Il titolo annuncia che "Israele pensa a Barghouti" per pacificare Gaza. In realtà si tratta solo della proposta di un ministro.
Peggiore è l'articolo. Nel quale il rifiuto di liberare prigionieri palestinesi che si sono macchiati le mani di sangue diventa un'intransigente "preclusione di principio".
La condanna di Barghouti, del resto: "ad alcuni osservatori è parsa eccessiva e, ai suoi sostenitori, «politicamente motivata»": dietro il paravento degli anonimi "osservatori" e dei sostenitori di Barghouti, si scorge chiaramente l'opinione di Stabile, che vuole far apparire ingiusta la condanna di Barghouti all'ergastolo. Per cinque omicidi.
Il pezzo si chiude dando voce alla propaganda palestinese: "afferma Kadura Fares, «non è facile convincere Hamas a dire che rispetterà gli accordi, se Israele continua a violarli, mantenendo l'occupazione»"
Questa frase è una completa falsità: non solo Israele non occupa più Gaza e gran parte della Cisgiordania: nessun accordo obbliga Israele al ritiro dai territori finché i palestinesi non porranno fine al terrorismo.
Ecco il testo:
La mediazione che dovrebbe permettere al presidente dell'Autorità palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen) e al capo del contropotere islamico, Khaled Meshal, di trovare un'intesa pur che sia sul governo di unità nazionale, porta in realtà la firma del grande ergastolano, Marwan Bargouti. E poiché l'ex capo dei Tanzim ha l'autorevolezza e il carisma necessari per mettere d'accordo le varie fazioni in lotta, ecco un ministro israeliano, Gideon Ezra, oggi responsabile dell'Ambiente, ieri vice capo dello Shin Bet, augurarsi che Bargouti sia graziato dei cinque ergastoli che gli sono stati inflitti e liberato. Peccato che non tutti ai piani superiori del potere israeliano la pensano allo stesso modo. In molti, prevale ancora la preclusione di principio che impedisce la liberazione di quei prigionieri palestinesi le cui mani, secondo la definizione in uso, «si sono macchiate di sangue ebraico». Contrari, sembrano anche i servizi di sicurezza. All'ultima riunione di governo, domenica scorsa, un alto funzionario dello Shin Bet, noto con l'iniziale Y, ha detto che «Bargouti è meno moderato di quanto si pensi e rappresenta tuttora un pericolo».
In realtà, anche se secondo la portavoce del premier Ehud Olmert, Miri Eisin, «il rilascio di Bargouti non è in agenda», il tema della liberazione del più popolare fra i dirigenti di al Fatah, continua essere in discussione, seppur non sempre in maniera scoperta, dall'indomani della sua condanna, che ad alcuni osservatori è parsa eccessiva e, ai suoi sostenitori, «politicamente motivata».
Tanto più se ne parla in tempi di crisi, quando fra i dirigenti politici israeliani, stanchi di ripetere che «dall'altra parte non c'è con chi parlare», affiora qualche nostalgia per un vero interlocutore, «un indirizzo certo», si dice, al quale rivolgersi. Fermo restando che Abu Mazen non lo è, come non lo fu neanche Arafat negli ultimi tre anni della sua vita.
Gideon Ezra fa un ragionamento diverso, contingente. Dice, il ministro, che lo scopo della liberazione di Bargouti, nell'attuale scontro di potere tra al Fatah e Hamas, è d'indebolire il Movimento islamico. «Se in definitiva vogliamo un governo civile (per i palestinesi) piuttosto che religioso come quelli che vanno prendendo corpo nel mondo arabo, dobbiamo dare un contributo con la liberazione di Bargouti».
Magari il risultato non è così automatico. Oggi, la forza politica dell'ex capo dei Tanzim, la milizia territoriale di al Fatah, deriva dalla sua credibilità agli occhi degli uni e degli altri. Altrimenti, Khaled Mashal non avrebbe accettato la bozza d'accordo presentatagli, a Damasco, dall'ex ministro per gli Affari dei Prigionieri, Radura Fares, uomo vicinissimo aBarguti, dopo due settimane di colloqui. Né l'avrebbe fatto Abu Mazen.
Certo, al vertice della Mecca, che comincia oggi, Abu Mazen e Mashal avranno ancora parecchio da discutere. Sul punto chiave del rispetto degli accordi precedentemente sottoscritti dall'Olp, una delle tre condizioni poste dalla comunità internazionale attraverso la quale passa anche il riconoscimento d'Israele, la formula concordata è ambigua. Si dice che il governo d'unitànazionale «osserverà» gli accordi firmati nell'interesse del popolo palestinese.
Ma, afferma Kadura Fares, «non è facile convincere Hamas a dire che rispetterà gli accordi, se Israele continua a violarli, mantenendo l'occupazione». In ogni caso, non c'è altra strada «per spingere il movimento islamico ad entrare nell'Olp e ad accettarne i principi».
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