«Quando il presidente Napolitano dice che l’antisionismo può sfociare nell’antisemitismo, credo che ponga un monito che va ascoltato con molta attenzione" (da LA STAMPA del 27/01/2007 a pag.14)
Sono le parole del Ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero, dopo l'incontro con la comunità ebraica romana. E no, caro ministro, Napolitano ha detto ben altro, ha detto che "antionismo e antisemitismo sono la stessa cosa". Lei ha tradotto in base ai suoi pregiudizi. Il lupo perde il pelo......
ecco l'articolo:
Mai l’antisionismo può superare il confine dell’antisemitismo». Una visita in sinagoga che è anche un «mea culpa» per gli eccessi filopalestinesi di Rifondazione comunista. In occasione della Giornata della Memoria, il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero ha attraversato il Tevere per incontrare i vertici dell’ebraismo italiano. Un breve tragitto quello tra il Tempio Maggiore e il ministero di via Fornovo nel quartiere Prati, ma una grande distanza colmata dopo anni di incomprensioni, reciproche accuse e scontri anche fisici. E che a al ghetto si respiri aria di riappacificazione per «voltare pagina» lo dimostra la presenza dei massimi vertici dell’ebraismo italiano. Eppure i precedenti erano a dir poco «imbarazzanti», sussurrano in sinagoga. La pesante sequela di «divergenze» con Rifondazione e il suo giornale «Liberazione» include l’«incontro ravvicinato» di quattro anni fa, ricordato nei loro discorsi sia da Ferrero sia dal portavoce della comunità Riccardo Pacifici, in cui duecento ebrei romani (la stella di David disegnata su striscioni bianchi) organizzarono un sit-in sotto la sede di Rifondazione comunista per protestare contro gli attacchi al leader israeliano Sharon. Scoppiò una rissa con alcuni militanti del partito e la manifestazione degenerò tra aggressioni, feriti e auto danneggiate. In quell’occasione fu proprio l’attuale ministro, a nome della segreteria di Prc, a scendere in strada per tentare di calmare gli animi e a ricevere il presidente della comunità ebraica Leone Paserman a capo di una delegazione.
«Sono stati numerosi i segnali politici preoccupanti», esordisce il rabbino capo Riccardo Di Segni. Accanto Ferrero annuisce: «E’ vero sono stati commessi errori e il giudizio politico sulla vicenda palestinese non deve mai e poi mai sconfinare nell’antisemitismo». Foto ricordo, strette di mano, un iniziale imbarazzo che si scioglie man mano nella cordialità, soprattutto quando il presidente dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna si appella alle radici valdesi di Ferrero e ai legami storici tra «le nostre minoranze». Tanto più che fra i «Giusti delle nazioni» figura il valdese Giulio Vinay, maestro in gioventù di Ferrero. Un richiamo, dunque, all’asse ebrei-valdesi rinverdito dalla comune battaglia per la nuova legge sulla libertà religiosa contro il «pericolo» di un cattolicesimo egemone. «Attraverso Primo Levi ho compreso il dramma dell’assenza di memoria e della negazione della Shoah», osserva il ministro. Alla sinagoga di Lungotevere dei Cenci, la preoccupazione per il destino di Israele è a livelli di allerta. «Per noi ebrei il sionismo è lotta per la casa comune», ha ribadito il rabbino capo di Roma. «Quando il presidente Napolitano dice che l’antisionismo può sfociare nell’antisemitismo, credo che ponga un monito che va ascoltato con molta attenzione, perché è assolutamente vero - conviene Ferrero, che più volte richiama la questione israelo-palestinese - E lo dice uno che ritiene quella dei “due popoli, due Stati” una posizione politica inequivoca». Nel Tempio Maggiore lo incalzano per l’assenza della parola «negazionismo» nel testo del disegno di legge Mastella e il ministro prosegue su toni concilianti. «Se manca una parola si corregge, la volontà è chiara».
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