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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.02.2007 I consigli di Daniel Pipes sull'Iraqa a Bush
L'intervista di Ennio Caretto

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 febbraio 2007
Pagina: 19
Autore: Ennio Caretto
Titolo: «La parola giusta è anarchia»

Daniel Pipes non è una colomba, questo è certo. Eppure Ennio Caretto, corrispondente da New York del CORRIERE della SERA, lo intervista spesso e volentieri. Perchè ? Perchè Pipes è molto critico sulla politica di Bush in Iraq, e non c'è niente di meglio di un falco anti-Bush per dare addosso al Presidente, sport nel quale Caretto si è specializzato, neanche scrivesse su REPUBBLICA.

Ecco il pezzo, uscito oggi 03/02/2007 a pag.19,peraltro pieno di osservazioni interessanti:

WASHINGTON — «Sono d'accordo col ministro Gates e il consigliere Hadley che "guerra civile" sia un termine improprio. In Iraq non è in corso un conflitto tra due parti. Sono in corso numerosi conflitti, su base tribale, etnica, religiosa, ideologica, e così via. Vi partecipano terroristi e signori della guerra, criminali e forze straniere. Io la definirei anarchia». Così Daniel Pipes commenta il National intelligence estimate
sull'Iraq. Secondo l'islamista, alla cui consulenza ricorrono sia il Congresso sia l'Amministrazione, il rapporto dei servizi «dimostra che il problema prioritario dell'Iraq è la sicurezza, non la democrazia».
Per Pipes «l'amministrazione Bush ha sbagliato tutto».
In che senso?
«Ha trascurato il compito fondamentale: stabilizzare il Paese.
Compito oggi molto più difficile perché la situazione è così deteriorata che nessun numero ragionevole di nostri soldati potrebbe controllarla».
«Smettere di usare le nostre truppe come se fossero una polizia, e dispiegarle invece ai confini con Siria e Iran, e poche nei punti chiave dell'Iraq per operazioni di pronto intervento. L'Amministrazione continua a smarrirsi in vani giochi tattici, mentre dovrebbe bloccare il flusso di combattenti, armi e soldi dai Paesi musulmani a noi ostili».
Non si rischierebbe un confronto armato alla frontiera con l'Iran?
«Prima o poi uno scontro con l'Iran sarà inevitabile. Forse anche con la Siria. La soluzione della crisi passa attraverso questi due Paesi. Vanno messi con le spalle al muro, anche se poi si volesse negoziare. Il governo iracheno sarà capace di pacificare le città se noi distruggeremo le infrastrutture straniere che reggono gli insorti. È questione anche politica. A un certo punto la maggioranza delle fazioni ne avrà abbastanza delle stragi: o si verrà a patti, o qualcuno prevarrà».
E quel qualcuno potrebbe essere filo iraniano...
«Purtroppo sì. Altro errore: il processo politico ha favorito gli sciiti alleati di Teheran. Deposto Saddam, avremmo dovuto parlare meno di democrazia e più di ricostruzione, e prevenire la violenza settaria. Il risultato è che l'Iraq potrebbe diventare una Repubblica islamica».
«Perché ritirarsi entro un anno e mezzo sarebbe un disastro. Ma temo che nel 2008 potremmo ancora essere nell'attuale situazione, e toccherà al successore di Bush risolvere il problema Iraq».
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lettere@corriere.it

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