LA REPUBBLICA di oggi, 27/01/2007, pubblica a pag.49 un'intervista di Susanna Nirenstein a Saul Fiedlander, il grande storico israeliano della Shoah.
l Giorno della Memoria può non essere ridotto a retorica, oggi: basta confrontare l´antisemitismo genocida di allora con la visione eliminazionista di chi oggi proclama apertamente di voler cancellare Israele dalle carte geografiche, di chi vede in ogni ebreo una pedina del grande complotto ebraico che vuole dominare il mondo e sceglie il negazionismo per delegittimare lo Stato ebraico. Si tratta insomma di valutare la portata della minaccia iraniana e jihadista, facendo riferimento all´esperienza di ieri, capendone i punti in comune, le differenze. Ne abbiamo parlato con Saul Friedlander: un monumento alla ricerca, autore di un´imponente e innovativa storia della Shoah (in Italia uscirà il secondo volume con Garzanti tra pochi mesi) e di numerosi altri studi sul nazismo, venuto al mondo a Praga alla fine del 1932, nascosto in Francia in un convento fino alla fine della guerra mentre i genitori venivano deportati e uccisi ad Auschwitz, battezzato e infine, dopo aver saputo di essere ebreo, immigrato clandestinamente in Israele. Adesso è professore di storia dell´Olocausto all´Ucla di Los Angeles e di Storia moderna dell´Europa all´università di Tel Aviv. Un uomo a cavallo tra Novecento e nuovo millennio, tra Medio Oriente e Occidente.
Qui in Europa è il Giorno della Memoria: a Teheran, invece, poco tempo fa, si è tenuto un convegno negazionista. Un negazionismo presente in molti paesi islamici e propagandato nelle madrasse. Che ne pensa?
«Il negazionismo è iniziato con l´approfondirsi della conoscenza della Shoah. In Francia ci fu Paul Rassinier, poi Faurisson; in America Arthur Butz... Non ho mai pensato di dover rispondere: c´è libertà di espressione e una risposta avrebbe dato dignità alle loro tesi. Ora ho cambiato idea, il fenomeno non è marginale: quel che è avvenuto a Teheran mostra che, per motivi politici e ideologici, ci sono molte persone disposte a unirsi a questa malaugurata corrente».
Una corrente minacciosa.
«Una grande corrente presente nel mondo islamico più radicale, e nell´estrema destra europea così come nell´estrema sinistra a causa del suo grande odio per Israele. Ma l´anima profonda del mondo occidentale non è toccata da questa tendenza».
Non crede comunque che oggi celebrare la memoria della Shoah non abbia senso se non si coglie la portata del nuovo eliminazionismo che proviene dall´Iran e dall´islam jihadista, così strettamente connesso al negazionismo di cui parlavamo?
«L´uno è legato all´altro, certamente. L´eliminazionismo adopera l´idea che la Shoah sia stata inventata, o esagerata, dagli ebrei per rafforzare il sionismo e Israele nella loro guerra contro gli arabi, e per governare Dio solo sa cosa, l´intero Medio Oriente. Insomma è vero che il negazionismo è uno strumento dell´eliminazionismo. Ma non devi rispondere controbattendo punto per punto. Non è utile. Perché si ha a che fare con demagoghi cinici, o con fanatici ciechi. Di fronte a gente così devi continuare a commemorare la Shoah come pensi andrebbe fatto. E se lo fai, è vero, devi ricordare necessariamente la nuova minaccia eliminazionista».
Lo storico israeliano Benny Morris ha scritto esplicitamente del pericolo di un prossimo nuovo Olocausto.
«Se voleva dire che quando l´Iran, o comunque le forze terroriste, avranno il nucleare cercheranno di usarlo contro Israele, certo che c´è questo pericolo».
Lei che ha studiato così profondamente come i proclami di Hitler contro gli ebrei fossero stati sottovalutati, non avverte la stessa tendenza di fronte alle minacce iraniane?
«Israele non le sottovaluta per niente. E non è un paese debole, né esita a difendersi. In secondo luogo l´America è consapevole del rischio, e non parlo di questa amministrazione, ma anche del possibile prossimo governo. E così gli inglesi e forse anche la Francia».
E´ così sicuro che Israele sarà protetto, e che potrà difendersi?
«Certo sono molti quelli a cui non interessa il pericolo che corre l´esistenza di Israele, e che pensano più agli affari, ma contrariamente al ‘39, gli Stati più potenti sono determinati a contrastare il potere nucleare di Teheran».
Nell´Europa del XX secolo lo sterminio fu determinato da molti elementi. Secondo la sua storia della Shoah, però, la cosa più importante fu l´idea "apocalittica" che Hitler aveva degli ebrei. Che differenza c´è tra questa visione e quella che anima Ahmadinejad, e con lui Hamas o Hezbollah? Non li accomuna quello stesso sogno che lei ha definito "redentivo", secondo cui il mondo si può salvare solo sterminando gli ebrei?
«Penso che ci sia stata una migrazione verso il mondo islamico delle argomentazioni antisemite europee e delle immagini, le emozioni, l´odio. Ad esempio l´idea della cospirazione ebraica, è assai diffusa nel mondo musulmano, come la visione secondo cui il mondo sarebbe migliore e più sicuro senza ebrei, e, per dirla in termini estremi, l´islam tornerebbe alla sua antica grandezza. Non ci sono dubbi. Ma le differenza è che nel ´39 - la cito come data simbolica - i leader che proclamavano questi principi erano tra i più forti del mondo, mentre gli ebrei erano del tutto impotenti».
Le due ideologie però sono simili.
«Sì. Non dimentichi che poco tempo fa, ad esempio, la tv egiziana ha mandato in onda uno sceneggiato basato sui Protocolli dei Savi di Sion: l´intenzione evidente era quella di diffondere la quintessenza della teoria della cospirazione. L´odio, la convinzione dell´esistenza di un complotto ebraico per il dominio del globo sono li stessi. Ma il potere di mettere in atto un progetto di distruzione è diverso».
La geopolitica è diversa. E c´è il nucleare. Enzensberger ha scritto recentemente che c´è qualcosa di simile anche tra il modo in cui il nazismo non si curava della rovina del popolo tedesco e il modo in cui il terrorismo islamico colpisce i propri fratelli: l´importante per ambedue, era, è, la battaglia finale, l´ideologia.
«Enzensberger ha ragione, ma per quel che riguarda l´ultima fase del III Reich; all´inizio il Nazismo tenne d´occhio il benessere delle masse tedesche, soprattutto rubando agli altri».
Cosa rimane dell´antisemitismo europeo?
«Per me che non ci vivo è un po´ un mistero. So che c´è un forte antisemitismo nei paesi dell´Est, nell´ex Germania comunista, in Polonia, in Ungheria, un residuo di antisemitismo religioso, e anche di accuse di giudeobolscevismo. Nell´Europa Occidentale si dice che è aumentato l´antisemitismo in Francia, in Germania, in Inghilterra, qualcosa di connesso all´antisionismo».
Secondo molti si assiste a una demonizzazione di Israele che è andata oltre la legittima critica alla politica dello Stato ebraico: questo è il nuovo antisemitismo.
«Come sa, penso che le politiche di Israele siano spesso da criticare. Ma è vero che altrettanto spesso è difficile distinguere tra la legittima critica e il pregiudizio, l´odio radicato: c´è una sorta di osmosi tra i due fenomeni».
Senta, lei ha appena finito di scrivere una imponente storia della Shoah. Perché l´ha fatto? Cosa c´era ancora da ricercare? Cosa ha trovato?
«L´ho scritta perché volevo una storia completa».
Completa in che senso?
«Nel senso che in una storia generale dall´A alla Z, da prima dell´arrivo al potere del nazismo alla fine totale della guerra, ho scelto di dare voce tanto ai carnefici, quanto agli altri attori (il primo volume riguardava solo i tedeschi, il secondo l´intera Europa), alle chiese, protestanti e cattoliche, le popolazioni, i governi, le vittime. Vede, il secondo volume è basato moltissimo sui diari, che furono un´immensità, centinaia, diari di bambini, adulti, religiosi e non, lituani, francesi, polacchi naturalmente, olandesi, tedeschi... Ho potuto vedere quel che succedeva dall´altra parte delle azioni pubbliche, cose che normalmente sono citate nella storiografia esistente come statistiche, in termini molto generali, o come posizioni dei Consigli ebraici, o come cenni sulle vite nei ghetti. Non esisteva una storia generale che comprendesse le voci di tutti i protagonisti».
Qualcosa l´ha sorpresa?
«Sì. Le faccio un esempio. Prendiamo le uccisioni di massa degli ebrei all´Est prima della nascita dei campi di sterminio: ci raffiguriamo le vittime che scavano le fosse e che poi vengono fucilate. Elisheva (Elisabetta), una ragazza polacca di un paese della Galizia, dove in un giorno dell´ottobre 1941 furono eliminati 12mila ebrei, nel suo diario parla di due amiche, e scrive: "Spero che Tamarcik sia morta velocemente, perché so che Esterka è stata strangolata". Ho visto solo allora che non si erano solo mitragliati esseri inermi nelle fosse, ma che i nazisti avevano ucciso gli ebrei anche torturandoli. Voglio dire che quando segui i testimoni hai improvvisamente una visione molto concreta delle strade tanto diverse che percorsero gli ebrei verso la morte. Nei diari dei religiosi ho capito ad esempio quanto i fedeli ebrei cercassero risposta al comportamento di Dio: Moshe Flinker, un ragazzo sedicenne di Bruxelles deportato a Auschwitz, non cessa di interrogarsi. Ho guardato mille aspetti, anche come gli ebrei abbiano celebrato il Kippur nel novembre 1942, mentre il motore della soluzione finale girava a pieno regime: l´ho fatto passando da un paese all´altro, di diario in diario, improvvisamente a Parigi, Berlino, Vilnus, Kolvno, Bucarest, a Roma».
I non ebrei sapevano quel che stava succedendo?
«Le mie conclusioni dicono che la società tedesca seppe molto presto, e con molti più dettagli di quel che credevamo. Le cose furono chiare fin dal 1942: lo si capisce dai rapporti segreti della polizia politica sull´opinione pubblica, lo dicono le lettere mandate dai soldati del fronte orientale, dalle guardie dei lager, le testimonianze dei familiari che gli facevano visita..., i viaggi a casa dei militari. Era impossibile non sapere».
Ma se tutti sapevano...
«Non c´è stato un solo gruppo sociale che abbia fatto un passo di solidarietà verso gli ebrei perseguitati e massacrati. Ci furono esclusivamente gesti di singoli individui eroici, i "Giusti". Il fatto è che gli ebrei in Europa si erano illusi di essere totalmente integrati, accettati: non avevano capito la misura dell´odio contro di loro, un odio e un disprezzo diffusi sul piano religioso, economico e sociale».
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