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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.02.2007 Attenti potrebbe essere un trappolone
l'accordo tra Hamas e Fatah potrebbe sbloccare i fondi della comunità internazionale, ma senza che Hamas riconosca Israele e rinunci al terrorismo

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 febbraio 2007
Pagina: 14
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Intesa alla Mecca per il governo di unità palestinese»
Dalla prima pagina del CORRIERE della SERA del 9 febbraio 2007:

GERUSALEMME — Dopo due giorni di colloqui nel luogo più sacro dell'islam, le fazioni rivali palestinesi di Hamas e Fatah hanno firmato, durante una cerimonia alla Mecca in Arabia Saudita, l'accordo per dare vita a un governo di unità nazionale. Il presidente Abu Mazen ha incaricato l'attuale primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, di formare il nuovo esecutivo. Il testo dell'intesa, raggiunto anche grazie alla mediazione del re saudita Abdullah, non parla di riconoscimento di Israele. Ma il governo rispetterà le «norme internazionali».

L'accordo della Mecca, in realtà, potrebbe avere conseguenze tutt'altro che positive.
Senza un riconoscimento di Israele da parte di Hamas, senza una rinuncia definitiva al terrorismo, il governo di coalizione potrebbe servire soltanto a sbloccare i fondi della comunità internazionale, senza impedire che vengano dirottati a finanziare il terrorismo.

Di seguito, la cronaca di Davide Frattini a pagina 14:

GERUSALEMME — Sono usciti solo quando hanno avuto la certezza di non deludere chi gli aveva messo a disposizione quei saloni sontuosi. Dopo due giorni di trattative, le delegazioni palestinesi hanno aperto il portone del Palazzo degli Ospiti e la strada alla nascita del governo di unità nazionale. Ci provavano da otto mesi, non avevano mai trovato un accordo e c'è voluto l'intervento del re saudita Abdullah. Che aveva deciso di non interferire nei negoziati: ha offerto ad Hamas e Fatah un invito che non si poteva rifiutare («venite alla Mecca per discutere») e poi li ha chiusi in una stanza da soli. Né il presidente Abu Mazen né Khaled Meshal si sono potuti permettere di imbarazzare il sovrano.
Così, poco dopo le dieci di sera, hanno firmato l'intesa, questa volta alla presenza di Abdullah. Il primo ministro Ismail Haniyeh, anche lui in Arabia Saudita, riceve di nuovo l'incarico per formare il governo e sarà affiancato da un vice-premier del Fatah. Le poltrone chiave sarebbero già state concordate e distribuite. Alle Finanze va Salem Fayyad, che ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale, e Ziad Abu Amar, molto legato ad Abu Mazen, guiderà la diplomazia.
Il ministero degli Interni, che fino ad ora era stato un ostacolo insuperabile, verrà affidato a un indipendente scelto dal raìs in una lista di nomi presentata da Hamas. Proprio il controllo delle forze di sicurezza ha scatenato gli scontri nella Striscia di Gaza, dove un gruppo di pronto intervento creato dal governo fondamentalista ha fronteggiato negli ultimi mesi gli uomini della guardia presidenziale.
Nel palazzo che si affaccia sulla Kaaba, il «Cubo» sacro ai musulmani, Abu Mazen e Meshal hanno definito la formula che sperano possa fermare l'embargo internazionale. Le fazioni — Hamas compresa — promettono di «rispettare» le intese firmate con Israele. Il presidente avrebbe voluto un passo più forte verso il riconoscimento dello Stato ebraico, una delle richieste di americani ed europei per riavviare il flusso di aiuti. Ha insistito perché Hamas inserisse l'impegno a essere «vincolato» dagli accordi. Alla fine il testo parla solo di «rispetto per la legalità internazionale e per gli accordi siglati dall'Organizzazione per la liberazione della Palestina», quindi anche quelli di Oslo. Fonti di Hamas hanno voluto subito precisare che la formulazione scelta non implica un riconoscimento di Israele. «Diamo il via a una nuova era e un governo capace di mettere fine alle sofferenze del nostro popolo», ha commentato Abu Mazen. Meshal ha assicurato «davanti a Dio e ai musulmani» che la Dichiarazione della Mecca verrà onorata.
La piattaforma del governo sarà anche basata sul documento dei prigionieri, preparato in carcere da Marwan Barghouti, leader del Fatah condannato a cinque ergastoli dagli israeliani. Il piano prevede la nascita di uno Stato palestinese nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. I capi dei detenuti sostengono anche la fine delle violenze contro Israele dalla Striscia di Gaza ma spingono perché «la lotta all'occupazione continui in Cisgiordania».
Prima dell'annuncio, Tzipi Livni, ministro degli Esteri israeliano, aveva lanciato da Madrid un appello alla comunità internazionale. «Qualunque governo palestinese deve rispettare il nostro diritto a esistere. Chiediamo che europei e americani rimangano fermi su questo punto». Anche Miri Eisin, portavoce del premier Ehud Olmert, ha ricordato le condizioni poste dall'Occidente dopo l'arrivo al potere di Hamas, con la vittoria alle elezioni del gennaio 2006. Olmert vuole comunque far ripartire i negoziati con il presidente palestinese e tre giorni fa, prima dell'esito del vertice alla Mecca, aveva annunciato un incontro con Abu Mazen e Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, per il 19 febbraio a Gerusalemme.


lettere@corriere.it

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