Un telefilm da non perdere, Exodus, la storia di Ada Sereni domenica 28,lunedì 29, alle ore 21 su Rai 1
Testata: Il Giornale Data: 27 gennaio 2007 Pagina: 1 Autore: Giordano Bruno Guerri Titolo: «Stroncano Exodus, ma è Israele il vero bersaglio»
Sul GIORNALE di oggi, 27/01/2007, a pag.1, Giordano Bruno Guerri interviene sul film-TV "Exodus", che sarà programmato su RAI 1 domenica 28 e lunedì 29 alle ore 21.
«Non l'ho letto, ma non mi piace», è la famosa battuta di un aprioristico stroncatore di libri. Avrebbe potuto brillantemente usarla anche Miriam Mafai, piuttosto che stroncare - con un lungo articolo su Repubblica - un film televisivo che non aveva neanche visto, per sua stessa ammissione. La miniserie, che andrà in onda domani e lunedì sera su Raiuno, si intitola Exodus - Il sogno di Ada. Diretto da Gianluigi Calderone e interpretato da Monica Guerritore, lo sceneggiato si ispira a I clandestini del mare - L'emigrazione ebraica in terra d'Israele 1948-1958, il libro autobiografico di Ada Sereni appena ristampato da Mursia sperando nel successo del film. Ada, nata Ascarelli, aristocratica romana, sposò nel 1927 Enzo Sereni, un intellettuale figlio del medico della Real Casa, socialista-sionista. Si trasferirono insieme in Palestina per fondare il primo kibbutz, Chivat Brenner, vicino a Tel Aviv, dove arabi e ebrei convivevano in pace. Nel maggio del '44, Enzo si fa paracadutare dagli inglesi vicino a Firenze, dopo avere preso contatti con la Resistenza, ma un colpo di vento lo porta nelle linee nemiche e viene catturato. Per un anno Ada non ha più sue notizie, poi lascia i tre figli in Palestina e parte verso Roma. Non ritrovò mai il marito, morto in un campo di concentramento nazista, ma entrò in contatto con l'organizzazione clandestina Alyàh Bet (Seconda immigrazione), della quale diventò il punto di riferimento e l'animatrice instancabile: dal giugno '45 al maggio '48 Alyàh Bet trasferì in Palestina, all'epoca protettorato britannico chiuso all'immigrazione, 25.000 ebrei sopravvissuti all'Olocausto, dando un contributo fondamentale alla formazione del nuovo Stato d'Israele. Quando, nel '46, le bloccarono una nave al molo di La Spezia, Ada Sereni riuscì a farsi ricevere da De Gasperi, e gli chiese di chiudere un occhio: «Perché no? Quando dormo ne chiudo due», rispose lo statista democristiano. In seguito arrivavano giornalisti di tutto il mondo per intervistarla, e a uno che gli chiedeva se si sentisse un'eroina rispose: «Il nostro tempo non ha bisogno di eroi ma di uomini giusti. Io cerco di essere una donna giusta». Questa la vicenda sulla quale si innesta la polemica odierna: martedì scorso, su Repubblica, Alon Confino, nipote di Ada Sereni e docente di storia contemporanea all'Università di Virginia, ha duramente criticato la fiction, che a suo dire trasforma Ada, «una donna forte e consapevole, in una succube», oltre a non sottolineare abbastanza l'antifascismo suo e del marito, nonché la loro idea di una Palestina patria di due popoli, arabi e ebrei. Il giorno dopo, l'intervento di Miriam Mafai rincara la dose. Secondo uno degli sceneggiatori del film, Nicola Badalucco, «Quando si dice che non si è letto il libro né visto il film e poi si fa una recensione cadono le braccia. Dentro un quotidiano intorno ad un piccolo tavolo si voleva mettere in campo un'azione di boicottaggio. Per noi, comunque, ha risposto la comunità ebraica». Infatti il portavoce della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, ha bocciato la querelle come «polemica strumentale», sottolineando che Exodus «rappresenta in maniera inequivocabile la vita e lo spirito di Ada ed Enzo Sereni». E ha aggiunto: «Nel film, una famiglia araba si presenta nel kibbutz offrendosi di lavorare. Quando il capofamiglia ricorda ad Enzo che sono arabi, Enzo risponde: qui c'è posto per tutti. Se da questa frase non si evince lo spirito del film, allora abbiamo visto due film diversi. Se invece ci sono altre persone della famiglia che hanno fatto scelte opposte a quelle di Enzo Sereni, hanno voglia di fare polemica e vedono in questo film il pericolo di un messaggio troppo sionista, questo è un problema loro». Il problema, insomma, sembra riguardare non tanto la qualità del film, ma la lacerazione intellettuale di chi ama gli ebrei morti nell'Olocausto, ma detesta lo Stato di Israele e la sua politica. E vengono in mente le sagge e recenti parole di Giorgio Napolitano sull'antisionismo che sconfina facilmente nell'antiebraismo. Altra cosa è l'osservazione di Lorenzo Fiorani, avvocato di Confino, che lamenta la riduzione «a love story di una vicenda umana e politica complessa». L'invadenza delle vicende amorose su quelle storiche è, in effetti, un male che tocca quasi tutti gli sceneggiati televisivi, per i quali i produttori pretendono sempre «più amore, più amore, più amore», considerandolo un ingrediente indispensabile al successo. Anche Exodus gronda d'amore, distogliendo in molti passaggi dalle vicende più importanti, ma è un problema di cui bisognava tenere conto prima di cedere i diritti cinematografici di un libro, per di più un libro di quella portata storico-emotiva. C'è solo da augurarsi dunque, alla fine di questa polemichetta di inizio anno, che la fiction trascini le vendite di un volume bello e importante. E che la bagarre scatenata da Confino-Mafai avesse proprio questo scopo.
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