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Il Foglio Rassegna Stampa
27.01.2007 Isaiah Berlin e David Mamet
nella lettura di Edoardo Camurri

Testata: Il Foglio
Data: 27 gennaio 2007
Pagina: 10
Autore: Edoardo Camurri
Titolo: «L'aeroplanino di carta»

Sul FOGLIO di oggi, 27/01/2007, a pag.10, una buona lettura di Edoardo Camurri di Isaiah Berlin e David Mamet, densa di osservazioni molto adatte alla giornata di oggi.

Ecco l'articolo:

Ogni tanto va fatto. Va cioè ripreso in mano un testo che il filosofo inglese Isaiah Berlin (nel 1940, il governo inglese lo assunse al British Information Service per convincere gli Stati Uniti a entrare in guerra contro la Germania nazista) ha scritto nel 1951. S’intitola “Schiavitù ed emancipazione degli ebrei” e parla dello stato d’Israele come della possibilità di vedere realizzata, per la prima volta nella storia del popolo ebraico, l’affermarsi della libertà e dell’emancipazione individuale. Scrive Berlin: “La creazione dello stato d’Israele ha reso il più grande servizio che un’istituzione umana possa offrire agli individui: ha restituito agli ebrei non già semplicemente la loro dignità e il loro status personale di esseri umani, ma qualcosa di immensamente più importante: il loro diritto di scegliere in quanto individui come vivere, ossia la libertà di scelta basilare, il diritto di vivere o morire, di imboccare la strada del bene o la strada del male così come ciascuno la intende, senza la quale la vita è una forma di schiavitù, com’è in effetti stata per la comunità ebraica per quasi duemila anni”. Magnifico. Come anche questa annotazione: “Israele, l’ultimo figlio del Risorgimento europeo, l’ultimo stato edificato sulla base di principi umanitari e liberali annunciati dalla grande Rivoluzione francese e dalle rivoluzioni europee del 1848, concepiti dal pensiero sociale e progressista dell’Europa occidentale, denigrati dal bolscevismo e denunciati da Goebbels”. Le cose stanno così. Punto. E vanno ricordate. Occorre però anche allargare la prospettiva e aggiornare la questione alla situazione presente. In un libro uscito a ottobre negli Stati Uniti, “The Wicked Son: Anti-Semitism, Self-hatred, and the Jews”, il grande David Mamet, autore teatrale e cinematografico americano, premio Pulitzer nel 1984 per la pièce Glengarry Glen Ross, ha afferrato per il bavero della giacchetta chi, anche e soprattutto tra gli ebrei, dimentica tutto questo portandosi involontariamente, in una specie di movimento autolesionista, a condividere quei pregiudizi che spesso finiscono con l’essere antisemiti. Su Beyond Chron, quotidiano on-line di San Francisco, Joe Eskenazi riassume il concetto scrivendo: “Se tu sei uno di quegli ebrei non osservanti che mangia la pizza con la salsiccia durante Yom Kippur, che si è già definito come un ebreo non troppo ebreo, che d’istinto sta dalla parte dei palestinesi, che ritiene che andare in Sinagoga sia una perdita di tempo e che è meglio fare qualsiasi altra cosa, allora non comprare ‘The Wicked Son’ di Mamet. Non perdere tempo a leggere le sue 208 pagine. Semplicemente attraversa la strada, apri la portiera della tua Toyota Prius e sbattila con forza con le tue dita dentro. Ripetutamente”. Sul Jewish Journal del 10 novembre, Tom Teicholz scrive di condividere il punto di vista di Mamet, ammette che il suo libro, una specie di pamphlet dinamitardo che può sembrare irritante e sconveniente, riesce a mostrare e a indicare il pericolo, oggi, dell’antisemitismo e i diversi modi in cui si maschera e agisce. “Viviamo in un paese, gli Stati Uniti, – dice Teicholz – dove si può dire con convinzione: qui non può accadere. Dove si può sostenere che non è mai esistito un periodo o un luogo migliore di questo per essere ebrei. Ma questo non significa che l’antisemitismo non esista o che gli ebrei non siano uccisi in Pakistan (Daniel Pearl), Francia (Ilan Halmi) o Israele (mi dispiace ma i nomi sono troppi per scriverli tutti) per il semplice fatto che sono ebrei, e che una sorta di antisemitismo di certi accademici, o di alcuni giornali stranieri sia meno pericoloso di quanto avviene in Iran o viene detto nelle moschee dell’Islam radicale nel mondo. La storia ci ha insegnato che le parole conducono fatti”. Il libro di David Mamet è stato diffusamente criticato, è stato accusato di semplicismo, è stato detto che è privo di analisi approfondite, che gira solo intorno alla questione. E’ una buona notizia: vuol dire che Mamet ha colto nel segno.

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