L'Arabia saudita media tra le fazioni palestinesi e in segreto parla con Israele
Testata: Il Foglio Data: 06 febbraio 2007 Pagina: 2 Autore: Rolla Scolari Titolo: «Riad media tra i palestinesi e studia una sorpresa»
Dal FOGLIO del 6 febbraio 2007
E’un momento perfetto per l’Arabia Saudita. Oggi, alla Mecca, re Abdullah è mediatore tra le fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, nel tentativo di trovare un accordo per la formazione di un governo d’unità nazionale. I paesi arabi moderati a maggioranza sunnita guardano alla legittimità religiosa del regno custode delle due sacre moschee, spaventati dall’espansionismo sciita; l’occidente si affida al suo peso politico regionale per arginare l’ascesa della Teheran atomica. Washington pensa a Riad come al leader di un fronte sunnita moderato in sostegno del suo nuovo piano in Iraq, in funzione anti Iran, composto da Egitto, Giordania, paesi del Golfo e Israele. Riad vuole arginare Teheran approfittando della situazione per tornare a essere una potenza regionale senza complessi nei confronti del mondo arabo e di quello occidentale. In questo scenario, l’Arabia Saudita si ripropone mediatore tra fazioni palestinesi e tra israeliani e palestinesi, lasciando filtrare inediti segnali di apertura, seppur minima, e alla Mecca, il leader di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, incontra il rais Abu Mazen. “Parte di un campo moderato”, dice Shalom Alexander Bligh – ex consigliere del governo israeliano negli anni Novanta, presidente del dipartimento di Scienze Politiche dell’università di Giudea e Samaria, esperto di regno saudita, autore di una complessa opera sulla successione della casata dei Saud – non è sorpreso dalle notizie, pubblicate dalla stampa israeliana, di presupposti contatti tra Israele e Arabia saudita. Al Foglio racconta dell’interesse dimostrato dai passati governi israeliani nei confronti di Riad. “Dopo la morte del vecchio re Fahd, nel 2005, Silvan Shalom, allora ministro degli Esteri, mi ha chiesto uno studio sui sauditi e io ho presentato un documento due settimane dopo”. Bligh spiega che Shalom era molto interessato a promuovere le relazioni con i paesi arabi. Allora, i tempi erano diversi, ricorda lo stesso Silvan Shalom, oggi membro del Parlamento. Il piano di disimpegno di Ariel Sharon stava per diventare realtà, le aspettative israeliane e arabe erano diverse e c’era un atmosfera più positiva. Shalom, nei mesi precedenti il ritiro, incontrò diversi funzionari arabi e di paesi islamici che non riconoscono Israele e tentativi di dialogo furono fatti, con meno risultati, anche con l’Arabia Saudita. Oggi Shalom dice al Foglio di vedere i sauditi “parte di un campo moderato” composto da “Egitto, Giordania, Abu Mazen – in un certo senso –, i paesi del Golfo e del nord Africa, Pakistan, Indonesia”. Ricorda di aver incontrato molti leader arabi prima del ritiro: “Abbiamo firmato accordi economici, ho visto per primo il premier pachistano e quello indonesiano e i leader dei paesi del Golfo; tutti loro oggi sono spaventati a morte dall’Iran”. Per Shalom, l’Arabia Saudita è cruciale, ma ricorda che nel passato, con Israele, Riad è stato ed è ancora meno aperto del resto del mondo arabo. “Temono che relazioni con Israele possano mettere in pericolo la stabilità della regione. Durante il mio mandato non c’è stato dialogo aperto con i sauditi”. Il 28 marzo, a Riad si terrà il summit della Lega araba. L’Arabia Saudita ha chiesto ai paesi membri di poter ospitare l’incontro: nel 2002, il regno sorprese il mondo presentando al summit della Lega di Beirut un piano su negoziati israelo-palestinesi. La proposta era: terra in cambio del riconoscimento da parte araba d’Israele. Shalom ricorda che l’iniziativa saudita aveva subito emendamenti da parte del resto dei paesi arabi che l’avevano resa inaccettabile per Israele. L’ex ministro sa che Riad potrebbe tornare a proporre il piano a marzo e sa che Israele tornerà a rifiutarlo nel caso i paesi membri della Lega cambiassero nuovamente il testo originale. Fonti del Foglio a Washington raccontano che nei corridoi delle istituzioni e nelle ambasciate si dice che Riad stia preparando il terreno per il summit del 28 marzo, lavorando sui paesi arabi affinché il testo dell’iniziativa non sia toccato. Per la stampa i contatti tra Gerusalemme e Riad sono un segreto pubblico. “Non ci sono questioni: l’Arabia Saudita è sulla lista dei paesi alleati contro la minaccia iraniana. E’ stato un errore lasciare che la notizia dei contatti trapelasse alla stampa: avremmo potuto seguire quel cammino in segreto. Riad ha un genuino interesse nel promuovere la coesistenza con Israele”, dice Bligh. Il nemico è comune: la minaccia atomica iraniana. Washington vuole che i sauditi tengano unito il fronte di paesi in sostegno dell’ultimo piano di Bush sull’Iraq e Riad non ha bisogno di un fallimento di Washington a Baghdad. A novembre pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto Baker-Hamilton, che consiglia all’Amministrazione Bush di aprire un dialogo con Iran e Siria per venire a capo dei suoi problemi in Iraq, il vice presidente americano Dick Cheney è voltato a Riad. Non è difficile credere che re Abdullah gli abbia detto di non desiderare la nascita di un governo totalmente sciita nel paese vicino e di non apprezzare l’idea di un dialogo tra Washington e Iran. Lo strapotere sciita, inoltre, potrebbe creare problemi tra il regno e la sua minoranza sciita, che vive in nella provincia orientale in cui si trova la maggior parte delle riserve petrolifere. I tour di Merkel e di Putin L’intesa tra Stati Uniti e Arabia Saudita si è rinsaldata dopo il viaggio di Cheney: Washington ha ottenuto da Riad l’appoggio cercato sulla questione irachena. “Stiamo lavorando con la Giordania, l’Egitto, i paesi del Golfo per aumentare il sostegno al governo iracheno”, ha detto il presidente George W. Bush nel suo discorso sullo Stato dell’Unione. Riad s’impegna anche a mantenere il prezzo del greggio sui 50 dollari al barile, 27 in meno rispetto al picco estivo, indebolendo così la concorrenza venezuelana e iraniana. Alla fine della settimana, il presidente russo Vladimir Putin visiterà Arabia Saudita, Qatar, Giordania: si parlerà di politica, certo, ma soprattutto di greggio e gas. E’ un buon momento per Riad per tornare sulla scena. “Non ha più le basi militari americane sul suo territorio – dice Bligh – gode di legittimità con il mondo arabo e con l’occidente. Ha buone relazioni con gli Stati Uniti, e Israele ha buone relazioni con Washington. Sa di non poter ignorare Israele e di non poter affrontare da sola l’Iran. Chi fornirà il ponte tra Israele e i sauditi? Penso che l’Unione europea debba riempire il vuoto. Attraverso la Germania di Angela Merkel. Ci sono tutti gli elementi, bisogna soltanto unire i punti”. Il cancelliere tedesco è partito proprio sabato per un viaggio in Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti che si conclude oggi. “Teheran sta cercando di contrattaccare”, spiega Bligh. Nelle ultime settimane, Arabia Saudita e Iran hanno avuto contatti per cercare una soluzione alla crisi libanese: “Dove può, Riad cerca di aprire un’assicurazione sulla vita”. Dice Bligh che il tempo in medio oriente scorre più lento rispetto all’occidente, Israele e Giordania hanno iniziato a parlarsi 60 anni fa, ma l’accordo di pace è arrivato nel 1993, quando “tutto era già pronto. Ora c’è la giusta atmosfera diplomatica. Servirebbe identificare campi che non contano nulla dal punto di vista diplomatico, ma aprono una finestra di dialogo. Non c’è dubbio che i sauditi abbiano bisogno di un’atmosfera amichevole con Israele. Ma firmeranno la pace dopo tutti gli altri paesi arabi. E’ bello avere una pace formale, ma è meglio una pace funzionante”.
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