domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
06.02.2007 La guerra civile a Gaza non ferma la propaganda antisraeliana
una cronaca di Alberto Stabile

Testata: La Repubblica
Data: 06 febbraio 2007
Pagina: 22
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Per pacificare Gaza Israele pensa a Bargouti»
Il titolo annuncia che "Israele pensa a Barghouti" per pacificare Gaza. In realtà si tratta solo della proposta di un ministro.
Peggiore è l'articolo. Nel quale il rifiuto di liberare prigionieri palestinesi che si sono macchiati le mani di sangue diventa un'intransigente  "preclusione di principio".
La condanna di Barghouti, del resto: "
ad alcuni osservatori è parsa eccessiva e, ai suoi sostenitori, «politicamente motivata»": dietro il paravento degli anonimi "osservatori" e dei sostenitori di Barghouti, si scorge chiaramente l'opinione di Stabile, che vuole far apparire ingiusta la condanna di Barghouti all'ergastolo. Per cinque omicidi.
Il pezzo si chiude dando voce alla propaganda palestinese: "afferma Kadura Fares, «non è facile convincere Hamas a dire che rispetterà gli accordi, se Israe­le continua a violarli, mantenendo l'occupazione»"
Questa frase è una completa falsità: non solo Israele non occupa più Gaza e gran parte della Cisgiordania: nessun accordo obbliga Israele al ritiro dai territori finché i palestinesi non porranno fine al terrorismo.

Ecco il testo:

La mediazio­ne che dovrebbe permettere al presidente dell'Autorità palesti­nese, Mahmud Abbas (Abu Mazen) e al capo del contropotere islamico, Khaled Meshal, di trova­re un'intesa pur che sia sul gover­no di unità nazionale, porta in realtà la firma del grande ergasto­lano, Marwan Bargouti. E poiché l'ex capo dei Tanzim ha l'autore­volezza e il carisma necessari per mettere d'accordo le varie fazioni in lotta, ecco un ministro israe­liano, Gideon Ezra, oggi re­sponsabile del­l'Ambiente, ieri vice capo dello Shin Bet, augu­rarsi  che  Bar­gouti sia grazia­to dei cinque ergastoli   che   gli sono stati inflitti e liberato. Pec­cato   che   non tutti ai piani su­periori del pote­re israeliano la pensano   allo stesso modo. In molti,   prevale ancora la pre­clusione di prin­cipio che impe­disce la libera­zione   di   quei prigionieri pale­stinesi le cui mani, secondo la de­finizione in uso, «si sono macchia­te di sangue ebraico». Contrari, sembrano anche i servizi di sicu­rezza. All'ultima riunione di go­verno, domenica scorsa, un alto funzionario dello Shin Bet, noto con l'iniziale Y, ha detto che «Bar­gouti è meno moderato di quanto si pensi e rappresenta tuttora un pericolo».

In realtà, anche se secondo la portavoce del premier Ehud Olmert, Miri Eisin, «il rilascio di Bargouti non è in agenda», il tema del­la liberazione del più popolare fra i dirigenti di al Fatah, continua es­sere in discussione, seppur non sempre in maniera scoperta, dal­l'indomani della sua condanna, che ad alcuni osservatori è parsa eccessiva e, ai suoi sostenitori, «politicamente motivata».

Tanto più se ne parla in tempi di crisi, quando fra i dirigenti politici israeliani, stanchi di ripetere che «dall'altra parte non c'è con chi parlare», affiora qualche nostalgia per un vero interlocutore, «un in­dirizzo certo», si dice, al quale rivolgersi. Fermo restando che Abu Mazen non lo è, come non lo fu neanche Arafat negli ultimi tre an­ni della sua vita.

Gideon Ezra fa un ragionamen­to diverso, contingente. Dice, il ministro, che lo scopo della liberazione   di  Bargouti,   nell'attuale scontro di potere tra al Fatah e Hamas, è d'indebolire il Movimento islamico. «Se in definitiva voglia­mo un governo civile (per i palestinesi) piuttosto che religioso come quelli che vanno prendendo cor­po  nel mondo arabo,   dobbia­mo dare un con­tributo con la liberazione di Bargouti».

Magari il ri­sultato non è co­sì automatico. Oggi, la forza politica dell'ex capo dei Tan­zim, la milizia territoriale di al Fatah, deriva dalla sua credibilità agli occhi degli uni e degli altri. Altrimenti, Khaled Mashal non avrebbe ac­cettato la bozza d'accordo pre­sentatagli, a Da­masco, dall'ex ministro per gli Affari dei Prigio­nieri, Radura Fares, uomo vicinissimo aBarguti, dopo due settima­ne di colloqui. Né l'avrebbe fatto Abu Mazen.

Certo, al vertice della Mecca, che comincia oggi, Abu Mazen e Mashal avranno ancora parecchio da discutere. Sul punto chiave del rispetto degli accordi precedentemente sottoscritti dall'Olp, una delle tre condizioni poste dalla comunità internazionale attraverso la quale passa anche il riconosci­mento d'Israele, la formula con­cordata è ambigua. Si dice che il governo d'unitànazionale «osser­verà» gli accordi firmati nell'inte­resse del popolo palestinese.

Ma, afferma Kadura Fares, «non è facile convincere Hamas a dire che rispetterà gli accordi, se Israe­le continua a violarli, mantenendo l'occupazione». In ogni caso, non c'è altra strada «per spingere il mo­vimento islamico ad entrare nell'Olp e ad accettarne i principi».

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Repubblica


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT