Pubblichiamo la seconda parte della ricostruzione dei processi di Mosca scritta da Luciano Tas. Nella ricostruzione del primo processo, Tas è giunto a scrivere dei due imputati di più alto grado nella gerarchia comunista: Zinoviev e Kamenev
I due primattori:
Kamenev…
Sfilano infine, per le loro ultime dichiarazioni, i due personaggi principali, Kamenev e Zinoviev. Comincia Kamenev.
Con Zinoviev e Trotzkij ho organizzato e diretto il complotto terroristico che aveva premeditato e preparato parecchi attentati terroristici contro i dirigenti del partito e del governo del nostro paese, e che ha preparato l’assassinio di Kirov. Per dieci anni, e forse più, ho lottato contro il partito, contro il governo del paese dei soviet e contro Stalin in persona. Mi sembra di avere usato in questa lotta tutto l’arsenale di mezzi politici che conoscevo: discussione politica aperta, tentativi d’infiltrazione nelle fabbriche, proclami illegali, volantini clandestini, inganni verso il partito, discesa in piazza e organizzazione di manifestazioni di piazza, complotto e infine terrorismo. “
Da dieci anni e forse più” dice Kamenev. E’ la tecnica degli inquirenti di retrodatare il presunto tradimento. Si vuole che gli imputati risultino traditori da sempre e da sempre al servizio del fascismo, del capitalismo e così via. Infatti, dice Kamenev
è così che abbiamo servito il fascismo, che abbiamo organizzato la controrivoluzione contro il socialismo, che abbiamo preparato, spianato la strada agli interventisti. Questo è stato il nostro cammino e questo è il baratro di abominevole tradimento e di abiezione in cui siamo precipitati.
In verità la colpa di questi imputati è quella di non condividere la strategia e la tattica di Stalin nei suoi disegni per il paese. Ciò che nei paesi democratici rappresenta l’opposizione democratica con le sue espressioni politiche parlamentari, nell’Unione Sovietica è alto tradimento. Qui si va al potere con colpi di Stato, non attraverso elezioni regolari. Qui chi perde non va a occupare i banchi della sinistra o della destra, finisce al muro (nel migliore dei casi) o nei campi di concentramento della Siberia. Quando a metà degli anni Venti il partito era stato costretto a ristabilire un minimo di proprietà privata per rimediare al disastro economico della nazionalizzazione, Kamenev e Zinoviev erano stati contrari alla NEP, la Nuova Politica Economica, che restituiva un po’ di libertà al mercato. E Stalin, che la NEP aveva voluto, trovava in Bucharin l’alleato necessario per abbattere il prestigio dei due leader. Ma poi Stalin faceva sua la politica di Kamenev e di Zinoviev per mettere fuori gioco Bucharin. Quando però questo avveniva, Kamenev, Zinoviev, e altre migliaia di comunisti non c’erano già più per far fronte comune con Bucharin. Stalin li aveva eliminati alla fine del processo del ’36.
…e Zinoviev
Zinoviev -- Voglio dire ancora una volta – dice - che confesso la mia colpevolezza interamente e senza riserve. Siamo diventati i successori del terrorismo dei socialrivoluzionari, il mio bolscevismo carente si è trasformato in antibolscevismo e, attraverso il trotzkismo, sono arrivato al fascismo. Il trotzkismo è una varietà di fascismo, e lo zinovievismo è una varietà di trotzkismo. Mi dichiaro assassino e fascista
Quasi tutti gli imputati sembrano ansiosi, anche nelle loro dichiarazioni finali, di scavalcare in severità lo stesso pubblico ministero. Ecco Berman-Iurin: Lo Stato proletario agirà a mio riguardo come merito. E Goltzman: Sul banco degli imputati prende posto una banda di assassini, e non solo di assassini, ma di assassini fascisti. Io non chiedo nessuna attenuante.
La giustizia sovietica è rapida: il processo dura quattro giorni Alle 19 del 23 agosto 1936 il tribunale si aggiorna per avere il tempo di deliberare la sentenza. Alle 2.30 del mattino del 24 agosto (quindi in sole cinque ore e mezzo) si riprende. La sentenza è pronta e la legge il presidente Ulrich. Tutti e sedici gli imputati sono condannati alla pena suprema, la fucilazione, con la confisca di tutti i beni personali. Trotzkij Lev Davidovic e suo figlio Sedov Lev, residenti attualmente all’estero, debbono essere, se scoperti su territorio dell’URSS, immediatamente arrestati e deferiti al Tribunale militare della Corte Suprema dell’URSS.
Il giallo di una morte annunciata
L’avvenuta fucilazione è annunciata alla popolazione sovietica e al mondo intero pochissimi giorni dopo. Ma qui s’inserisce un giallo. Almeno due imputati, Zinoviev e Kamenev, in realtà verranno fucilati una settimana dopo l’annuncio ufficiale della loro morte. Che cosa è successo? E perché? Nel corso del processo sono stati fatti altri nomi. Li hanno fatti, si può dire in modo apparentemente casuale, testimoni e imputati (che spesso erano la stessa persona). Nomi buttati lì, per qualche precisazione marginale, per collegare due fatti, magari addirittura come prova a difesa. Ma nulla d’importante, sembrava. In realtà la regia del processo rispondeva a una sceneggiatura ferrea. Stalin, per dare una parvenza di legalità alla eliminazione fisica di quanti gli danno fastidio, si prepara a incriminarli proprio sulla base di quanto è avvenuto al processo, cioè il fatto che siano stati nominati. Non importa come e quanto, sono stati nominati e tanto basta per istruire un’indagine e un processo contro di loro. Oppure, per quelli non importanti, un arresto e un soggiorno alla Lubianka, la temuta prigione di Mosca. E da lì, confessi o meno, al lager o al muro. E’ così che sono preparati i grandi processi del 1936, 1937 e 1938. Ma torniamo al punto. Perché la comunicazione della morte di Kamenev e Zinoviev è data una settimana prima dell’esecuzione? Per perfezionare le confessioni degli altri imputati e soprattutto per evitare slabbrature del copione. Il testo delle confessioni, per assurdo che suoni, deve essere quello e non un altro. Così, nei giorni successivi all’annuncio dell’avvenuta fucilazione di Kamenev e di Zinoviev, i due vengono mostrati vivi agli imputati ancora in attesa di andare o tornare in aula. Come strizzare l’occhio per dire loro: “Vedete che non succede niente? Facciamo così per l’opinione pubblica, in realtà verrete tutti mandati al confino o in qualche campo lontano, certo non verrà eseguita nessuna condanna a morte”. In questo modo le vittime potranno confessare secondo copione con tutta fiducia e avviarsi al macello con animo sereno.
Ritratto in nero di sedici traditori
Chi sono i sedici imputati di questo primo “grande” processo? Grigory Zinoviev, pseudonimo di Radomilskij, nasce nel 1883 in Ucraina da famiglia ebrea borghese. Aderisce appena diciottenne al partito socialdemocratico russo e un anno dopo, nel 1903, nel corso del famoso e drammatico congresso del partito, entrava a fare parte dell’ala scissionista e maggioritaria (bolscioi) bolscevica. Nel 1905 prendeva parte alla rivoluzione abortita e agiva politicamente in quella che si chiamava ancora S. Pietroburgo. Divideva con Lenin l’esilio e nel 1912 entrava a far parte del comitato centrale del partito bolscevico. Nell’aprile 1917 era sullo stesso treno piombato che riportava Lenin in Russia dalla Germania con la benedizione tedesca. Nel 1922 entrava nel Politburo, la vera stanza dei bottoni, e a Leningrado era l’incondizionato boss del Soviet e del partito. Nel 1924, dopo una breve eclisse dovuta al fallimento della rivoluzione comunista in Germania nel 1923, era all’apice del potere insieme a Kamenev e a Stalin, una famosa trojka. I tre mettevano fuori gioco Trotzkij, ma già nel 1926 il timore che Stalin occupasse troppo potere li poneva in posizione critica, che sembrava però superata nel 1927 al XV congresso del partito, che vedeva la conferma del consenso a Stalin. Zinoviev è stato un maestro d’intrighi, ma sulla sua strada doveva scoprire a sue spese che Stalin in questo campo era più bravo di lui. La disgrazia di Zinoviev incominciava qui. Scendeva di gradino in gradino finché nel 1935 veniva arrestato, condannato, costretto all’autocritica (questa sì, probabilmente di sapore koestleriano) e successivamente liberato, anche se con il suo dossier bene in evidenza a “futura memoria”. Nel 1936 infatti è di nuovo arrestato. Poi il processo. Lev Kamenev, pseudonimo di Rosenfeld, nasce nel 1883 a Mosca da famiglia ebrea. La sua storia è simile a quella di Zinoviev, con in più qualche anno di Siberia inflittagli dal governo zarista nel 1914, subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. Intellettualmente più fine di Zinoviev, diventerà presidente del Soviet di Mosca e vice-presidente del consiglio dei ministri (quando si chiamavano ancora Commissari del Popolo). Più volte espulso e riammesso nel partito dopo il congresso del 1927, esiliato negli Urali, dividerà con Zinoviev l’ultimo atto della vita. Ma anche gli altri imputati sono vecchi bolscevichi. Gregorij Evdomikov faceva parte della segreteria comunista e del comitato centrale. Vagarchak Ter-Vaganian, giornalista armeno, aveva combattuto nella guerra civile, naturalmente dalla parte dei bolscevichi. Onesto, privo di ambizioni, idealista. Richard Pikel, commediografo, scrittore, anche lui ex combattente rosso. Arrestato mentre lavorava al teatro Kamerny di Mosca perché molti anni prima aveva fatto parte della segreteria personale di Zinoviev. Ivan Bakajev è un personaggio più importante, era stato capo dell’Enkavedé (che prima si chiamava Ghepeù e prima ancora Cekà e poi si sarebbe chiamata KGB) di Leningrado. Veniva arrestato nel 1934. Zinoviev scriveva allora una lettera preoccupata a Jagoda, al momento capo dell’Enkavedé. La risposta di Jagoda non si faceva attendere e Zinoviev veniva arrestato. Poco dopo anche Jagoda sarà arrestato e nel ‘38 ucciso. Ci sono poi dei trotziksti veri al processo del ’36. Ma sono lontanissimi da ogni tipo di complotto, del resto totalmente impossibile. Sarebbero felici della morte di Stalin, come quasi tutti i russi, ma tra desiderare la morte di qualcuno e organizzarne l’assassinio ce ne corre. Ma ora, 1936, vige in URSS il principio della “responsabilità oggettiva”, come dire: processo alle intenzioni. E’ trotzkista Serghiej Mrashkovskij, che subisce un interrogatorio di novanta ore prima di cedere, è trotkista Efim Dreitzer, che era stato guardia del corpo di Trotzkij, e la cui confessione è necessaria, anzi, è la chiave di volta dell’istruttoria perché Dreitzer deve recitare la parte del messaggero di Trotzkij. E c’è David Kruglianskij, alias David Fritz, ex agente dell’Enkavedé, come Aleksandr Fomich, alias Berman-Jurin, anche lui ex agente incaricato di sorvegliare gli uomini del Comintern, l’Internazionale Comunista. E poi un chirurgo, Nathan Luriè, uno scienziato, Ilic Moise Luriè, e Valentin Olberg, di origine tedesca, che con i suoi 29 anni è il più giovane degli imputati. Dal Komsomol, l’organizzazione giovanile comunista, anche lui all’Enkavedé, dove, ricattato per una frase contro Stalin, diventava prima informatore e poi vittima (non succede a lui solo). Di Olberg arrestavano anche la moglie, Betty, che in lager tentava di suicidarsi. Era salvata e curata. Ma nel 1940 farà parte di quel gruppo di comunisti tedeschi che Stalin consegnava alla Gestapo. E’ così che finirà Betty. Trucidata dai nazisti.
La stampa occidentale e la stampa sovietica
La stampa occidentale ha qualche perplessità, ma non più di quello. La stampa di sinistra invece non ha dubbi. Gli imputati sono davvero, come ha detto Vysinskij, “cani arrabbiati”. E la stampa sovietica? Ovviamente tutta a chiedere la pena di morte. E tra gli editorialisti che con maggior zelo si scagliano contro gli imputati (“Niente grazia”, “Niente pietà”, ecco alcuni titoli della “Pravda”), tre nomi: Rakovskij, Rykov, Pjatakov (tutti e tre seguiranno a breve la sorte di Kamenev e compagni). Così, sulla Pravda del 21 agosto 1936, Grigorj Pjatakov: Non si possono trovare parole per esprimere pienamente l’indignazione e il disgusto. Questa gente ha perduto l’ultima sembianza di umanità. Essi debbono essere distrutti come carogne che ammorbano la pura, tonificante aria della terra dei Soviet, pericolose carogne che possono causare la morte dei nostri capi… Subito dopo la fucilazione dei sedici imputati Stalin ordina a Jagoda di far fucilare 5000 oppositori che già si trovavano nei lager. La sentenza è eseguita subito.