Il problema è Israele, non Hamas Mustafa Barghouti nega l'evidenza e ribalta la realtà
Testata: Avvenire Data: 02 febbraio 2007 Pagina: 16 Autore: Barbara Uglietti Titolo: «Un governo per l'Anp è ancora possibile»
Ci assicura che Hamas è disposto a riconoscere Israele. Sostiene che la causa del conflitto tra Fatah e il gruppo terroristico di matrice islamista è nelle pressioni esterne di israeliani americani. Garantisce che Israele applica l'apartheid ai palestinesi, che non vuole la pace, come non la vogliono gli Stati Uniti e altri non meglio precisati membri della comunità internazionale. A volere certamente la pace, a sentir lui, sono i palestinesi. Dovremmo credergli sulla parola. Barbara Uglietti, che lo intervista per AVVENIRE lo fa senza esitare.
Noi ricordiamo che Hamas, che rifiuta l'esistenza per Israele per statuto, ha sempre categoricamente smentito tutti coloro che le hanno attribuito l'intenzione di modificare questa posizione, cui conferisce un valore sacro. Ricordiamo che il conflitto tra Fatah e Hamas verte sul controllo degli apparati di forza dell'Autorità palestinese: dunque non è un normale conflitto per spartirsi il potere nell'ambito di istituzioni stabili, ma una guerra per il controllo dello Stato. Ricordiamo che Israele ha fatto ogni sforzo per ottenere la pace, prima col negoziato poi con il ritiro unilaterale da Gaza. E che i palestinesi hanno sempre risposto con il terrorismo. Ricordiamo che non esiste alcun problema di riconoscimento della Palestina da parte di Israele. Quest'ultima non si oppone alla nasciata di uno Stato palestinese, purché esso non sia una base per attacchi terroristici o, in futuro, militari. Ricordiamo che Mustafa Barghouti è un estremista, che alle ultime elezioni palestinesi la sua lista è stata giudicata da molti osservatori un'emanazione di Hamas. Dunque ci permettiamo di non credergli sulla parola, sia perché i fatti lo smentiscono, sia perché non è certo credibile quando parla di pace. Riteniamo che nemmeno un giornalista che voglia fare informazione ( e non propaganda antisraeliana) dovrebbe raccogliere acriticamente, come fa la Uglietti, dichiarazioni come quelle di Barghouti.
Ecco il testo:
«Hamas non è un problema. Sono pronti a trovare un punto d'intesa. E sono pronti a riconoscere Israele. Piuttosto, qualcuno si cominci a chiedere se Israele è pronto a riconosce la Palestina». Mustafa Barghouti è il leader palestinese che ha mediato tra i due gruppi in questi ultimi mesi. E che è arrivato a un passo, nello scorso novembre, dal raggiungere un accordo sul nuovo governo di unità nazionale. Era a Milano, ieri, ospite dell'Università della Bicocca. A parlare con energica volontà di possibilità ancora da percorrere mentre a Gaza altri sei morti negli scontri inter-palestinesi facevano saltale l'ennesima tregua tra fazioni, quella raggiunta solo quattro giorni fa. Negli ultimi due mesi Hamas e Fatah hanno sottoscritto molte volte un cessate il fuoco e altrettante volte l'hanno infranto. Eppure in novembre sembrava che un accordo fosse cosa fatta. Cos'è successo allora, cosa sta succedendo adesso? Certo è un momento difficile. Ma il conflitto in corso non coinvolge "solo" i palestinesi. Lo scontro tra fazioni non è che il prodotto di pressioni negative che arrivano dall'esterno. Intanto, è difficile avere un approccio ragionevole quando si vive in una situazione di sostanziale apartheid. Non bastasse, Israele ha congelato, illegalmente, le rimesse fiscali dovute ai palestinesi, vitali per la nostra economia. Questo non basta a spiegare la lotta intestina cui stiamo assistendo nei Territori. Più precisamente chi, cosa, interviene negativamente nel processo di riconciliazione palestinese? Un esempio? A novembre sono state esercitate pressioni sul presidente Abu Mazen, non solo dagli israeliani, anche dagli americani e da altri Paesi: si è preteso di dirgli cos'era accettabile, cosa non lo era. Volevano scegliere i ministri. E a quelle condizioni Hamas, che pure era pronta a "rinunciare" al premier Ismail Haniyeh, ha detto no. E la questione del riconoscimento dell'esistenza dello Stato di Israele? In Occidente avete una percezione distorta di questo problema. Hamas non è al-Qaeda. È un gruppo politico che si sta evolvendo velocemente. Sono capaci di flessibilità. Durante la mia mediazione avevano accettato una formula specifica su questo punto che comportava il rispetto degli accordi precedentemente stipulati con Israele. Poi però tutto è saltato. E Hamas ha rifiutato un governo tecnico, che pure avrebbe consentito al gruppo di mantenere le proprie posizioni ideologiche. No. Insisto: sono state esercitate pressioni da fuori. E comunque Hamas è "un" partito palestinese, non rappresenta tutti i palestinesi. Piuttosto, tutti i palestinesi chiedono a Israele che riconosca la Palestina. La mia proposta è che si organizzi una conferenza internazionale che porti al "mutuo riconoscimento". E che venga presentata l'iniziativa araba che prevede il ritiro nei confini del 1967. Il problema è che da più parti, e non parlo solo di Israele, si è deciso di non volere la pace. È scritto anche nelle parole: non parla mai di "pace" in Palestina, si parla di "processo" di pace. Non si parla di "risoluzione del conflitto", ma di "gestione" del conflitto. Quali sono le prospettive più imediate? Il governo di unità nazionale è ancora una possibilità. Oppure le elezioni. Elezioni anticipate che Hamas considera un colpo di Stato? Che comporterebbero il rischio di una guerra civile? Le elezioni in questo momento di grande tensione potrebbero rappresentare un rischio. Ma sarebbero una conquista democratica se solo il popolo palestinese venisse messo nelle condizioni di scegliere. Liberamente.
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