Sul CORRIERE della SERA del 1 febbraio 2007 Sergio Romano risponde a due lettori sul negazionismo e sulla proposta di legge Mastella.
Dopo una presentazione delle tesi negazioniste che omette di ricordarne l'assoluta mancanza di base scientifica, Romano sostiene che le loro tesi, di per sè, riconoscendo l'enormità del crimine che negano, non sarebbero antisemite.
Antisemite sarebbero invece solo le intenzioni politiche dei negazionisti, che però non sarebbero accertabili in tribunale.
Così stando le cose, i processi ai negatori delle camere a gas sarebbero equivalenti ai processi che mandavano al rogo per "avere negato l'esistenza di Dio, messo in dubbio la doppia natura di Cristo o offeso la maestà del re".
Comunque la si pensi sulla proposta di legge Mastella le tesi di Romano sono inaccettabili per almeno tre motivi:
1) i negazionisti sono normalmente attivisti neonazisti e di altri gruppi antisionisti e antisemiti: le loro intenzioni politiche non stanno nel segreto delle loro coscienze, ma sono pubbliche e pubblicizzate
2) un necessario presupposto dei negazionisti è che i testimoni ebrei mentano, e che siano in sostanza parte di un complotto: questo rende le loro affermazioni e non soltanto le loro intenzioni chiaramente antisemite
3)la verità circa la Shoah è una verità di fatto , non una verità di fede o un'opinione politica: le analogie proposte da Romano sono dunque fuorvianti
Ecco il testo:
Non ho letto il testo della proposta di legge relativa alla negazione dell'Olocausto e ad altre affermazioni sulla superiorità razziale, ma d'impulso vorrei consigliare all'onorevole Mastella di lasciar perdere. Ci sono persone che non ragionano bene e che un tempo si chiamavano cretini. Per non offenderle potremmo chiamarle persone diversamente intelligenti.
Ma la Costituzione non ci dice che tutti i cittadini, anche se «diversi», hanno uguale libertà di parola? E pagano le tasse anche loro.
Allora lasciamo che i Minculpop di altri Paesi li discriminino e li mandino in galera. Per giudicarli non sarà necessario istituire eventuali Commissioni per la tutela dell'ortodossia storica. Semmai sarà il pubblico ragionante italiano a farsi due belle risate.
Augusto Buonafalce
augusto@cdh.it
In questi giorni il negazionismo è tornato all'attacco con le sue tesi che non hanno alcun riscontro nella realtà. Ciò che mi dispiace è sentire la gente comune identificare negazionismo con revisionismo. Sarebbe un grave errore, perché il revisionismo è un contributo decisivo per abbandonare una visione ideologica della storia e tornare a cercare la verità storica. Per me che la storia tento di insegnarla, salvaguardare il valore del revisionismo è importante.
Gianni Mereghetti
Abbiategrasso (Mi) Cari Buonafalce e Mereghetti, il progetto di legge del ministro Mastella ha subito alcuni cambiamenti. Sembra di comprendere che il reato di «negazione del genocidio» sia scomparso e che la norma, in quest'ultima versione, tenda soprattutto a rafforzare il concetto di incitazione all'odio razziale e a inasprire le pene. Ma la Germania, come ho scritto in una precedente risposta, vorrebbe approfittare del suo semestre di presidenza per proporre all'Unione Europea l'adozione di una legge simile a quella della Repubblica Federale, dove la negazione del genocidio può essere punita con la detenzione, come è accaduto allo storico inglese David Irving in Austria. È probabile quindi che il tema, in una forma o nell'altra, rimanga all'ordine del giorno per parecchio tempo e meriti ancora qualche riflessione. Il «negazionismo» comprende in realtà una certa varietà di tesi e di impostazioni. Vi è chi mette in discussione l'esistenza stessa dei campi di sterminio. Vi è chi nega la strategia omicida del Terzo Reich e sostiene che le vittime furono uccise soprattutto dalle epidemie e dalla fame. Vi è chi contesta il numero dei morti calcolando il potenziale dei forni crematori e degli apparecchi per la produzione del gas. Vi è chi mette in discussione la diretta responsabilità di Hitler e cerca di sminuire in tal modo l'importanza dell'evento. Ma la maggior parte dei negazionisti, quale che sia la loro tesi, ha uno scopo politico, esplicito o sottinteso. Vogliono indurre nel lettore la convinzione che dietro la letteratura sul genocidio e l'importanza che esso ha assunto nelle società occidentali (giorni del ricordo, memoriali, esposizioni, rievocazioni televisive) vi sia un preciso disegno ebraico: tenere in scacco la Chiesa cattolica, esercitare continue pressioni sui debitori e sui loro eredi, conferire una maggiore legittimità allo Stato d'Israele e alla sua politica palestinese. Considerato in questa prospettiva, quindi, il negazionismo può effettivamente considerarsi una forma di antisemitismo. Ma la negazione del genocidio dimostra altresì che questi storici, pur essendo spesso antisemiti, sono consapevoli della enormità e della esecrabilità dell'evento. Si potrebbe sostenere, parafrasando il Tartufo di Molière, che il negazionismo è un omaggio del vizio alla virtù. Sono le intenzioni degli studiosi, quindi, il vero nocciolo della questione. Ma poiché è difficile portare le intenzioni in tribunale, i processi per negazionismo diventano quasi sempre processi per «lesa Verità». Nulla di nuovo. Vi furono tempi in cui si andava al rogo per avere negato l'esistenza di Dio, messo in dubbio la doppia natura di Cristo o offeso la maestà del re. Evidentemente i governi non hanno perso l'abitudine di trattare gli errori alla stregua di un crimine. Vi è un altro aspetto che rende queste leggi inquietanti. Mentre le prime disposizioni contro i negazionisti concernevano esplicitamente il genocidio ebraico, le formule più recenti debbono tenere conto anche di altri gruppi nazionali o sociali che sono stati vittime di massacri e desiderano essere ricordati. Da una norma molto specifica siamo passati quindi a norme più generali che coprono potenzialmente una maggiore varietà di casi e potrebbero essere usate, ad esempio, contro chi osa mettere in discussione altri eventi in altre parti del globo. Sarà sempre più difficile, di questo passo, fare il mestiere dello storico.
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