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La Repubblica Rassegna Stampa
14.02.2007 Gli esperti dell'Unione europea: "inevitabile la bomba degli ayatollah"
e intanto Velayati prova a migliorare l'immagine del regime

Testata: La Repubblica
Data: 14 febbraio 2007
Pagina: 12
Autore: Alberto D'Argenio - Bernard Guetta
Titolo: «Iran, l´allarme degli esperti Ue»

Secondo le anticipazioni del Financial Times, per gli analisti di Javier Solana, rappresentante Ue per la politica estera, è inevitabile che l'Iran riesca a dotarsi di armi nucleari.
Solana smentisce e parla di "manipolazione".
A noi, però, sembra che le cose siano molto semplici: se nessuno la fermerà, è ovvio che la corsa all'atomica iraniana avrà successo.

Ecco il testo:

BRUXELLES - Nonostante le sanzioni Onu e i tentativi di mediazione della comunità internazionale, l´Iran riuscirà a dotarsi dell´arma nucleare. A scriverlo sono gli analisti di Javier Solana, rappresentante Ue per la politica estera, in un documento riservato scritto la scorsa settimana per gli addetti ai lavori di Bruxelles. Peccato che l´analisi di tre pagine sia finita nelle mani del quotidiano britannico Financial Times, che ieri ne ha pubblicato alcuni passaggi nell´articolo di prima pagina titolato "Troppo tardi per fermare la bomba iraniana". Un taglio che ha scatenato l´ira dello staff di Solana e alimentato i sospetti che il testo sia stato recapitato al giornale della City da chi ha interesse a drammatizzare la situazione.
Dire che giudichiamo «inevitabile» che l´Iran si procuri la bomba atomica «è una chiara manipolazione», ha commentato la portavoce di Solana, secondo cui il documento è «molto generico» e sono state le estrapolazioni del quotidiano, scritte al di fuori del proprio contesto e con un titolo aggressivo, a dare un senso drammatico ad un testo che «non presenta novità particolari». Ma ieri pomeriggio è arrivata la contromossa del giornale inglese che, accusato di inaffidabilità, ha pubblicato sul proprio sito internet il documento integrale i cui contenuti, in effetti, non sono proprio rassicuranti. Anche se, ricordano diversi diplomatici, i documenti interni sono sempre piuttosto rudi e la loro lettura senza una mediazione tecnico-politica può essere fuorviante.
Polemiche a parte, gli esperti di Solana aprono l´ultima sezione del documento, quella dedicata alla sicurezza, avvertendo che «è difficile credere che, almeno nel breve periodo, gli iraniani saranno pronti a stabilire le condizioni per riaprire i negoziati» sul nucleare saltati lo scorso autunno con la conseguente approvazione delle sanzioni Onu. Per poi affermare, e qui sta il dato più preoccupante, che Teheran sta portando avanti il programma nucleare secondo un «proprio ritmo» punteggiato da «fattori di rallentamento» riconducibili ad alcune «difficoltà tecniche» e non certo alle risoluzioni dell´Onu o dell´Agenzia internazionale per l´energia atomica. Ecco perché, è la conclusione, «dobbiamo aspettarci che a un certo punto l´Iran acquisirà la capacità per arricchire l´uranio sulla scala necessaria per un programma di armamento».
Ma non è tutto, visto che anche sull´efficacia delle sanzioni gli esperti Ue non si fanno troppe illusioni. Le sanzioni adottate con la risoluzione 1737 dell´Onu, è il loro giudizio, hanno un impatto diretto limitato e da sole «non saranno in grado di risolvere i problemi». Teheran, infatti, ha sempre dimostrato una grande resistenza alle pressioni esterne e oltretutto il governo potrebbe usare le sanzioni per alimentare il nazionalismo o per spiegare i propri insuccessi economici. Una serie di dubbi, tuttavia, che non sono stati in grado di mettere discussione la linea da seguire: applicare le sanzioni Onu tenendo la porta aperta alla ripresa dei negoziati nel nome della strategia del "doppio binario". Ovvero quella approvata lunedì scorso, qualche giorno dopo la stesura del documento, dai ministri degli Esteri dell´Ue. Ma i dubbi sul futuro rimangono, visto che gli analisti di Solana chiudono la loro analisi chiedendosi se e come si riuscirà a riportare Teheran al tavolo negoziale e se converrà premere in sede Onu per approvare nuove sanzioni.
Intanto al Justus Lipsius, il palazzo del Consiglio Ue, non manca chi sospetta che il documento sia stato fatto trapelare per «fare gli interessi di chi vuole drammatizzare la situazione», in un momento in cui si rincorrono indiscrezioni su una possibile azione militare da parte degli Usa. «Ciò che non ci piace - ha spiegato un diplomatico - è l´implicazione che le sanzioni non stanno funzionando e che pertanto si sta contemplando un´azione militare».

Di  seguito, un'intervista ad Ali Akbar Velayati, consigliere diplomatico della Guida suprema iraniana, l´ayatollah Ali Khamenei:

TEHERAN - «Il negoziato sul programma nucleare si può risolvere senza crisi, dato che aspiriamo solo alla sicurezza, quella del nostro paese, della regione e del mondo». Parla così nel suo ufficio di Teheran Ali Akbar Velayati, ex ministro degli Esteri e oggi consigliere diplomatico della Guida suprema iraniana, l´ayatollah Ali Khamenei, a cui ha chiesto di far abbassare la tensione intorno all´Iran.
Il negoziato si potrebbe risolvere sulla base di una sospensione parallela delle sanzioni del Consiglio di sicurezza e delle vostre operazioni di arricchimento dell´uranio? Accettereste quest´idea di El Baradei, direttore dell´Agenzia internazionale per l´energia atomica?

«Ne ho parlato con Vladimir Putin la settimana scorsa a Mosca. Non abbiamo divergenze su questo punto».
Parlando concretamente accettate quest´idea di sospensione parallela?
«Accettiamo volentieri che El Baradei sia il nostro interlocutore su questa questione. Occorre ora che ci presenti una proposta scritta, e che ci sia data la possibilità di esaminarla. Ci siamo consultati qui a Teheran, e il nostro negoziatore, Larijani, ha ricevuto istruzioni».
Ma lei non mi ha risposto.
«Le porte sono spalancate al negoziato con El Baradei, senza limitazione alcuna».
Neppure su una sospensione delle vostre operazioni di arricchimento? La parola «sospensione» non è più tabù in Iran?
«Avevamo già accettato, in questi ultimi anni, una sospensione di due anni e mezzo ma alla fine si è visto che di fatto si voleva la nostra rinuncia all´energia nucleare, e questa è una richiesta del tutto irricevibile. Dunque quella sospensione non rese possibile un accordo; ma dato che continuiamo a pronunciarci per una soluzione pacifica del problema, nessuna idea dev´essere inaccettabile a priori, né per noi né per chiunque altro. Abbiamo una sola linea rossa: il rispetto al nostro diritto all´energia nucleare, che ci è garantito dal Trattato di non proliferazione. Non vogliamo il nucleare militare, ma tutti devono sapere - lo ripeto, e insisto su questo punto - che il nostro diritto al nucleare civile è una linea rossa che difenderemo senza nulla cedere».
Come credere che l´Iran non voglia la bomba, quando voi intendete «cancellare dalla carta geografica» uno Stato membro delle Nazioni Unite?
«Comprendo che sta parlando di Israele, ma ecco ciò che dice la nostra Guida, la nostra autorità suprema, e ciò che dice per sua bocca l´Iran: tutti gli abitanti, musulmani, ebrei e cristiani, di quel territorio che chiamiamo Palestina devono pronunciarsi democraticamente sul suo futuro. È la democrazia che deve risolvere il problema».
Come credere a questo, quando l´Iran ha da poco organizzato una Conferenza internazionale per negare la realtà dell´Olocausto?

Velayati omette di precisare che dal referendum proposto da Khamenei sarebbero esclusi gli ebrei arrivati in Israele dopo il 1948 e sarebbero invece inclusi i profughi palestinesi e i loro discendenti. L'esito del referendum sarebbe dunque scontato, perché determinato da una maggioranza precostituita.
La richiesta del referendum è solo un altro modo per dire che Israele deve sparire. Con le buone (la "democrazia") o con le cattive (la bomba).
L'intervistatore doveva ricordare questi fatti, invece con la sua domanda  avvalora, volontariamente o meno,  l'inganno di Velayati. "Come credere questo" chiede, come se  "questo"( il referendum di Khamenei )sarebbe un gran passo avanti.

«Non ho preso parte a quella Conferenza, ma il suo scopo non era di negare l´Olocausto, bensì di tentare di procedere a un esame dei fatti. Ci si può interrogare sul numero delle vittime di quel genocidio senza negare che abbia avuto luogo. Posso ricordarle, a questo proposito, che è stato commesso dai nazisti, cioè da europei? E che quel massacro era stato preparato da tutte le persecuzioni avvenute in Europa nei secoli precedenti, a incominciare da quelle organizzate in Spagna? Il Corano dice: "Quando qualcuno toglie la vita a un innocente uccide l´umanità intera". Non c´è mai stato un genocidio di ebrei in terre musulmane. Al contrario, è nell´Impero Ottomano che gli ebrei di Spagna hanno potuto trovare rifugio, apportandovi tutti i loro talenti».
Dunque il genocidio è una realtà storica?

La conferenza, che riuniva noti negazionisti, ha negato la Shoah. Ma il suo scopo era un altro. Lo stesso di Velayati: negare legittimità a Israele, in base alla falsa supposizione che essa si fondi sulla Shoah

«Sì, ma noi non accettiamo che questa realtà sia utilizzata per giustificare l´oppressione dei palestinesi».
Ad ascoltarla, ci si chiede veramente come mai da mesi ci arrivano dall´Iran tante dichiarazioni incendiarie.

 A leggere le parole di Velayati si capiscono benissimo le dichiarazioni incendiarie provenienti da Teheran, che esprimono in modo più violento la stessa ideologia.

«Se le nostre dichiarazioni erano "incendiarie", come lei dice, non lo erano più di quelle fatte a suo tempo dal generale De Gaulle. Le ricordo le sue parole: "Viva il Quebec libero!"».
Ma via! De Gaulle non ha mai parlato di «cancellare dalla carta geografica» il Canada.
«No, soltanto di spostarlo».
L´Iraq sta sprofondando nella guerra civile. Perché siete contrari a una soluzione federale che potrebbe forse fermare quest´ingranaggio?
«Questo, non lo abbiamo mai detto».
Lo dicono tutti i vostri diplomatici.
«Non lo abbiamo mai detto perché spetta agli iracheni decidere ciò che vogliono fare a casa loro. Se optano per il federalismo, se questa è la loro decisione, va benissimo».
La vostra influenza in Iraq è grande. Che uso ne fate? Quali sono le vostre proposte?
«Non solo abbiamo influenza sull´Iraq, abbiamo anche 1200 chilometri di confine con questo paese amico; e tante volte abbiamo accolto i suoi profughi, che ora sono ai posti di comando a Bagdad. Riteniamo che si deve sostenere il governo iracheno, perché è uscito dalle urne, dare aiuti alla ricostruzione e porre fine all´occupazione».
George Bush dice le stesse cose.
«Il problema è che i suoi atti non corrispondono alle sue parole. Anche al Congresso coloro che chiedono il ritiro delle truppe vogliono il mantenimento di basi Usa in Iraq, per pesare sul futuro delle regione».
Le vorrebbero anche i regimi sunniti, perché l´Iran li preoccupa.
«Le loro preoccupazioni sono infondate. Non siamo stati noi a eleggere in Iraq una maggioranza sciita; l´hanno eletta gli iracheni, che sono sciiti al 60%. C´è una maggioranza che deve accordarsi con le minoranze, come accade ovunque. È per questo che proponiamo l´organizzazione di una Conferenza di stabilizzazione regionale, dedicata in particolare al terrorismo. Dobbiamo tutti far fronte al suo sviluppo, dopo l´invasione dell´Iraq e quella dell´Afghanistan e dopo gli attentati dell´11 settembre, la più grande catastrofe della storia contemporanea, poiché le sue vittime erano innocenti».
Questo desiderio di stabilizzazione regionale è contraddetto dal vostro sostegno agli Hezbollah libanesi. Anche per questo destate molte inquietudini, innanzitutto nei regimi sunniti. Non sarebbe ora di invitare gli Hezbollah al disarmo?
«Per facilitare le cose a Israele?».
Di che sta parlando? Sono quasi dieci anni che gli israeliani si sono ritirati dal Libano, e si direbbe che l´ossessione degli Hezbollah sia di farceli tornare, come l´estate scorsa.
«Israele non si è ancora ritirato dalle fattorie di Shebaa, che appartengono al Libano. Resta dunque un altro passo da fare, e fintanto che il governo libanese rimarrà debole come lo è oggi, Hezbollah rappresenta una forza di dissuasione. È necessario innanzitutto rafforzare il governo libanese».

L'ultima parte dell'intervista contiene a nostro giudizio domande pertinenti ed efficaci repliche alle bugie di Velayati

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