domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
04.02.2007 In fuga dalla fatwa
il diario di Robert Redeker

Testata: La Repubblica
Data: 04 febbraio 2007
Pagina: 19
Autore: Robert Redeker
Titolo: «Quei mesi in fuga dalla fatwa»

Su REPUBBLICA di oggi, 4/02/07, a pag.19, il diario di Rebert Redeker, minacciato di morte dai fondamentalisti islamici per aver scritto in un articolo per il Figaro le sue opinioni. Il pezzo è tratto dal suo libro "Il faut tenter de vivre" appena uscito in Francia da Seuil. Un breve nota di Anais Ginori, che pubblichiamo per prima, precede il suo testo.

"La nuova sfida di un intellettuale controverso", di Anais Ginori

PARIGI - Dopo quasi cinque mesi di prigionia, Robert Redeker torna a far sentire la sua voce. E´ dal 18 settembre che il professore di Tolosa vive come un recluso, sotto scorta, cambiando continuamente indirizzo e abitudini. Quel giorno, scrisse un articolo sulla «violenza insita nell´Islam» e l´islamismo come un´ideologia totalitaria, simile al comunismo. «Non ho intenzione di capitolare di fronte ai folli di Dio» dice ora Redeker nel suo diario appena stampato da Seuil e di cui pubblichiamo alcuni stralci. «Una fatwa nel paese di Voltaire» è il sottotitolo: la realtà di un uomo braccato, costretto a rinunciare a lavoro, famiglia, amici, sotto schiaffo dei fanatici in una grande democrazia occidentale.
Ecco dunque la nuova sfida di questo intellettuale controverso, che ha ricevuto messaggi di solidarietà ma anche molte critiche. Paragonato a un nuovo caso Rushdie, il filosofo provocatore e iconoclasta continua a dividere. Di passaggio nella capitale per presentare il suo libro commenta: «La mia vicenda è rivelatrice dello stato di decadenza della società francese». E con questo nuovo pamphlet dimostra soprattutto che non alcuna intenzione di farsi mettere il bavaglio.

"Quei mesi in fuga dalla fatwa, la Francia mi ha lasciato solo", di Robert Redeker

Domenica 17 settembre. Mi sono alzato molto presto stamattina per scrivere un testo sull´Europa alle prese con l´islamismo. Il bisogno di scrivere questo articolo è diventato una necessità dopo le reazioni suscitate dalla conferenza di Norimberga di Papa Benedetto XVI. Quando ho finito, l´ho spedito al Figaro, per vedere se sono interessati a pubblicarlo.
Mercoledì 20 settembre. Scrivo queste poche righe da una specie di rifugio. E un alloggio in città, in una casa sicura ai margini della città di Tolosa. Ho dovuto lasciare la mia abitazione insieme a mia moglie. Eccomi in fuga. Non appena è uscito in Medio Oriente, l´articolo del Figaro mi è valso una valanga di messaggi offensivi. Da una telefonata che ricevo dal Figaro vengo a sapere che in Tunisia la vendita del giornale è stata vietata a causa del mio articolo. La vita prende una svolta angosciante. La paura si impossessa di me.
Giovedì 21 settembre. Ritorniamo a casa. Sono le dieci. Dopo aver stampato le minacce di morte, i gendarmi mi accompagnano alla caserma di Montgiscard, dalla quale dipende Escalquens. La denuncia, l´interrogatorio, le carte. tutto richiede tempo. Parecchie ore. Dagli sguardi dei gendarmi, dalle loro domande, capisco che la faccenda è grave. Sicuramente ne sanno molto più di me. Nei loro occhi vedo la morte che mi insegue. I gendarmi mi spiegano - ma stento a prestar loro fede, tanto le cose mi paiono spropositate rispetto al fatto di aver semplicemente scritto un articolo - che non vivrò mai più come prima, che devo modificare le mie abitudini. Per esempio: dovrò controllare nello specchietto retrovisore di non essere seguito. Come farò a rendermene conto? Facendo due volte il giro delle rotatorie. Dovrò evitare di seguire tutti i giorni i medesimi itinerari. Evitare di avere orari fissi. Non comperare il pane dal medesimo panettiere tutti i giorni, né alla stessa ora. Ribatto: ma dovrò pure tornare a insegnare! E dovrò pure avere orari fissi di lavoro. Vengo a sapere che potrei incontrare il pericolo lungo la strada. Potranno aspettarmi a uno stop o a un semaforo e farmi fuori. Oppure pedinarmi nel parcheggio del liceo. Tendermi agguati. E´ necessario che io cambi il mio aspetto fisico, il taglio dei capelli, la mia faccia. Ascoltando i poliziotti mi rendo conto che il movimento di coloro che mi minacciano ha già riportato una prima vittoria: perché la condanna a morte non diventi realtà sono obbligato a diventare un altro.
Venerdì 22 settembre. Intorno a mezzanotte squilla il mio cellulare. «Questo è il Ministero degli Interni», mi annuncia una voce. Il funzionario mi segnala - cosa che già so - le condanne a morte sul sito jihadista al-Hesbah. Ora è la procura di Parigi, competente sul terrorismo, a doversi occupare del mio caso. Non ci avevo pensato: quanto mi sta capitando ha a che fare con il terrorismo.
Sabato 23 settembre. I nostri figli sono sconvolti. Mio figlio maggiore non vuole più rimettere piede in casa sua. Ha cercato su Google «Redeker Islam» e ha visto comparire centinaia e centinaia di risultati, in inglese, in arabo, spesso minacciosi. Gli si è appannata la vista davanti al monitor. E´ sotto choc. Dall´alto dei suoi 21 anni, compiuti appena tre settimane fa, si sente in pericolo. Anche la sua vita è scombussolata. Ha il suo nome sul citofono e sulla cassetta delle lettere. Per lasciare il suo appartamento dovrebbe dare tre mesi di preavviso. Non importa, pagherà l´affitto dei tre mesi senza abitare più lì. Il suo modesto stipendio non gli permette di prendersi un altro posto in affitto, anonimamente. Andrà ad abitare da un amico. Anche per mio figlio esiste un prima e un dopo articolo.
Non ho ancora avvisato mio padre e mia madre, ultraottantenni, nel timore di spaventarli. Mia figlia maggiore - 24 anni, sta prendendo un master in filosofia - vive con il suo compagno: il suo nome non compare da nessuna parte. Il minore, ancora in terza liceo, è andato a rifugiarsi da suo fratello, che ogni mattina lo accompagna a scuola. Per adesso nessuno nel suo collegio sa cosa sta accadendo.
Martedì 26 settembre. Mi trovo in una situazione insostenibile. I gendarmi mi proibiscono di rientrare a casa ed esigono che io cambi domicilio tutti i giorni o al massimo ogni due giorni, senza tuttavia fornirmi un alloggio. Mi suggeriscono di prendere una casa in affitto in un luogo sicuro, il più lontano possibile, nell´anonimato più assoluto. Ma con quali soldi? Come pagare un altro affitto continuando a pagare il mutuo per la mia casa che mi proibiscono di abitare? Senza dimenticare la cauzione, il trasloco, l´internato in collegio del figlio più piccolo? In questa storia io sono al contempo vittima di un ricatto del terrorismo e vittima dell´incapacità della Repubblica a garantire un autentico esercizio della libertà di espressione. Mi ritrovo in una situazione finanziaria insostenibile. Ho perso anche i proventi delle conferenze che sono costretto ad annullare.
Martedì 11 ottobre. Adesso è ufficiale: non ci saranno aiuti finanziari dallo Stato per far fronte alle conseguenze materiali del tipo di fatwa che mi perseguita. Tuttavia ci è imposto di traslocare e andarcene.
Eccoci quindi costretti a mettere in vendita la nostra casa e a trovarne un´altra, ad affrontare le spese che ne conseguono. Con quali soldi? Con il mio modesto stipendio di professore? Con quello di mia moglie Véronique? Come vendere una casa che tutti sanno che potrebbe essere colpita da un attentato? La cui foto è comparsa addirittura sulla stampa?
Mercoledì 22 novembre. Il male che mi colpisce è contagioso. Pierre, mio figlio maggiore, è stato aggredito all´uscita della metropolitana, questa sera, da un giovane magrebino. Mentre camminava, ha sentito delle voci che l´hanno bloccato: «Ti riconosciamo, brutto figlio di puttana. abbiamo visto tuo padre in televisione. ha insultato Maometto. ti prenderemo.. esci fuori da lì».
Venerdì 1 dicembre. Il rettorato mi ha affiliato al Cned, il centro nazionale dell´educazione a distanza. Non sarò un docente, perché la mia sola mansione consisterà nel correggere compiti di filosofia e educazione civica, e nel preparare testi con le risposte corrette. Agli occhi dei mio datore di lavoro non sono altro che uno scribacchino da nascondere in un armadio al terzo piano sotto terra. Da dimenticare. Da far dimenticare.
Mercoledì 6 dicembre. Alcuni vicini si sono lamentati con il sindaco per la presenza ininterrotta della polizia nella strada da oltre tre mesi. Apparentemente questa protezione dà loro fastidio. Ed eccoci qui: mia moglie, i miei figli ed io siamo appestati! Malati da allontanare! La brava gente - a eccezione del tabaccaio, del dentista Luis e della sua compagna Patrizia - si mette in formazione e grida: che la vittima se ne vada! Che torni finalmente la tranquillità!

Per inviare a Repubblica la propria opinione, cliccare sull'e-mail sottostante.


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT