La Francia e il conformismo filo-islamico parla lo storico Christian Delacampagne, amico di Robert Redeker
Testata: Il Foglio Data: 25 gennaio 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «La febbre orientalista francese e i brividi dell’affaire Redeker»
Dal FOGLIO del 25 gennaio 2007:
La Francia come le altre nazioni europee, sta entrando in un periodo buio e difficile”. Christian Delacampagne legge l’affaire Redeker – il pestaggio mediatico e la fatwa islamica contro il professore di filosofia francese – come epifenomeno di un vasto malessere, quasi una distrofia culturale e una piaga dello spirito laico repubblicano. Prestigioso contributor di Commentary e docente alla John Hopkins University, Delacampagne in un saggio per il mensile ha elencato le reazioni alle minacce di morte a Redeker: le due più grandi organizzazioni di insegnanti hanno ufficialmente preso le distanze dal suo articolo, Pierre Tévanian lo ha definito “razzista”, il ministro dell’Istruzione Gilles de Robien lo ha invitato alla “prudenza”, il giornalista Jean Pierre Elkabbach ne ha chiesto il mea culpa e il comitato di redazione del Monde ha definito “blasfemo” il suo intervento. coloniale come un episodio di genocidio e denunciare la politica americana in medio oriente”. Nel 2004 un professore di filosofia fu selezionato per entrare nel prestigioso Collège International de Philosophie. “Le sue credenziali erano formidabili, ma quando le sue idee filoamericane divennero note, fu organizzata una campagna efficace per negargli il posto. I dettagli furono riportati dall’Express. Il suo nome era Robert Redeker”. Il quale ha appena pubblicato il suo diario dell’intimidazione, “Il faut tenter de vivre” (edizioni di Seuil). Da Louis Massignon a Jacques Berque, da Olivier Roy a François Burgat, l’ideologia “orientalista” sui rapporti fra occidente e mondo arabo è diventata mainstream. “Per scoraggiare qualsiasi sentimento di minaccia dell’occidente da parte dell’islam, gli orientalisti hanno minimizzato l’importanza dell’islam radicale e l’aggressione alla li- Delacampagne ha cercato di spiegarsi questa “vergogna nazionale” attraverso la pressione elettorale. Al Foglio dice: “Durante la punta massima delle rivolte delle banlieues, i quotidiani hanno mostrato scarso interesse all’influenza della propaganda islamica. Di fronte alla militanza islamica, i giornalisti francesi hanno compromesso la loro professionalità”. Poi si è rivolto a quello che descrive come un tracollo culturale. “Lavorare su temi sensibili come razza e religione non è mai stata una scelta facile per un docente, soprattutto se le interpretazioni vanno al di là delle convenzioni di sinistra”. Un esempio su tutti: durante gli anni Cinquanta, il grande storico Fernand Braudel cercò di scoraggiare Léon Poliakov dall’occuparsi di antisemitismo. “Per parlare alle conferenze ed essere nominato in posizioni importanti, uno studioso deve prepararsi a descrivere l’era bertà internazionale. Questa generazione di orientalisti è onnipresente sui media. Pensano che il problema di Israele sia la sua stessa esistenza e incoraggiano l’uso della parola ‘islamofobia’. Diventerà sempre più dura per gli intellettuali elaborare posizioni che non vengono accettate dagli islamisti. E i governi non ci aiuteranno per paura di inimicarsi la comunità islamica”. Delacampagne volge lo sguardo alle elezioni: “Nicolas Sarkozy è in grado, a differenza di Ségolène Royal, di far fronte alla minaccia islamista. Ma la Francia deve sconfiggere il proprio nichilismo, ha il diritto e il dovere di difendere i suoi valori, la tolleranza, la libertà di parola e di critica. Quando ho raggiunto via e-mail Redeker poche settimane dopo la fuga, era ancora scosso. ‘Non avrei mai pensato che una cosa simile potesse accadere nella Francia repubblicana’, mi ha scritto. Nemmeno io lo pensavo”.
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