La corruzione in Israele? Colpa della vittoria nel 67 la stravagante tesi di Avraham B. Yehoshua
Testata: La Stampa Data: 13 febbraio 2007 Pagina: 1 Autore: Avraham B. Yehoshua Titolo: «Israele, il contagio della corruzione»
Non un normale portato della vita democratica, da correggere con gli strumenti della giustizia e della libera informazione, come in ogni altro paese. La corruzione politica in Israele sarebbe un portato dell'occupazione di Cisgiordania e Gaza (descritta unilateralmente come una continua serie di sopprusi). E' la tesi di Avraham B. Yehoshua in un articolo pubblicato sulla STAMPA. Nel quale comunque si riafferma la fiducia nella democrazia israeliana. Ecco il testo:
Le indagini dalla polizia in questi giorni in Israele, le commissioni d’inchiesta che cercano di fare chiarezza sugli errori compiuti durante la seconda guerra del Libano, la ripugnanza destata dai sospetti reati sessuali commessi dal presidente Moshe Katsav, l’arresto dei vertici delle autorità fiscali e altre vicende suggeriscono profonde lacerazioni nel tessuto morale di Israele. I vecchi israeliani come me, che ben conoscono la storia dello Stato fin dalla sua fondazione, rimangono sbalorditi dalle dimensioni assunte dal fenomeno della corruzione e dal moltiplicarsi delle inchieste, e si domandano: che è successo? Che è cambiato? A cosa è dovuta questa situazione? È uno stato di cose che esiste da anni? O viene alla luce solo ora, in seguito a controlli più temerari e approfonditi da parte del procuratore generale, della polizia, dei controllori dello Stato (come nel corpo umano si possono all’improvviso scoprire patologie presenti da tempo mediante esami più moderni e raffinati)? No, io non accetto questa ipotesi. Non credo che la corruzione sia venuta a galla solo per merito delle forze dell’ordine, della magistratura, o del coraggio di cittadini - uomini e donne - che hanno sporto denuncia contro chi commette abusi (come le dipendenti della residenza presidenziale che hanno accusato il presidente Katsav di stupro e molestie sessuali). Ciò che si rivela è un malessere molto più profondo, una perdita di valori all’interno della società israeliana e del suo apparato governativo come mai si era registrato in passato. Anche il comportamento degli accusati e dei sospettati di reato è oggi molto più sfacciato e aggressivo. Ricordo che negli Anni Settanta, allorché si paventò il sospetto di corruzione nei confronti di un ministro del partito laburista, quel ministro si tolse la vita. Lo stesso fece il direttore di una grande banca, brillante economista, perché sospettato di reati finanziari. Quando Pinkhas Sapir, il leggendario ministro delle Finanze del governo di Golda Meir morì, si scoprì che tutto ciò che possedeva era un modesto appartamento in un quartiere periferico di Tel Aviv e qualche risparmio in banca. E il fondatore dello Stato d’Israele, nonché la sua personalità politica di maggior spicco, David Ben Gurion, trascorse gli ultimi undici anni della sua vita con la moglie in una casetta di legno del kibbutz Sde Boker, nel deserto. Una casetta che ancora oggi stupisce i visitatori per la sua estrema modestia. Anche il leader della destra ed ex primo ministro Menachem Begin visse fino alla morte in un semplice appartamento di Tel Aviv e mai fu sfiorato dall'ombra del benché minimo sospetto di corruzione. È vero, negli ultimi tempi episodi di malcostume sono diffusi anche in altri Paesi, e molte democrazie sono macchiate dagli intrecci tra potere politico e finanziario. Gli interessi economici soppiantano le ideologie del passato e il denaro serve da strumento nell’elezione di governanti. Ma come mai Israele, Paese che fino a pochi anni fa non era quasi toccato da frodi e corruzioni, ne è ora travolto? L’origine e la radice profonda dei recenti episodi di malcostume deriva, secondo me, dalla scissione, a partire dal 1967, tra due distinti insiemi di norme e di valori. Da un lato i principi morali e giurisdizionali dello Stato democratico hanno continuato a essere applicati secondo la tradizione dello Stato di diritto, e si sono persino raffinati negli ultimi anni; dall’altro, nei territori palestinesi, occupati durante la guerra dei sei giorni, si è andato stabilendo un nuovo sistema di valori. Questi due sistemi operavano affiancati, ma il confine che li separava si è fatto via via più sottile e le brecce aperte in esso sempre più grandi. A differenza di altri stati colonialisti, i cui domini erano lontani dalla madrepatria e che mantenevano una presenza poco significativa dei propri cittadini nelle colonie (a eccezione dell’Algeria e di pochi altri casi) i territori palestinesi sono adiacenti e confinanti con il territorio nazionale israeliano. E in Cisgiordania gli organi di giurisdizione operano in modo completamente diverso: terreni di palestinesi vengono confiscati illegalmente, i coloni ebrei agiscono come fuorilegge, compiendo atti provocatori ai danni di palestinesi ma senza incorrere in alcuna sanzione penale, esempi di ingiustizia e di sfruttamento diventano bazzecole che possono sempre essere giustificate adducendo motivi di sicurezza o ideologici, in conformità all’ideale politico del grande Israele. Ma il confine tra i due criteri di giurisdizione non poteva rimanere chiuso e impenetrabile. Un poco alla volta lo stato di occupazione, che avrebbe dovuto essere temporaneo, è divenuto una realtà stabile, e mediante una politica di insediamenti civili nel cuore della popolazione palestinese, i legami tra Israele e i territori occupati si sono fatti più stretti. Le norme del regime colonialista e militarista hanno cominciato a filtrare all’interno degli organi giurisdizionali e governativi democratici, pregiudicandone la corretta attività. Politici, funzionari, ufficiali dell’esercito - soprattutto appartenenti alla destra - hanno introdotto nella vita pubblica israeliana norme deprecabili invalse nei territori occupati, e la corruzione è cresciuta. Per fortuna il sistema giuridico israeliano è indipendente e poggia su fondamenta di provata integrità. E la presenza di molte donne nella magistratura e nella polizia ha contribuito molto, a mio avviso, a rafforzare tale sistema. Ma nel momento in cui norme inammissibili vengono tollerate in silenzio, nemmeno il sistema giuridico più forte riuscirà a destabilizzarle. Non dimentichiamo inoltre che l’economia globale apre infinite e complesse opportunità a reati finanziari, e Israele, negli ultimi anni, grazie anche alla diaspora ebraica, mantiene forti legami con l’economia mondiale. Quindi non bastano un sistema giuridico e una polizia sempre all’erta, occorre anche il sostegno dell’opinione pubblica. E ho l’impressione che gli ultimi, sconvolgenti episodi di corruzione tra politici e funzionari statali abbiano risvegliato dal loro torpore i cittadini israeliani, che ora pretendono con fermezza che la legalità e la giustizia tornino a occupare un posto di primo piano nella vita pubblica.
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