Il caso Ariel Toaff ha ispirato a Luciano Tas un significativo paragone storico:
E’ singolare che sia stato riproposto a febbraio 2007 un interrogativo a cui s’immaginava essere già stata data risposta da molto tempo. E cioè si riproponeva il quesito su quanto credito era da darsi alla confessione di un imputato, comunque ottenuta, quindi anche sotto tortura. Beninteso, non vi si poteva dare fede interamente. Ma, ed ecco il senso della domanda, se in quella confessione si riscontravano alcune cose vere, e se in molte confessioni si riscontravano elementi comuni tra loro, allora è lecito, almeno per lo storico, rivedere tutte le carte? Lo storico, ovviamente, può fare ciò che vuole, anche giocare con la Storia. A patto di essere informato del fatto che in ogni confessione estorta non solo possono, ma devono esserci elementi veritieri ed alcuni comuni, al fine di dare maggiore credibilità alla confessione stessa. Ne sono stati esempi significativi i Grandi Processi svolti settanta anni fa in Unione Sovietica contro i rivali veri o presunti di Stalin. In quel tempo le confessioni erano accuratamente preparate dagli accusatori e gli imputati venivano costretti a impararle praticamente a memoria. Più che confessioni si trattava dunque di copioni. Gli esempi che seguono, e quelli che pubblicheremo nei prossimi giorni, sono nient’altro che la citazione dei verbali sovietici dell’epoca. E sembrano significativi.
Luciano Tas
Di seguito, la prima parte della trascrizione, commentata, dei verbali dei processi:
In piedi, entra la Corte
In piedi, entra la Corte Il sipario si alza sul processo numero uno Sono le 12.10 del 19 agosto 1936 Il cancelliere pronuncia la frase d’uso nella Sala d’Ottobre della Casa dei Sindacati di Mosca, adibita ad aula del Tribunale Militare della Corte Suprema dell’URSS. Sul banco degli imputati siedono sedici stelle di prima grandezza del partito comunista sovietico. La loro sorte è decisa prima che cominci il processo. La loro colpa è stata quella di avere dato in qualche modo ombra a Josip Stalin, Signore ormai assoluto dell’Unione Sovietica, davvero l’ultimo zar dell’impero. Tra i sedici imputati, almeno due sono già noti in tutto il mondo. Uno si chiama Zinoviev, pseudonimo di Grigorij Evseevic Radomiyl’skij. Il secondo è Kamenev, pseudonimo di Lev Borisovic Rosenfeld. Sono ebrei, come altri sette imputati, i cui cognomi ebraici sono sottolineati dal cancelliere che legge l’atto d’accusa. Come quello di David Fritz, , o di Moshe Ilic Luriè, e di Nathan Luriè, e così via. Altri imputati, anch’essi comunisti di provata fede, sono: Gregorij Jeremejevic, già condannato (ma poi liberato) nel 1935 con l’accusa dii avere fatto parte di un fantomatico e sovversivo “Centro di Mosca”; Ivan Bagaiev, anche lui condannato (e successivamente liberato) come appartenente al “Centro di Mosca”; Sergej Mrashkovskij, Vagarchak Ter-Vaganian: Ivan Smirnov. Tutti questi, oltre che Kamenev e Zinoviev, sono stati arrestati per avere “organizzato una serie di gruppi terroristici che preparavano l’assassinio dei compagni Stalin, Voroscilov, Zdanov, Kaganovic, Kirov, Kossior, Orgioniikidze e Postyscev” e di avere “organizzato e realizzato (…) lo scellerato assassinio del compagno S.M. Kirov”. Gli altri imputati, oltre a Fritz e ai due Luriè, sono: Isaac Reingold, Richard Pikel, Eduard Goltzman, Valentin Olberg, Konon Berman-Iurin. Tutti quanti, i primi e i secondi, sono <accusati dei crimini previsti dagli articoli 58-8, 19, 58-11 del Codice Penale della Repubblica Socialista Federata Sovietica Russa>.
Dissidenti o terroristi assassini?
Di cosa sono davvero accusati questi sedici uomini che rappresentavano una parte importante della storia del partito comunista sovietico e della rivoluzione? E’ credibile che questi esponenti di primissimo piano del partito comunista, che per il trionfo della rivoluzione avevano messo a rischio le loro vite e speso tutte le loro capacità per realizzare quei sogni di giustizia e libertà che avevano mosso le loro esistenze? Di che cosa si tratta lo raccontano i verbali dei grandi processi politici celebrati in URSS nel 1936, 1937 e 1938. Sono i verbali stenografici sovietici ufficiali, integralmente pubblicati anche in Italia nel 1977 dall’editore Rusconi. Vediamo allora cosa continua a leggere il cancelliere del tribunale militare.
Nei giorni 15 e 16 gennaio 1935 il Tribunale militare della Corte Suprema dell’URSS, trasferito in sessione a Leningrado, ha esaminato la causa contro il gruppo clandestino degli zinovievisti che portava il nome di “Centro di Mosca”, e i cui capi principali, accanto agli altri imputati in questo caso, erano Zinoviev, Kamenev, Evdokimov e Bakajev. L’istruttoria preliminare e l’esame di questo caso hanno stabilito che l’organizzazione “Centro di Mosca” ha diretto per parecchi anni l’attività controrivoluzionaria di diversi gruppi clandestini di zinovievisti, ivi compresa quella del gruppo Nikolajev-Kotolinov di Leningrado, che il 1° dicembre 1934 ha scelleratamente assassinato il compagno Kirov.
Sergej Kirov, Segretario del Partito a Leningrado
Il nome di Sergej Kirov è importante nella macchinazione ideata da Stalin per liberarsi dei suoi rivali, veri, potenziali o presunti. Dalla morte di Lenin nel 1924 e fino a questo processo del 1936 Stalin aveva compiuto un bel pezzo di scalata verso il potere assoluto, che proprio questi e altri due successivi processi “politici” sanciranno, incoronandolo zar indiscusso e invincibile per quasi trent’anni, fino alla sua morte nel 1953. Stalin aveva incominciato la sua marcia verso l’alto dopo avere sottratto e nascosto il testamento di Lenin che metteva in guardia il partito dalla rozza violenza dell’ex seminarista georgiano. Per giungere alla dittatura personale senza controlli si era servito di una scala formata dai suoi compagni di direzione, proprio Kamenev, Zinoviev e il più giovane Bucharin. Aveva adoperato quei tre per costringere il leggendario capo dell’Armata Rossa, Lev Trotzkij (che farà assassinare in Messico nel 1940) a fuggire in esilio. Poi userà Bucharin per distruggere Kamenev e Zinoviev e infine si servirà di altri personaggi, anch’essi poi via via fisicamente eliminati, per sbarazzarsi di Bucharin. Kirov, potente segretario del partito di Leningrado e figura popolare in tutta la Russia comunista, proprio per la sua popolarità dava ombra a Stalin che decideva di farlo ammazzare, attribuendone poi la colpa a immaginari gruppi trotzkisti, zinovievisti e così via. L’assassinio di Serghej Kirov avveniva il 1° dicembre del 1934. A compierlo era un oscuro membro del partito, un non meglio identificato Nikolaev. Kirov era in piena ascesa politica, beninteso nel PCUS. Nel 1934, al Congresso del partito, era riuscito a ottenere più di voti di Stalin per essere ammesso nel Comitato Centrale. Ovvia la gelosia di Stalin, e ovvie le conseguenze. Esponenti di spicco del partito venivano arrestati pochi giorni dopo l’assassinio di Kirov. Un processo contro di loro si era tenuto alla metà di gennaio del 1935. L’epurazione del partito, già incominciata l’anno precedente, era stata (e sarà ancora) di proporzioni inimmaginabili. Gli iscritti al PCUS, tre milioni e mezzo nel ’33, nel ’35 erano diventati due milioni e 700.000. E non è che ottocentomila persone avessero lasciato il partito: venivano inghiottite dai lager e dalle fosse comuni. Anche la morte dello scrittore Maksim Gorkij era attribuita a un’altra stella cadente della rivoluzione, Genrich Jagoda, capo della Ghepeù, la sinistra polizia politica, che di Gorkij era amico. Jagoda sarà assassinato nel 1938.
E ora di nuovo in aula Sentiamo ancora il lungo capo d’accusa.
L’istruttoria ha stabilito che Zinoviev, Evdokimov, Bakaiev e altri imputato erano i fautori e gli organizzatori di attentati contro la vita di alti dirigenti del partito comunista dell’URSS e del governo sovietico. L’istruttoria ha pure stabilito che gli zinovievisti conducevano la loro attività criminale in accordo con i trotzkisti e con Lev Trotzkij che risiede all’estero. Questi diedero vita a un centro unificato che ha organizzato gruppi di terroristi specializzati che prepararono una serie di misure pratiche in vista dell’assassinio dei compagni Stalin, Voroscilov, Kaganovic. Kirov, Ordonikidze, Zdanov, Kossiov, Postjcev e altri.
Si sparge il panico tra i massimi dirigenti sovietici. Sono tutti ansiosi di sapere se nel corso del processo il loro nome verrà indicato come una possibile vittima degli “zinovievisti” o trotzkisti che dir si voglia. Se verrà indicato, tutto per ora andrebbe bene, ma se verrà omesso, questo costituirà l’inconfondibile segno che il dirigente, a sua totale insaputa, è caduto in disgrazia e che sarà lui il prossimo imputato oppure che verrà preso senza far rumore e liquidato con un colpo di pistola alla nuca nelle cantine della Lubianka, la prigione “politica” di Mosca. Dura ore l’atto d’accusa. Zinoviev va alla sbarra e confessa.
Il centro trotzkista-zinovievista - dice - si prefiggeva come compito principale l’assassinio dei dirigenti del partito comunista dell’URSS.
Pari pari le parole dell’accusa. Con questo tipo di difesa non c’è bisogno dell’accusa Poi è la volta di Kamenev. Anche la sua autodifesa – si fa per dire – è a dir poco sorprendente. Ecco le sue parole.
Il fatto che il paese fosse uscito dalle difficoltà e che trionfasse la politica del Comitato Centrale del partito comunista dell’URSS provocò in noi un nuovo accesso di furore e di odio contro la direzione del partito, soprattutto contro Stalin. Il solo mezzo con cui potevamo sperare di arrivare al potere era l’organizzazione di atti terroristici contro i dirigenti del partito comunista, in primo luogo contro Stalin. Avevamo puntato sulle difficoltà insormontabili che attraversava il paese, sulla crisi dell’economia, sul fallimento della politica economica. Ora, verso il secondo semestre del 1932 fu chiaro che avevamo perduto. Sembrerebbe evidente che si fosse dovuto cessare la lotta. Ma la logica controrivoluzionaria, la sfrenata sete del potere priva di ogni principio morale, ci hanno spinto in un’altra direzione.
Un’autodifesa che farebbe invidia a qualunque accusatore. Una lettera mai presentata in aula L’atto d’accusa prosegue citando una lettera (del cui originale o copia non c’è però traccia) di Trotzkij a un altro imputato, Efim Dreitzer. Così Trotzkij avrebbe scritto all’amico.
Caro amico, trasmettete che all’ora attuale si pongono davanti a noi i seguenti compiti fondamentali: 1) Sopprimere Stalin e Voroscilov, 2) Sviluppare il lavoro di organizzazione di cellule nell’esercito, 3) In caso di guerra approfittare di ogni smacco e di ogni confusione per impadronirsi della direzione.
Ora, Trotzkij aveva dovuto lasciare in tutta fretta l’URSS prima di venire arrestato. Quindi sapeva molto bene che tipo di regime si era instaurato nel paese. E’ dunque credibile che abbia spedito una lettera così clamorosamente compromettente per il destinatario, in un paese come l’URSS, dove la più ferrea censura era stata la prima preoccupazione del regime, che d’altronde lui stesso aveva contribuito a creare? E sembra possibile che proprio lui, il principale difensore della Rivoluzione contro i nemici interni ed esterni del paese, l’eroe dell’Armata Rossa, che per difendere i principi comunisti non aveva esitato nel 1921 a sterminare i marinai della base navale di Kronstadt in rivolta, spingesse i suoi “complici” ad allearsi con (improbabili) aggressori esterni?
Peggio della menzogna, peggio della perfidia…
Vengono interrogati più volte tutti gli imputati. Il pubblico ministero è Andrei Visinskij (sarà ministro degli Esteri tra il 1949 e il 1953). Visinskij si rivolge di nuovo a Kamenev.
-L’assassinio di Kirov è stato direttamente opera vostra? -Sì. -Come giudicate gli articoli e le dichiarazioni da voi scritte nel 1933, in cui esprimevate tutta la vostra devozione al partito: una menzogna? -Peggio di una menzogna. -Una perfidia? -Peggio della menzogna, peggio della perfidia. Trovate la parola allora! Tradimento forse? -L’avete detto.
E Zinoviev conferma Visinskij, durante l’interrogatorio di Kamenev, si rivolge per un momento a Zinoviev.
-Imputato Zinoviev, confermate questo? -Sì -Tradimento, perfidia, doppiezza? -Sì.
A domanda confessa
Visinskij: Imputato Kamenev, potete parlarci dei motivi della vostra condotta? -Posso solo confessare il fatto che, essendoci preposti il fine mostruosamente criminale di disorganizzare il governo del paese socialista, abbiamo fatto ricorso a metodi di lotta a nostro avviso idonei a tale scopo e che sono altrettanto bassi e vili quanto lo stesso fine che volevamo perseguire. -Nella vostra lotta contro la direzione del partito e del governo siete stati dunque spinti da motivi gretti e da una sete di potere personale? -Sì, siamo stati spinti dalla sete di potere del nostro gruppo. -Non trovate che tutto ciò non ha niente a che vedere con l’ideologia socialista? -C’è la stessa differenza che c’è tra rivoluzione e controrivoluzione. -Voi siete dunque dalla parte della controrivoluzione? -Sì -Di conseguenza, vi rendete ben conto che perseguite la lotta contro il socialismo? -Ci rendiamo pienamente conto di condurre la lotta contro la direzione del partito e del governo che portano il paese al socialismo.
In due sul palcoscenico
Sul palcoscenico torna ancora Zinoviev, al quale Visinskij chiede di illustrare i suoi rapporti con Trotzkij.
Le nostre divergenze con Trotzkij dopo il XV Congresso non erano altro che una scappatoia. E’ proprio a questo punto che ci siamo lanciati completamente nel doppio gioco. E’ vero, ho mentito spesso, ho incominciato a mentire dal momento in cui mi sono messo sulla strada della lotta contro il partito bolscevico. Visinskij – In questo momento voi dite la verità? -Sì, in questo momento e fino alla fine dirò tutta la verità. -Anche il 15 e il 16 gennaio 1935, all’udienza del Tribunale militare della Corte Suprema, voi sostenevate di dire tutta la verità. -Il 15 e il 16 gennaio del 1935 non ho detto tutta la verità. -Non l’avete detta, ma affermavate di dirla. Riassumendo le vostre deposizioni si può arrivare alla conclusione che nell’organizzazione del blocco e del centro terroristico trotzkista-zinovievista il ruolo decisionale spettava da una parte a voi che dirigevate gli zinovievisti, e dall’altra a Trotzkij per mezzo dei suoi rappresentanti? -Esatto.
Nessuna prova, nessun indizio, nessuna logica elementare
Tutte queste accuse di terrorismo, di costituzione di gruppi decisi a prendere il potere dopo avere assassinato Stalin e i suoi fedeli sono ovviamente rozze invenzioni. Nessuna prova, nessun indizio e nessuna logica elementare sta alla base di accuse formulate in modo tanto clamoroso e basate esclusivamente sulle confessioni degli imputati. Ognuna di questa confessioni serve poi per incriminare tutti gli altri. Il fatto è che si vuole impressionare un’opinione pubblica ancora pochissimo smaliziata. E per impressionarla non basta fare riferimento alle diverse posizioni politiche degli imputati, o addirittura alle diverse sfumature, che non giustificherebbero arresti e tribunali speciali, ma occorre inventare complotti, tentativi di assassinio, mostruosi crimini contro la patria. Non importa che le accuse non stiano in piedi. Occorre che la gente veda in quelli che fino a ieri applaudiva (con maggiore o minore convinzione) dei personaggi ripugnanti. La “colpa” non può essere “oggettiva”, deve essere “soggettiva”. Che questa sceneggiatura riesca davvero a impressionare il popolo, magari senza riuscire a persuadere tutti, è possibile, ma che possa convincere i numerosi giornalisti stranieri presenti in aula, questo è meno comprensibile. Né alcuno di questi giornalisti sembra nemmeno sfiorato dal dubbio quando sente Zinoviev dire:
Dopo l’assassinio di Kirov la nostra perfidia si spinse a tal punto che io inviai alla “Pravda” un necrologio su di lui. Visinskij – Si può dire che siete stato non solo organizzatore e ispiratore dell’assassinio di Kirov, ma anche artefice della sua pronta realizzazione? -A un certo punto cercai di accelerare i tempi. -Avete fatto pressioni su Bakaiev perché eseguisse l’assassinio di Stalin. Lo confermate? -Lo confermo.
L’Arcipelago Gulag allarga le sue porte
Questo processo non è l’inizio del bagno di sangue perpetrato dalla dittatura staliniana, ma ne ha rappresentato, insieme agli altri due processi pubblici che sono seguiti nel 1937 e nel 1938, il momento culminante, quello che verrà chiamato “Il Grande Terrore”. Molti anni dopo la stessa polizia politica, il KGB, erede dell’Enkavedé, della Ghepeù, della Cekà, nomi sinistri nella storia sovietica, tirerà fuori dai suoi archivi alcune cifre: 800.000 fucilati, due milioni e 800.000 deportati morti nell’”Arcipelago Gulag”, cioè l’insieme dei lager sovietici. Questa una parte del costo dell’assurdo sacrificio umano sull’altare di un’ideologia forse errata e comunque ben presto degenerata in un sistema totalitario corrotto, corruttore e omicida.
La requisitoria di Visinskij
Dopo avere interrogato tutti gli imputati, che confessano colpe, anche al di là di quelle contestate, in una specie di tragica grottesca gara, ecco parte della requisitoria pronunciata da Andrei Visinskij il 22 agosto.
Compagni giudici, compagni membri del Tribunale militare della Corte Suprema dell’Unione! Per tre giorni avete esaminato minuziosamente e con tutta l’attenzione necessaria i capi di reato e le prove presentate dall’accusa contro gli uomini qui seduti sul banco degli imputati, accusati di avere commesso i più gravi crimini contro lo Stato. Odiosa e mostruosa è la catena di questi crimini diretti contro la nostra patria socialista. Ognuno di essi merita la più severa condanna, il più severo castigo. Odioso e mostruoso è l’insieme di questi criminali e assassini che hanno alzato la mano contro i dirigenti del nostro partito, contro i compagni Stalin, Voroscilov, Zdanov, Kaganovic, Ordonikidze, Kossior e Postycev. Mostruosi sono i crimini perpetrati da questa banda che non solo ha preparato azioni terroristiche, ma ha assassinato uno dei migliori figli della classe operaia, uno dei più amati discepoli di Stalin, l’indimenticabile Sergej Mironovic Kirov…
Il Grande Procuratore sovietico, Andrei Visinskij
Chi era Andrej Visinskij che offriva veste legale a questi delitti che stavano per essere perpetrati su ordine di Stalin? Dagli oscuri uffici della Procura di Mosca era salito alla massima carica della magistratura sovietica usando esclusivamente lo strumento della confessione come “regina delle prove”. Con questo infallibile strumento usato a sua discrezione esclusiva, come prima mossa faceva arrestare Krilenko, suo predecessore alla carica di Procuratore generale dell’URSS, e due grandi giuristi, Pasciukanis, autore di una monumentale “Teoria generale del diritto e del marxismo”, e Sceliapov, teorico del diritto marxista. Tutti naturalmente rei confessi, insieme ad altri giuristi cui non era stato accordato nemmeno l’onore di un processo, sia pure truccato, e semplicemente “liquidati” a firma appunto di Vysinskij, le cui fatiche al servizio di Stalin verranno premiate nel 1949 quando diventerà ministro degli Esteri. In questa veste sarebbe intervenuto più volte alle Nazioni Unite finché qualcuno non ebbe a rilevare che i suoi trascorsi non ne facevano il personaggio più adatto per parlare di diritti umani. Visinskij, pochi giorni prima di essere richiamato in URSS, morirà serenamente nel suo letto a New York, carico di onori e di gloria, nel 1954. Dopo la denuncia dei delitti di Stalin fatta da Kruscev al XX Congresso del PCUS, il quotidiano “Izvestja” nel 1957 potrà finalmente scrivere: “Vysinskij liquidò anche quello che egli definiva il diritto economico, col pretesto che gli studiosi che avevano elaborato questo ramo del diritto erano dei sabotatori, proclamando semplicemente che un diritto economico non esisteva…”. E il 1957 era ancora l’anno della prudenza, della destalinizzazione timida (pochi anni dopo completamente fermata), del timore frenante di andare troppo in là.
Ancora in aula Visinskij:
Facciamo ora un bilancio. Un infame e impotente pugno di vili traditori e assassini pensava di arrestare con i suoi delitti immondi il potente cuore del nostro popolo! Un infimo pugno di vili avventurieri ha tentato di calpestare con i suoi sudici piedi i migliori e più profumati fiori del nostro giardino socialista. Questi cani arrabbiati del capitalismo volevano fare a pezzi i migliori fra i migliori uomini della nostra terra sovietica. Il paese intero risponde agli assassini che hanno perfidamente sparato il 1° dicembre 1934, maledicendoli. In questo sconfinato amore delle innumerevoli masse di lavoratori per il nostro partito, per il suo Comitato Centrale,per il nostro Stalin e i suoi gloriosi compagni, in questo amore senza fine del popolo risiede tutta la forza di difesa e salvaguardia dei nostri capi, dei dirigenti del paese e del partito contro ii traditori, gli assassini, i banditi! E chiedo che questi cani arrabbiati siano fucilati tutti fino all’ultimo!
Ultimo giorno, ultime dichiarazioni
Dal verbale stenografico. In apertura dell’udienza pomeridiana il presidente Ulrich si rivolge a ciascun imputato e concede loro la parola per la difesa, dato che essi avevano rifiutato di scegliere dei difensori. Molti imputati dichiarano, a turno, che non pronunceranno arringhe poiché riconoscono giuste le accuse di cui sono incriminati. Quarto e ultimo giorno del processo. E’ il 23 agosto 1936. Ecco qualcuna delle dichiarazioni finali degli imputati. La prima è quella di Sergej Mrashkovskij, un vecchio bolscevico che se è colpevole di qualcosa, e certamente lo è, non è contro il partito o Stalin, ma contro quelli che non la pensavano come il partito e come Stalin, al quale lui è sempre stato fedele.
Nel 1923 sono diventato trotzkista, mi sono messo sulla strada della vigliaccheria e della menzogna contro il partito. Basta con i miei meriti passati, il passato non esiste. Del presente però non si può fare tabula rasa. Io sono controrivoluzionario e non chiedo che il mio castigo sia mitigato. Non è questo che desidero. Voglio che si creda che in istruttoria, come nel corso del processo, ho detto tutta la verità.
Questo “voglio che si creda” suona come un estremo tentativo criptico di fare intendere l’esatto contrario. Come si potrebbe infatti credere che un uomo, anche se colpevole, rinunci a difendersi, a portare almeno delle attenuanti, e chieda invece di subire la massima pena? E quel riferimento al 1923 come inizio del suo crimine, quando ancora Trotzkij era il perfetto interprete del volere di Lenin e del catechismo marxista, e all’apice della popolarità, che significato può avere se non quello di un “eccesso di zelo” da parte dell’accusa? Ma proprio questo vuole l’accusa: infangare l’imputato fin dal tempo più lontano. Il popolo russo, terrorizzato, può ben fingere di credere a questa grottesca sceneggiata, ma i corrispondenti esteri, i francesi, gli inglesi, gli americani? Il fatto è che i giudici, il presidente, Vysinskij, gli imputati, tutti dovevano imparare a memoria domande e risposte come in una recita teatrale senza alcuna buca del suggeritore. Una volta indotti gli imputati a confessare quello che vogliono gli inquirenti, diventa più facile costringerli a recitare secondo copione. Ma con quali mezzi gli imputati sono indotti alla macabra recita? Nel suo famoso “Buio a mezzogiorno”, Arthur Koestler immagina che gli imputati, veri comunisti, anche se in contrasto politico e ideologico con Stalin, abbiano inteso rendere l’ultimo servizio al partito. Stalin ha vinto, dunque ha ragione lui e torto noi, pensa il personaggio di Koestler, che finisce, nel romanzo, per accettare la confessione, ma non del delitto di “lesa ideologia”, ma proprio di reati infami come il tradimento della patria, la collusione con il nemico capitalista, con lo straniero al fine di rovesciare il potere comunista e vendere parti della Russia alla Germania, al Giappone, alle potenze imperialiste, gli omicidi, e via delinquendo. La realtà comunista sovietica emersa un po’ alla volta ci offre un quadro meno romantico. Il cedimento degli imputati avviene dopo torture fisiche e dopo ricatti nei confronti delle famiglie, cui però non verranno risparmiati successivamente carcere e lager, anche nel caso di ragazzi di dodici e tredici anni, mentre l’età minima per essere giustiziati scende per legge a dodici anni. Dreitzer e Evdokimov Ecco quello che dice Dreitzer, altra stella nel cielo comunista sovietico.
Io sono tra coloro che non hanno il diritto di sperare, né di chiedere la grazia. E Evdokimov. Ciò che ci distingue dai fascisti è a nostro svantaggio. Il fascismo scrive chiaramente sulle sue bandiere: “Morte ai comunisti”. Noi invece abbiamo sempre sulla bocca “Viva il comunismo” ma in realtà lottiamo contro il socialismo trionfante in URSS. Non ritengo possibile chiedere clemenza. Troppo grandi sono i crimini che abbiamo commesso contro lo Stato proletario e contro il movimento rivoluzionario internazionale.
A seguire le prossime puntate