Sull'antisionismo dei media Lucia Annunziata preferisce non rispondere e replica cambiando discorso alla domanda di un lettore
Testata: La Stampa Data: 07 febbraio 2007 Pagina: 36 Autore: Lucia Annunziata Titolo: «Il conflitto interarabo e la nostra indifferenza»
Lucia Annunziata sulla STAMPA del 7 febbraio 2007 risponde a un lettore suldisinteresse dei media verso le faide interpalestinesi. Per negare che il disinteresse dei media per i morti palestinesi, quando non è convolto Israele, siano una prova dell'ostilità preconcetta verso questo paese, la giornalista cambia discorso e ricorre ad analogie non convincenti. L'Africa non ha mai avuto, nemmeno quando vi sono stati coinvolgimenti occidentali, un'attenzione mediatica paragonabile a quella riservata al conflitto israelo-palestinese.
Ecco il testo:
A tutti quei bravi giornalisti ipocriti che si sono tanto preoccupati dei «poveri bambini palestinesi», perché adesso che questi palestinesi si fanno la guerra civile da soli e si ammazzano da soli, compresi i bambini (l’altro giorno è stato rapito il nipotino di Mukhammad Dakhlan), non dite niente? Perché oggi non gridate allo scandalo? Perché oggi non pubblicate un filmino sull'uccisione di qualche altro Mukhammad ad-Dura? Perché la verità è che dei «poveri bambini» non ve ne frega niente; dei palestinesi pure non ve ne frega niente. Voi siete soltanto imbevuti di un atavico antisemitismo. DOTT. ANTONIO LOLLI, PISTOIA
Ci siamo già occupati di questo tema. Non ci sono dubbi su quel che dice: la copertura giornalistica della guerra civile in Palestina non gode della medesima forza e convinzione con cui si copre la guerra fra Israele e palestinesi. È sconfortante. Lei usa termini che non userei mai: non credo che sia né menefreghismo, né antisionismo. L’occupazione israeliana dei Territori è un atto di guerra, ampiamente condannato, e da anni, dall'Onu; Israele in questa occupazione ha condotto una campagna di repressione e controllo che ha portato i palestinesi a un quasi collasso sociale, politico e mentale. Anche questo è un dato di fatto con cui bisogna fare i conti - e dirlo non ha nulla a che fare con l'antisemitismo. Però, ripeto, ha ragione nell'indicare come le guerre tra arabi trovino il nostro mestiere, ma anche i nostri governanti, più esitanti, più muti di quanto non siano nei confronti di Israele. Le ragioni? C'è di sicuro un giudizio che influisce: in quanto considerati (e giustamente) il lato debole di un conflitto, si parla con più cautela delle «colpe» dei palestinesi. Ma, se lei ci fa caso, questa reticenza viene fuori in quasi ogni altro caso di conflitto interarabo: l'esempio più visibile è il conflitto in Iraq. Con chi siamo, in quel Paese? Con i sunniti o con gli sciiti? Non si sa. Per quel che sappiamo, la guerra civile irachena è sprofondata in un’unica massa indistinta di sanguinosa violenza, come se dentro non ci fossero né ragione, né torto, né scopi. Se le critiche alla politica Usa in Iraq sono state puntuali e giuste, ancora non si delinea una analisi e una critica di natura politica dello scontro interno a questo vasto mondo arabo per noi così rilevante. Ignoranza, reticenza, indifferenza? Spesso, quando si tocca il tema, mi viene da pensare a un'altra grande guerra civile, di non tanti anni fa, una delle più tremende, quella in Ruanda fra hutu e tutsi. Lì non c'era Israele, non c'erano gli Usa, e c'erano ragioni umanitarie vicine al milione, cioè al numero di morti che in un solo mese vennero fatti dal lavoro dei machete. Era una guerra di potere, una guerra che ha riscritto un pezzo degli equilibri in Africa. Noi la catalogammo come «guerra tribale». La spiegazione più agghiacciante è la più semplice: forse perché erano neri?
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