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Il Foglio Rassegna Stampa
06.02.2007 Un'araba per Israele
ritratto di Nonie Darwish

Testata: Il Foglio
Data: 06 febbraio 2007
Pagina: 2
Autore: Amy Rosenthal
Titolo: «Il libro dissidente»
Dal FOGLIO del 6 febbraio 2007:

Gerusalemme. “Posso apparire come la più improbabile delle sostenitrici della riconciliazione, dell’accettazione tra arabi e israliani con un sito chiamato ‘Arabi per Israele’”, sorride Nonie Darwish. Egiziana, autrice di un libro di cui si è discusso parecchio – la traduzione del titolo suona più o meno così: “Ora mi chiamano infedele. Perché ho rinunciato al jihad per l’America, Israele e la guerra al terrore” – e figlia del generale Mustafa Hafez, che fu inviato da Gamal Nasser come comandante della “resistenza armata” contro Israele tra il 1951 e il 1956, Darwish sembra ancora più “strana” se si pensa che proprio suo padre è stato ucciso dal primo raid mirato delle forze israeliane contro i Fedayeen nel luglio del 1956. Eppure, oggi è trattata come un’infedele. “Ci sono voluti anni per evolvermi rispetto all’educazione che ho avuto da piccola – racconta al Foglio – Come ogni bambina araba ho imparato a scuola come si diventa martiri nella guerra santa contro Israele e ogni giorno recitavo poesie jihadiste”. L’odio era facile, il terrorismo accettabile. “Ho accusato Israele per la morte di mio padre per anni – prosegue Darwish – Poi alla fine ho capito che Israele non era il principale colpevole, bensì la propaganda dell’odio insita in parte della cultura islamica”. Per questo è andata a vivere negli Stati Uniti: per scappare al clima di assedio in cui si sentiva braccata. Pensava di averla scampata, ma poi c’è stato l’11 settembre e ha capito che “non era un problema della mia cultura, ma anche della mia nuova casa: l’America”. Così Darwish ha deciso di non tacere più. Frequenta molti dissidenti arabi negli Stati Uniti, riconosce che molte, in realtà, sono donne, “perché gli uomini sono orgogliosi, e non riescono a dire facilmente che la loro cultura ha qualcosa di sbagliato – spiega – Le donne poi sono le principali vittime della sharia e quindi sono le prime, se possono, a denunciare le discriminazioni”. Ricorda anche le contraddizioni. Dodici anni fa suo fratello ebbe un infarto mentre si trovava a Gaza: sembrava non potesse farcela. Intorno molti chiedevano: “Dove lo portiamo al Cairo o a Gerusalemme?”. E tutti ripondevano: “Se volete salvarlo, portatelo all’ospedale Hadassah a Gerusalemme”. E Darwish che si indignava, “ma perché gli arabi scelgono di farsi curare negli ospedali di persone che disprezzano, che chiamano scimmie, maiali e nemici di Dio?”.
Vittime e democrazia
L’indignazione permane anche oggi. Soprattutto nei confronti del mondo intorno che non comprende quel che succede a livello culturale. Soprattutto nei confronti dell’Europa, verso la quale Darwish si definisce “depressa”. “Mi piacerebbe che gli europei fossero più orgogliosi della loro cultura – dice – perché se non c’è coscienza della proprià identità e spiritualità si crea un vuoto, e questo vuoto sarà immancabilmente rimepito da qualcosa. Spero che non sia l’islam radicale”, aggiunge con preoccupazione. Se l’Europa è deprimente, l’inattività del mondo arabo è per Darwish insopportabile. Nessuno chiede che cosa può fare per la pace, nessuno si assume le proprie responsabilità, “non fanno altro che interrogarsi sulle ‘reponsabilità di Israele e degli Stati Uniti’, vedendosi come vittime e mai come soggetti attivi”. Così non succede nulla, ognuno persegue i suoi interessi, la situazione nei Territori si deteriora ogni giorno che passa negli scontri tra palestinesi di Hamas e Fatah. Anzi, per loro la colpa – dopo la campagna irachena – è sempre più americana e dell’alleato a Gerusalemme. “Tra dieci anni ringrazieremo George W. Bush come l’eroe della democrazia in medio oriente”, dice con enfasi Darwish, perché “non si può negare che molti stati arabi si sono messi a discutere di democrazia per la prima volta”. E’ stato superato il punto di non ritorno. I tempi non saranno brevi, i morti saranno ancora tanti, “ma il punto è che gli iracheni, per esempio, non saranno mai più gli stessi. Dopo aver gustato un po’ di libertà, la possibilità di votare dopo il regime change, non accetteranno più un dittatore come Saddam”. E “il primo leader a insegnare il significato della democrazia è stato Bush”.

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