"Uccidere o catturare" La nuova politica di Bush contro l'Iran in Iraq
Testata: Il Foglio Data: 27 gennaio 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Bush ordina di " uccidere o catturare " gli agenti iraniani in Iraq»
Sul FOGLIO di oggi, 27/01/2007, a pag.3, una analisi delle nuov e direttive americane per combattere il terrorismo in Iraq.
Roma. L’Amministrazione Bush ha autorizzato i militari americani a uccidere o a fare prigionieri gli agenti iraniani in Iraq. Fermeremo chiunque attacchi i nostri soldati, o ci impedisca di raggiungere gli obiettivi fissati e uccida innocenti iracheni” ha detto il presidente americano, George W. Bush. Secondo funzionari che hanno conoscenza diretta dell’ordine – la cui esistenza è stata rivelata ieri dal Washington Post – si tratta della nuova, aggressiva strategia per provare a indebolire la presa di Teheran sul paese confinante. “Il presidente ha già chiarito da tempo – dice il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza, Gordon Johndroe – che faremo ogni passo necessario per proteggere gli americani mandati in Iraq. Le nostre forze hanno già tutta l’autorità necessaria, conferita loro dal mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. Lo stesso successore del generale George Casey alla testa delle truppe americane in Iraq – ieri confermato dalSenato – David H. Petraeus, ha appena sostenuto in audizione che fra le priorità più urgenti c’è “contrastare la minaccia rappresentata dagli infiltrati siriani e iraniani in Iraq, e uccidere o catturare chi rifiuta un paese unito e stabilizzato”. Da almeno un anno i soldati americani arrestano “operatives” iraniani in Iraq, ma lo fanno in gran segreto e non li trattengono per più di tre o quattro giorni. Questo modo di agire, “prendi e rilascia”, era fino a oggi inteso a evitare l’aggravarsi della contrapposizione con l’Iran – sulla questione del programma nucleare si è arrivati allo stallo, e gli iraniani rifiutano gli ispettori dell’Aiea – ma a intimidirne allo stesso tempo gli emissari. I militari prelevavano a insaputa degli agenti catturati campioni del loro dna, scansioni delle retine, impronte digitali e fotografie e poi li lasciavano andare. A partire dalla scorsa estate, però, dopo aver constatato che l’influenza iraniana continuava a montare, l’Amministrazione ameri-cana si è decisa per la linea dura. Il nuovo programma è l’ampliamento su un altro fronte di quello già operativo in Libano conosciuto dall’intelligence americana come “Blue Game Matrix”. Si tratta di una lista chiusa di operazioni preapprovate che possono essere condotte contro i miliziani di Hezbollah (appoggiati anche loro dall’Iran). Secondo il Washington Post, sono anche in preparazione sanzioni contro Teheran perché ospita numerosi uomini di al Qaida fuggiti dall’Afghanistan nel 2001. La lista delle prove dell’influenza iraniana in Iraq si fa ogni giorno più accurata. Mounir Elkhamri, un analista della Difesa americana di origini arabe, ha appena pubblicato un report steso grazie a ufficiali disertori. Dal 2004 gli iraniani hanno cominciato ad arruolare nuovi membri per le milizie paramilitari, assicurandosi la loro fedeltà grazie a somme favolose per gli standard iracheni correnti: duemila dollari come benefit di entrata e altri mille ogni mese.mese. Oltre all’ala militare, gli iraniani si sono preoccupati di infiltrare i vicini anche con una testa di ponte ideologica: dei duemila religiosi sciiti arrivati negli ultimi due anni nella città santa di Najaf e a Karbala circa un terzo è controllato direttamente da Teheran. Questa settimana anche Newsweek pubblica un lungo articolo sulla tecnologia bellica fornita dal governo iraniano alle milizie, e da queste usate contro le truppe della Coalizione. I sostenitori della linea “kill or capture” – rappresentati trasversalmente nel Consiglio nazionale di sicurezza, al Pentagono, nello staff del vicepresidente Dick Cheney e al dipartimento di stato – sono convinti che questa potrebbe spingere l’Iran non soltanto ad arretrare dal campo iracheno, ma anche a riconsiderare il loro programma nucleare. “Gli iraniani rispondono alla comunità internazionale soltanto quando sono sotto pressione – dice un funzionario al Washington Post – mai quando si sentono forti”.