Il problema non è tanto la minaccia iraniana, quanto il pericolo di sopravvalutarla.
E' la tesi di Aldo Rizzo sulla STAMPA del 7 febbraio 2007.
Ricorda molto quella di chi negli anni 30 pensava che non si dovesse soppravvalutare la minaccia iraniana.
Ecco il testo:
Ma, dopo anni e anni ormai che se ne parla, la bomba atomica iraniana è un pericolo grave e imminente, o è un pericolo, sì, ma relativo e controllabile, o è addirittura un falso pericolo, per non dire un bluff? Se ci si fa caso, le notizie al riguardo sono contraddittorie. Per esempio, c’è stato uno strano caso diplomatico in Francia. In un’intervista a tre giornali, il presidente Chirac ha detto che dopotutto un Iran con una o due bombe non sarebbe poi questo grande dramma, perché gli ayatollah non possono non sapere che, se usassero una di queste bombe, nel giro di pochi minuti, per l’inevitabile rappresaglia (israeliana, americana?), Teheran non esisterebbe più. Il giorno dopo, ha riconvocato gli stessi giornalisti per dire che no, la politica francese verso l’Iran non è cambiata nella sostanza e Parigi resta contraria anch’essa alla bomba.
La logica della deterrenza reciproca
Chirac ha voluto dire e non dire? Un giornale americano, il Boston Globe, ha addirittura fatto l’ipotesi che non ci stia più con la testa, dopo «l’episodio neurologico» del 2005 e a tre mesi dalla fine del suo doppio mandato. Invece l’Herald Tribune, uno dei tre giornali invitati all’Eliseo, ha pubblicato una «news analysis» in cui si afferma che il presidente francese ha detto ciò che molti commentatori ed esperti sostengono da tempo, anche in America, e cioè che un Iran nucleare entrerebbe nella logica della deterrenza reciproca e che «contenerlo» sia molto meno difficile di un attacco per «prevenirlo», perché questo, sì, sarebbe un disastro dalle conseguenze imprevedibili.
Una tesi che proprio in questi giorni è rimbalzata a Londra con l’appello congiunto di 17 diverse organizzazioni e con quello, distinto, di tre generali americani della riserva, l’uno e l’altro diretti a Tony Blair, perché faccia opera di persuasione su George Bush. Non solo. Ancora l’Herald Tribune (come si sa, braccio intercontinentale del New York Times) ha avanzato l’ipotesi che quella di Ahmadinejad sia un «bluster», una spacconata, più che una seria minaccia, perché sia fonti dell’«intelligence» Usa sia esperti dell’Aiea, l’agenzia dell’Onu per le questioni nucleari, sostengono che, tecnicamente, l’Iran è lontano almeno quattro anni dalla possibilità reale di una bomba e molte eclatanti dichiarazione politiche nascondono grossi ritardi tecnologici.
Purché le bombe non diventino troppe
Come usa dire in questi casi, la questione è complessa. Che la proliferazione nucleare sia difficile ma alla lunga inevitabile, e che un sistema di deterrenza reciproca, anche su scala regionale, possa essere meno destabilizzante di una situazione squilibrata, è una vecchia teoria. La sostennero, fra gli altri, già agli albori dell’era nucleare, il generale francese Pierre Marie Gallois, ispiratore della «force de frappe» gollista, e in Italia, con minori effetti pratici, il grande diplomatico e studioso Roberto Gaja. Di contro, ha ragione Henry Kissinger a dire che il «gioco» della deterrenza atomica ha minori possibilità di successo quando a giocare sono in troppi, e non tutti politicamente responsabili. E possono diventare davvero troppi, se l’esempio iraniano dovesse essere seguito, per reagire all’aumento di potere che la bomba comunque comporta, da Arabia Saudita, Egitto, Turchia... Dunque è giusto continuare le pressioni su Teheran, come su Pyongyang in Estremo Oriente, ma senza sopravvalutare la minaccia, col rischio di guai peggiori, piuttosto offrendo praticabili soluzioni alternative, di tipo politico.
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