Angelo D'Orsi, in un articolo pubblicato dalla STAMPA del 25 gennaio 2007 si schiera contro la proposta di legge per combattere il negazionismo avanzata dal ministro della Giustizia Clemente Mastella.
La storia, sintetizza il titolo del quotidiano torinese "si difende da sola". Ovvero sarà la stessa "corporazione" degli storici a isolare e rendere ininfluenti i negazionisti.
Va ricordato però, che a volte la negazione della verità fattuale viene compiuta anche da storici accreditati, che non perdono il presitigio di cui godono tra i loro colleghi.
Non ci risulta per esempio che l'estensore di un appello, inviato a docenti universitari italiani e stranieri, per sostenere, durante la guerra libanese del 2006, il contrario esatto del vero (vale a dire che si trattasse di un'aggressione israeliana) sia oggi generalmente considerato screditato tra i suoi colleghi storici.
Di uno storico, appunto, si tratta. Lo stesso che ora ci dice di star tranqulli, non c'è bisogno di nessuna legge, ci penseranno lui e i soi colleghi a difendere la "verità" e la "storia".
Si tratta, ma guarda un po', di Angelo D'Orsi.
Di seguito, l'articolo pubblicato dalla STAMPA:
Allora, finalmente sappiamo che cosa rischia chi si ostinerà a negare l’Olocausto: l’onorevole Mastella, ministro guardasigilli e Protettore della Verità Storica, è pronto ad affibbiare una pena (massima) di 12 anni (leggasi dodici) ai seguaci di Faurisson (l’inventore, per così dire, del negazionismo), agli emuli di Irving, o, se si vuole, anche agli amici di Ahmadinejad. Siamo al colpo finale della sceneggiata: anche chi come il sottoscritto ha firmato subito e con convinzione l’appello degli storici contro la proposta Mastella, e aveva ingenuamente ritenuto che il ministro avesse in mente una pena simbolica, rimane di sasso. Al di là della battuta un po’ facile che nel giorno in cui il governo di centrosinistra annuncia la seconda ondata di liberalizzazioni (dai benzinai ai barbieri...), lo stesso governo si appresta a mettere in galera, per anni, dei cittadini, fossero anche quattro gatti, degni di nessuna considerazione intellettuale, ma che hanno (o dovrebbero avere) tutto il diritto di scrivere quello che pensano.
Ma la questione non sta soltanto, e principalmente, in una difesa della libertà, alla Voltaire, punto peraltro irrinunciabile nella lunga, difficile marcia della civiltà moderna, fondata sulla tolleranza delle idee altrui, anche quando opposte alle nostre - e, nel caso in specie, pessime - e sulla loro libera espressione. Gli elementi da considerare innanzi tutto sono altri. Ossia, è inaccettabile che un’autorità - politica, giudiziaria, religiosa... - si possa ergere a custode e a garante della Verità della Storia. Esiste un solo Tribunale, ed è quello, ideale, rappresentato dalla comunità studiosi, ossia coloro che professionalmente, sulla base di uno statuto disciplinare condiviso, costruito lungo i secoli, lavorano all’edificio della conoscenza. Le sanzioni di questo tribunale implicano il riconoscimento o il disconoscimento degli esiti di chi si pone a fare storia, accettando i risultati che nascono da documenti autentici e rigorosamente valutati e trattati; respingendo tutti gli altri, anche se, per avventura, avessero protezioni politiche, pedigree ideologici, successo mediatico. Nel grande edificio della conoscenza costoro non troveranno posto, e i loro prodotti non contribuiranno alla verità dei fatti.
Quel tribunale virtuale può arrivare fino a espungere dal novero dei cultori di Clio coloro che non lavorino secondo i princìpi del metodo storico: accade così che David Irving, che inizialmente aveva goduto di qualche credito, oggi non venga nemmeno più preso in considerazione tra gli studiosi. Eppure... Eppure, l’arresto, la condanna e la detenzione del negazionista britannico ha provocato un’immediata, straordinaria impennata delle vendite dei suoi libri. Oggi, in Italia, esistono gruppetti - pubblicisti, case editrici, «studiosi»... - che possiamo considerare vicino ai negazionisti: ma nessuno li conosce, le loro pubblicazioni sono praticamente clandestine o quasi, il loro peso pubblico è assai prossimo allo zero. Che accadrebbe qualora fossero perseguiti a norma di legge? Non diverrebbero non soltanto degli eroi della libertà di pensiero, ma persino dei testimonial delle idee che la legge vorrebbe impedire?
E ancora: chi - pochi, per la verità - si schiera a favore del disegno di legge Mastella, richiama, per sostenere la propria posizione, analoghe legislazioni in altri Paesi (a cominciare da Germania e Austria): ma occorre ricordare che quelle legislazioni nacquero in situazioni storiche assai diverse dal presente, incommensurabilmente lontane. Se si scrivesse oggi la Costituzione repubblicana, si aggiungerebbero le disposizioni sul divieto del partito fascista? O sulla propaganda fascista? La risposta è ovvia: no. D’altronde, fare dell’antinegazionismo una sorta di religione civile di Stato, come accadde nei Paesi dell’Est sotto dominio sovietico, che diedero all’antifascismo quel ruolo, svuoterebbe di significato e di valore la stessa battaglia contro il negazionismo, banalizzandola e irrigidendola in modo tanto chiesastico, quanto sostanzialmente inefficace.
Infine: una proposta del genere, anche prima di conoscere la grottesca pena massima di cui sopra, non può che aprire inquietanti scenari futuribili, ma tutt’altro che impossibili. Ossia, oggi è il negazionismo a cadere sotto la scure della legge (e, non dimentichiamo, degli individui che dovrebbero applicarla, con il tasso di arbitrio che ciò implica: un giudice è in grado di vagliare i prodotti storici? O di valutare gli assunti ideologici?); ma domani chi impedirà che possa toccare a un qualsiasi altro «ismo»? Ovvero, più specificamente, non è infondato il timore che qualunque negazione di fatti storici, o, sulla base magari di altre successive leggi, che vengano dichiarati tali per decisione politica, possa portare in prigione. Prendiamo il processo a Gesù, che qualcuno continua a non ritenere (del tutto legittimamente) un fatto realmente accaduto. Se papa Ratzinger e la Cei facessero pressione sul governo per ottenere una legge ad hoc, ossia per punire chi afferma che quel processo è un’invenzione mitologica, forse anche qualche collaboratore e molti lettori di questo giornale dovrebbero prepararsi a emigrare.
Un'opinione diversa sulla legge sul negazionismo è espressa, sempre sulla STAMPA , da Lucia Annunziata, che risponde alla lettera di quattro docenti universitari:
Difendere la memoria
nell’Europa colpevole
Nella nostra triplice qualità di cittadini italiani, ebrei, e docenti universitari, chiediamo ospitalità al suo giornale per esprimere la nostra contrarietà al ventilato progetto di legge in base al quale negare che i nazisti abbiano perpetrato lo sterminio degli ebrei diverrebbe un reato.
Ci sono molte ragioni per opporsi a una legge siffatta, ma una è talmente ovvia e rilevante da rendere inutile che ci soffermiamo su altre. Questa ragione è che la libertà di parola, per sua natura, non ammette altri limiti che la calunnia personale.
Negare la realtà dell’Olocausto è certamente falso e odioso, e può essere pericoloso; ma altrettanto odioso, e certamente più pericoloso, è che un’autorità politica si arroghi il diritto di stabilire cosa è vero e cosa falso, e cosa può essere detto e cosa no.
Bruno Contini, Università di Torino
Enrico Luzzati, Università di Torino
Guido Ortona, Università del Piemonte Orientale
Davide Viterbo, Università del Piemonte Orientale
Ieri abbiamo pubblicato sullo stesso tema una lettera che sosteneva la stessa opinione, ma per ragioni e con toni molto diversi. Oggi sono tre professori, cittadini italiani ed ebrei, a dimostrare il loro scontento per la soluzione «legale» al problema del rispetto della memoria dell’Olocausto. Il fatto che questo dissenso al progetto di legge venga anche dal mondo ebraico prova - per chi ne ha bisogno - che l’idea delle pressioni di una «lobby» ebraica sullo Stato è una sciocchezza. Nel merito. Capisco perfettamente gli argomenti a favore della libertà di parola, ma in questo caso sono a favore dell’idea che c’è nella legge. La prima e sostanziale ragione, per me, ha a che fare con il fatto che dietro la questione dell’Olocausto, o, meglio, della sua negazione, spunta sempre l’ombra del razzismo: l’Olocausto, nonostante non sia, purtroppo, in termini numerici, nemmeno il più atroce dei crimini collettivi perpetrati dall’ultimo secolo in poi (i crimini di alcuni regimi comunisti sono stati ben più estesi), è quello che coniuga la violenza ideologico-politica alla violenza razziale. Ed è in questo uso del razzismo che si adombra, ieri come oggi, l’elemento di forte illegalità. Guardiamo del resto ai casi concreti: il rifiuto dell’Olocausto oggi non è quasi mai invocato come elemento di disputa teorica, ma come concretissimo strumento di scontro con gli Ebrei (e dunque poi con lo Stato d’Israele) chiamati in causa in quanto razza. Vogliamo parlare del caso Iran? Ovviamente, nell’Europa erede di quella Europa che in maggioranza assistette silenziosa o che addirittura consentì all’Olocausto, queste leggi in difesa della memoria possono sicuramente suonare come un atto di ritardata e inutile riparazione. Forse. Ma meglio un atto ingenuo che la sottovalutazione dei pericoli.
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