Dalla STAMPA di oggi, 28/01/2007, riportiamo la cronaca di Aldo Baquis della guerra tra Fatah e Hamas. Una osservazione: se in una giornata vengono uccisi 22 palestinesi,tra i quali anche un bambino e dei passanti, la cosa non suscita nè proteste nè comunicati che ricordino le vittime. Morale: se ad uccidere i palestinesi sono altri palestinesi, la notizia non c'è. Manca Israele, quindi la strage rimane un normale fatto di cronaca.
Sono sfociati nel sangue i recenti sforzi del presidente Abu Mazen (al Fatah) di raggiungere un’intesa politica con il leader di Hamas Khaled Meshal. Dopo la ripresa di contatti per la costituzione di un governo di unità nazionale è repentinamente riesplosa la lotta fratricida a Gaza, dove fra giovedì e sabato 22 palestinesi (fra cui un bimbo di due anni, un ragazzino di 11 e sette altri passanti) sono rimasti uccisi in una fitta serie di scontri fra miliziani di Hamas e al Fatah. Il bambino ucciso si chiamava Yihia e viveva a Khan Yunes a Sud di Gaza.
Nel corso dei combattimenti, i miliziani hanno fatto ricorso (anche in zone fittamente abitate) ad armi automatiche, lanciarazzi, mortai. Fonti locali riferiscono che in diversi casi si è trattato di operazioni militari a tutti gli effetti: decine di miliziani hanno preso posizione attorno a un rione, hanno isolato le vie di accesso, e hanno poi provveduto ad attaccare con un nutrito fuoco l'obiettivo prescelto.
Venerdì sono stati miliziani di Hamas a concentrare il loro fuoco, per diverse ore, sulla abitazione di Mansur Shelayel, nel campo profughi di Jabalya. Tre persone sono rimaste uccise in quell'attacco, cessato solo quando dal Nord della striscia di Gaza sono arrivati ingenti reparti della Sicurezza preventiva di Abu Mazen e delle Forze Marine. Poche ore dopo è arrivata la vendetta.
Fonti locali riferiscono che nella serata di venerdì dieci uomini col volto coperto sono penetrati nella moschea al-Hedaya mentre erano in corso preghiere. Senza alcuna esitazione, si sono aperti un varco sparando razzi, e poi hanno lanciato bombe a mano sui fedeli. Due sono morti sul posto, una decina di altri sono rimasti feriti. Ma le forze attaccanti non erano ancora soddisfatte. Uno dei testimoni ha riferito che le ambulanze sono state fermate ai margini del rione per oltre 20 minuti e di conseguenza sono morti altri due fedeli: fra questi l'Imam Zuheir al-Mansi, un predicatore di Hamas.
Le ore successive sono state caratterizzate da un’ulteriore impennata di violenza. Miliziani di al-Fatah hanno sferrato un attacco all’abitazione di Mahmud a-Zahar, il ministro degli Esteri dell'Anp. Miliziani di Hamas hanno cercato di espugnare una caserma della Sicurezza preventiva e di uccidere Rashid Abu Shbak, uno dei più stretti collaboratori di Abu Mazen.
A Damasco, sia pure a denti stretti, Abu Mazen e il capo di Hamas Khaled Meshal avevano ribadito che gli spargimenti di sangue palestinese dovevano cessare, che occorreva riprendere il dialogo e cercare di costituire in tempi accelerati un governo di unità nazionale. Ieri quell'incontro sembrava un ricordo lontano del passato.
In Israele le autorità seguono questi sviluppi da vicino. I dirigenti israeliani preferiscono mantenere un profilo basso, anche per non far apparire Abu Mazen come un loro agente. Al tempo stesso gli attacchi armati ai dirigenti palestinesi pragmatici cominciano a sollevare una questione impellente; quella della loro incolumità. Dahlan spesso si reca a Ramallah, dove si sente più sicuro. Israele, secondo la tv Canale 10, potrebbe presto decidere di consentire ai moderati palestinesi di lasciare Gaza (per rifugiarsi in Cisgiordania oppure in Egitto) se la terra dovesse davvero scottare sotto ai loro piedi.
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