sfuggiti ai plotoni d’esecuzione verranno uccisi nel giro di un paio di anni. Ma che anno per l’URSS è questo 1937! L’epurazione selvaggia, a cui Stalin ha dato il via dopo la morte di Kirov, falcia ora tutto l’apparato comunista. Più che dimezzati i delegati ai Congressi, il Comitato Centrale, la stessa direzione. Stalin in quest’anno sgretola anche l’esercito e le terribili conseguenze si vedranno quattro anni più tardi, al momento dell’attacco a tradimento dell’ex alleato Hitler. L’11 giugno del 1937 esplode dunque in URSS una impressionante notizia: l’Armata Rossa, la gloriosa Armata Rossa, annida nel suo seno più traditori che uomini fedeli. Sono arrestati marescialli, generali, colonnelli in numero impressionante: la spina dorsale dell’esercito. Finora tutte le accuse di sabotaggio, tradimento, terrorismo, erano state rivolte ai presunti trotzkisti, magari nelle varianti di zinovievisti, Centro di Mosca e così via. Chi dava ombra o fastidio a Stalin entrava nella categoria (funesta) dei fascisti, spie della Germania, del Giappone, della Gran Bretagna o altro a piacimento, fino dai tempi più remoti, da prima, da molto prima della Rivoluzione d’’Ottobre, alla quale peraltro tutti gli imputati avevano dato molto, il meglio e il peggio di sé. Contro di loro la campagna denigratoria era partita da lontano ed era sfociata nel Terrore. Mai però era stato preso di mira l’esercito, la mitica Armata Rossa. Nessun segno premonitore. Ora il paese è scosso, e soltanto l’irrigidimento della stretta totalitaria, l’incombere del Terrore impedisce anche la minima espressione di incredulità o di riserva. Ci vorrà oltre mezzo secolo perché emerga la verità e perché sia data notizia dell’entità dei massacri tra le forze armate. Per cinquant’anni pochissimi ne saranno a conoscenza, salvo i carnefici e le famiglie delle vittime. Ma chi sono almeno le principali vittime?
Mikhail Tukacevskij, maresciallo, vice Commissario del popolo (cioè vice-ministro) alla Difesa, il generale d’armata Yonah Yakir, al comando della regione militare bielorussa, il generale di corpo d’armata Evgenij Eideman, l’attaché militare a Londra, generale di corpo d’armata Vitvot Putna, il generale d’armata Kork, il generale di corpo d’armata Primalkov, il generale di corpo d’armata Feldman (curiosamente nello stesso periodo un altro generale Feldman serviva nell’esercito degli Stati Uniti), e Uborevic, e Gamarnik… Il comunicato ufficiale recita:
Le persone succitate erano accusate di aver mancato al loro dovere militare e al giuramento di fedeltà, di avere tradito il loro paese, il popolo dell’URSS e l’Armata Rossa degli operai e dei contadini.
Stalin fa a pezzi l’esercito sovietico
Ci si può chiedere: perché Stalin fa a pezzi l’esercito? Stalin teme l’esercito come possibile minaccia al suo potere. Teme che intorno all’Armata Rossa, dove le simpatie per Trotzkij continuano a essere molte, anche se prudentemente taciute, si coaguli un’opposizione al suo potere assoluto e lo minacci o quanto meno in qualche modo lo condizioni. Secondo la terminologia marxista-leninista anche la gloriosa Armata Rossa può essere oggettivamente considerata la cova di possibili rivali di Stalin. Quanto basta al dittatore, che ostenta di considerarsi l’unico depositario del dogma marxista-leninista, per ritenere la gran parte dei militari oggettivamente anticomunisti e oggettivamente golpisti. Come dire: oggettivamente colpevoli. E dunque colpevoli. Ma tutti quei generali e ammiragli progettavano davvero un colpo di stato, più o meno come quello che verrà tentato nel luglio del 1944 da alcuni generali tedeschi? Sicuramente no, malgrado quanto sembra ritenere qualche storico, pure antistalinista, come Isaac Deutscher. E che non l’abbiano mai progettato lo dimostrano le successive riabilitazioni – post-mortem – di tutti i militari vittime di Stalin.
Il trucco dei documenti falsi
Come fa Stalin a mettere sotto accusa l’intera classe militare, Tukacevskij in testa? Semplice. Fa preparare dai suoi esperti dei documenti falsi dai quali risulta che il maresciallo e altri generali sono compromessi con la Germania di Hitler (evidentemente non ancora alleato dell’URSS, altrimenti Stalin avrebbe disinvoltamente cambiato nazione, come ha fatto con il Giappone, la Francia e l’Inghilterra). Poi però non li tira fuori lui, li fa pervenire proprio alla Germania, che è ben felice di prestarsi a un gioco che avrebbe indebolito militarmente l’Unione Sovietica. Il gioco non finisce qui. Per rendere credibile il marchingegno, Hitler fa avere i documenti, in modo molto segreto per non insospettire il Presidente cèco Benes, ai servizi cecoslovacchi, che a loro volta, ritenendo plausibile il complotto dei militari sovietici e volendo tenersi buono Stalin, li passano ai colleghi di Mosca. I falsi documenti sono così perfettamente “riciclati”. Questo il punto di partenza per i primi arresti. Seguiranno certi nomi fatti aleggiare apposta al secondo e poi al terzo processo, e i giochi sono davvero fatti. 1937 annus horribilis Il 1937 è un anno tragico in URSS anche per i comunisti stranieri che vi avevano trovato rifugio. Pochi giorni dopo l’annuncio della condanna a morte e dell’avvenuta pronta fucilazione della metà dei quadri militari sovietici, nella notte tra il 28 e il 29 giugno 1937 viene arrestato a Mosca il comunista ungherese Béla Kun, l’uomo che nel 1919 aveva instaurato in Ungheria una repubblica comunista detta “dei cento giorni”, quanti cioè era durata la sua dittatura. Costretto a fuggire e riparato a Mosca, Lenin lo impiega per governare la Crimea appena conquistata. Béla Kun la governa con la stessa spietatezza usata nei suoi cento giorni ungheresi. Di lui è stato scritto che era “l’incarnazione dell’inadeguatezza intellettuale, dell’incertezza della volontà e della corruzione autoritaria”. Béla Kun insomma non si discosta dalla figura del dirigente comunista dell’epoca. Stalin ha rappresentato davvero “l’impero del male”, ma molte delle sue vittime comuniste non erano tanto migliori di lui. (Lo stesso Nikolaj Bucharin, il più moderato dei dirigenti comunisti dell’epoca, e probabilmente il più intelligente, di sicuro non può aspirare alla beatificazione, anche se la sua fine è stata orribile e persino dal punto di vista comunista del tutto ingiusta). Béla Kun era un comunista fedele che credeva nel mito marxista. La sua disgrazia è sancita nel maggio del 1937 a una riunione del Comitato esecutivo del Comintern, quando un agente di Stalin infiltrato nel Comintern attacca Béla Kun accusandolo di avere tenuto contatti con la polizia segreta romena a partire dal 1919 e soprattutto di avere tenuto un contegno insolente nei confronti di Stalin. Per Béla Kun è un sorpresa assoluta. I verbali di quell’incontro riportano la sua dichiarazione:
Questa è una terribile provocazione, una cospirazione per farmi assassinare. Ma io giuro di non avere mai avuto intenzione d’insultare il compagno Stalin. Voglio spiegare tutto allo stesso compagno Stalin.
Ma anche qui il copione era già scritto. All’uscita dalla riunione due agenti dell’Enkavedé lo trascinano fuori. La sceneggiatura di Stalin è però più raffinata. Non solo quel giorno stesso Béla Kun è lasciato libero, ma proprio Stalin in persona qualche giorno dopo gli telefona, tutto cordiale e scherzoso, per chiedergli un favore. Béla Kun avrebbe dovuto incontrare un giornalista francese per smentirgli la notizia del suo arresto diffusa subito in Occidente, gli dice Stalin, . E Béla Kun, sollevato, esegue. Meno di un mese dopo però, nella notte tra il 28 e il 29 giugno del ’37, è di nuovo arrestato. Di lui non si saprà più niente, se non, parecchio tempo dopo, che la sua esecuzione è avvenuta nel 1938. Per buona misura ne arrestano anche la moglie e il genero. La figlia l’arresteranno invece un po’ dopo, nel 1941. Tutti inghiottiti dai lager e lì spariti. E’ dunque questo il clima del 1937, quello che l’anno successivo porta al più raffinato, ma anche al più difficile dei tre processi perché non tutto va come prevedeva il copione. Per questo in URSS non si parlerà più di processi politici. Le esecuzioni, le deportazioni, avverranno nel segreto. Non tanto segreto però. Le notizie lasciate filtrare ad arte serviranno a terrorizzare tutta la popolazione ed anche la ormai sparuta e perplessa minoranza comunista. Ecco perché questi anni si chiameranno del Terrore.
Pubblicheremo le prossime parti di "A domanda confessa" nella rubrica "Le storie raccontate da Luciano Tas"