T el Aviv ha messo in scena una pièce teatrale tratta da un mio libro, «Badenheim 1939». Badenheim è una località turistica dell' Austria dove ogni anno si tiene un festival musicale frequentato da villeggianti ebrei. Al festival si accompagnano divertimenti, ottimo cibo, avventure romantiche e altri piccoli piaceri. È così ogni anno. Nel 1939, però, durante il festival, avviene qualcosa di diverso. Nel clima di allegria si insinuano episodi mai avvenuti prima: il dipartimento sanitario del municipio ispeziona le case, prende nota degli occupanti e dispiega rotoli di filo spinato tutt'intorno mentre strane ordinanze, sotto forma di annunci, fanno la loro comparsa in ogni angolo. Ma i villeggianti sono talmente immersi nella loro allegria e chiusi nel loro egoismo che ignorano quegli indizi sospetti, anzi, li interpretano come segni di premura e di riguardo da parte delle istituzioni. È chiaro che nella loro cecità non fanno che ingannare se stessi. Gli ebrei assimilati d'Europa rifiutano di considerarsi ebrei e, approfittando del festival musicale, cercano di sfuggire al loro destino. Ma il cerchio intorno a loro si stringe giorno dopo giorno fino a che, condotti alla stazione ferroviaria, sono mandati ai campi di concentramento. All'origine del libro ci sono i ricordi d'infanzia delle piccole località turistiche in cui ero solito trascorrere le vacanze con i miei genitori. Quei luoghi intimi, dall'atmosfera europea, erano in realtà frequentati soprattutto da ebrei assimilati. Ricordo le facce sorprese dei miei genitori nello scoprire che tutti i villeggianti erano ebrei come loro. Desideravano moltissimo assimilarsi, ma le circostanze e il destino non li aiutarono. L'ebraismo, dal quale volevano fuggire, non mollò la presa e li tradì. Ho scritto «Badenheim 1939» più di trent'anni fa. Il libro è stato tradotto in molte lingue, anche in italiano, e ha ottenuto un grande successo benché in Israele sia passato sotto silenzio. Dopo la guerra dei Sei Giorni, Israele si considerava molto forte, inattaccabile, e un libro che parlava di cecità, di illusioni e di fuga dalla realtà, appariva irrilevante. Ora, in un clima diverso e in versione teatrale, è accolto con comprensione e solleva echi. Non dimentichiamolo. Un israeliano su tre è un sopravvissuto all'Olocausto o è il discendente di un sopravvissuto. Costoro, arrivati in Israele, volevano rimuovere i ricordi e vedere se stessi come nuovi ebrei ma ora, dopo la seconda guerra del Libano e la minaccia iraniana di distruggere Israele, i vecchi ricordi tornano a galla e l'angoscia, rimasta occultata per molti anni, riaffiora. E c'è dell'altro. Israele in Europa è considerato una potenza in grado di sconfiggere altri Stati. Pochi sanno che i suoi abitanti sono per lo più immigrati: sopravvissuti all'Olocausto e profughi costretti ad abbandonare i loro Paesi e a emigrare. La società israeliana è molto fragile e ogni minaccia, per non dire guerra, la indebolisce. Non c'è da meravigliarsi che la Tel Aviv del gennaio 2007, animata e piena di vita, sembri a un tratto la Badenheim del 1939. Anche allora le minacce di Hitler suonavano vuote. L'ostinazione del presidente iraniano a sviluppare armi nucleari e le sue ripetute dichiarazioni di voler distruggere Israele sono un segnale di allarme non solo per i sopravvissuti all' Olocausto ma per tutta la società israeliana, incapace di dimenticare le immagini di Auschwitz. ( Traduzione di Alessandra Shomroni) Lo scrittore Aharon Appelfeld è nato nel 1932 a Czernowitz (Bucovina, oggi Ucraina) e vive in Israele. In Italia, oltre a «Badenheim 1939» (Mondadori, 1981), sono usciti tra gli altri «Katerina» (Feltrinelli, 1994) e «Notte dopo notte» (Giuntina, 2004).
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione,cliccare sulla e-mail sottostante.
|