Lily la tigre Alona Kimhi
Guanda Euro 15
Una donna di 120 chili a Tel Aviv. E’ l’irresistibile protagonista di Lily la tigre, l’ultimo romanzo della trentenne ucraina Alona Kimhi, che dal ’72 vive in Israele, dove è notissima per i suoi best seller ormai tradotti in molte lingue.
La sua Lily conduce un’esistenza simile a quella di una giovane soprappeso in una città qualunque del mondo occidentale, tra fantasie di una vita diversa e frustrazioni quotidiane. Le sue amiche magre Ninush e Mikhaela non sono certo più felici, una alle prese con un macho violento, l’altra con le asprezze di riuscire a sbarcare il lunario.Ma poi un ex amante giapponese, ora transessuale, regala a Lily un cucciolo di tigre. E il contagio del mondo selvaggio e ancestrale – che è alle spalle di tutti noi – sarà fatale.
Lily è un grande personaggio: intensa, complessa, straripante di vita. Perché l’ha voluta così grassa ?
Perché essere grassa oggi, per una donna, rappresenta il massimo della vulnerabilità. Una donna così soprappeso è sensibile, iperemozionale, strasensuale, schiava di desideri masochistici. E’ un’edonista piena di vergogna, incapace di corrispondere ai requisiti minimi della civiltà, che impone di sublimare o mascherare quel genere di istinti.
Le donne non sembrano passarsela granchè bene anche a Tel Aviv…
C’è una grave dissonanza nel mio Paese tra l’immagine della donna israeliana, dura e quasi aggressiva – la donna-soldato, la femminista occidentale trapiantata nell’Oriente primitivo –e la sua essenza più autentica: un cittadino di serie B in uno Stato, Israele, con la pretesa di appartenere all’Occidente. L’ossessione costante della sopravvivenza, e dunque la concentrazione sulla sicurezza e sulla politica estera, certo non consentono a Israele di investire energia e risorse sulle minoranze, donne incluse.
La scena di sesso tra Taro e Lily è molto anticonvenzionale, cosa rara quando si descrive il sesso.
Credo molto nel distacco, quando scrivo. E questo vale ancora di più in una scena di sesso, che non è una confessione personale. Così si può raggiungere precisione,verità, originalità, mantenendo però il controllo totale.
Quella scena è un mio regalo al lettore, è lui che deve identificarsi, coinvolgersi ed eccitarsi, non io che scrivo.
Come ha avuto l’idea del cucciolo di tigre?
Mi hanno colpito i libri di Angela Carter, il suo modo di inserire il fantastico in una narrazione realistica, che non è prerogativa esclusiva del realismo magico sudamericano. Anch’io volevo cercare di fondere quel mondo fantastico esuberante e glamour nell’afosa e ordinaria realtà israeliana. Allora mi è venuta in mente una storia accaduta qualche anno fa, quando il circo Mediano regalò in giro cuccioli di tigre suscitando grande scandalo.
Monica Capuani
La Repubblica