Sandro Viola attacca Israele per l'ultima volta lo annuncia, se le parole hanno un senso, alla fine di un articolo pieno di livore. Ci sarà da fidarsi?
Testata: La Repubblica Data: 25 gennaio 2007 Pagina: 1 Autore: Sandro Viola Titolo: «Il presidente»
Dopo un intero articolo dedicato a presentare Israele, prendendo spunto dalla vicenda giudiziaria del presidente Katsav, come una paese alla deriva, guidato da una classe dirigente incapace e criminale, Sandro Viola sostiene che però"a questo punto la spinta alla critica viene meno. Israele è debole, adesso, mentre ci vorrebbe che fosse forte dinanzi ai pericoli che gli si stanno addensando tutt´attorno. ". La "spinta alla critica" è venuta meno, ma solo all'ultima riga dell'ultimo (per ora) articolo. Ci si può aspettare, comunque, che il prossimo articolo di Viola sia dedicato a denunciare la minaccia iraniana di distruggere Israele e la mancata risposta della comunità internazionale che in questo editoriale vengono appena menzionate?
Sia ben chiaro: la critica dei comportamenti della classe politica israeliana è perfettamente legittima. Ma andrebbe anche osservato che in Israele il potere giudiziario ha dimostrato di non guardare in faccia nessuno. L'incriminazione di Katzav è certo uno scandalo e un grave imbarazzo per il paese, ma anche una dimostrazione della volontà di fare pulizia e del primato della legge. Ancora più ottimistiche dovrebbero essere le considerazioni ispirate dalle dimissioni del capo di stato maggiore Dan Halutz, che rivelano il senso di responsabilità dei vertici delle forze armate israeliane.
Tutto questo, comunque, non c'entra nulla con il discorso di David Grossman citato da Viola, nel quale venivano contestate le decisioni politiche del governo e non i comportamenti individuali dei suoi membri, o la condotta dell'esercito.
L'articolo di Viola sembra dunque celare un secondo fine: quello di ripetere per l'ennesima volta che se Israele si trova in una situazione di drammatico pericolo, la colpa è della sua politica.
Mentre spesso l'editorialista di REPUBBLICA inizia i suoi articoli ammettendo che Israele è minacciata e avrebbe le sue ragioni, per poi "dimostrare" che essa stessa è causa del suo male, in questo caso ha scelto il percorso opposto.
Prima ci ha spiegato che Israele è governato da farabutti, poi ha sostenuto che la voglia di dirlo gli è passata (nel tempo necessario a concludere il pezzo, si deve supporre) di fronte ai tremendi pericoli che corre.
Intanto lo ha detto. E ha suggerito che Israele sia la causa della propria debolezza e impopolarità (la disinformazione non c'entra proprio nulla?) e persino che la supposta inadeguatezza della sua classe dirigente possa motivare il rifiuto di schierarsi a sua difesa di fronte alle minacce di distruzione.
Ecco il testo dell'articolo:
Se oggi guardiamo alla scena israeliana, l´impressione è desolante. Il Paese è scosso da un seguito ininterrotto di scandali. Ieri sera, incriminato dalla magistratura per stupro, molestie sessuali e malversazione, il capo dello Stato Moshe Katsav ha dovuto autosospendersi, rimettendo le sue funzioni al presidente della Knesset Dalia Itzik. Il primo ministro Ehud Olmert è intanto sotto inchiesta a causa delle sue molte, e molto fruttuose, operazioni immobiliari. Non basta: il capo di Stato maggiore Dan Halutz s´era dimesso infatti nei giorni scorsi, investito non solo dai risultati della commissione Winograd sulla rovinosa conduzione della guerra in Libano, ma anche dal sospetto d´aver venduto le sue azioni alla Borsa di Tel Aviv poche ore prima d´ordinare l´attacco contro gli hezbollah. Sul ministro delle Finanze e su quello del Welfare la magistratura sta indagando. E in questi stessi giorni l´intero Dipartimento delle imposte, dai suoi vertici fino ai ranghi inferiori, è inquisito dalla Procura per aver consentito – dietro compenso, si capisce – enormi evasioni fiscali. Per noi italiani è sempre imbarazzante ostentare severità, in materia di corruzione verso quel che accade negli altri Paesi. E tuttavia, il colpo d´occhio su Israele legittima oggi un giudizio severo. Perché nel Paese sembra non esserci più uno spazio – nelle istituzioni, nei partiti politici, nella pubblica amministrazione – dove non s´annidi un sospetto di malcostume, di moralità pubblica in precipitoso declino. E del resto non è un caso che i sondaggi parlino d´una stragrande maggioranza degli israeliani (l´86 per cento) convinta che la leadership politica del paese è oggi composta di gente profondamente corrotta. A fare nei sondaggi una tale, schiacciante maggioranza, non è solo l´emozione del momento. Gli israeliani s´interrogano anche, infatti, su come mai l´inchiesta a carico del presidente Katsav, che durava da quasi un anno, non abbia innescato in Parlamento la procedura d´"impeachment". Come mai la Knesset non abbia deciso d´intervenire in uno scandalo che stava infangando da tempo l´immagine del paese, e sollevando in ambito internazionale sarcasmi pesanti, con una richiesta di rimozione del capo dello Stato. E giustamente i giornali israeliani di ieri citavano proprio questo, la mancata procedura d´"impeachment", come un´altra delle ragioni che hanno fatto andare a picco, nell´opinione pubblica, la credibilità della classe politica. Nella sua orazione pronunciata a novembre per il decennale dell´assassino di Yitzhak Rabin, lo scrittore David Grossman aveva rivolto a questa classe politica parole dure come pietre. Guardate, aveva detto pressappoco ai politici d´Israele, dove avete condotto questo paese. Riflettete su come siate riusciti a guastare, corrompere, l´ideale sionista, i valori su cui si basò la fondazione dello Stato degli ebrei. La presenza colonialista (tanto spesso spietata) in Palestina, la rivolta implacabile dei palestinesi, l´immagine deturpata d´Israele che domina oggi nell´opinione pubblica internazionale. E come se non bastasse, un brulicare di affarismi, di traffici d´influenze, di favoritismi e corruzioni, che ha seminato cinismo e sfiducia nel paese, minandone le forze, compresa quella militare, così fondamentale e decisiva per la sopravvivenza d´Israele. Ma la classe politica israeliana sembra incapace, al momento, di prestare orecchio ai moniti di Grossman e dei settori più integri e illuminati del paese. Purtroppo, il deterioramento morale, la mediocrità della leadership, la nausea degli israeliani nei confronti del personale politico (una situazione che il titolo d´un recente editoriale di "Haaretz" definiva «Uno Stato in coma»), coincidono col più difficile momento internazionale che Israele abbia conosciuto dalla sua fondazione. Il diffondersi dell´aggressività islamista, le promesse dell´iraniano Ahmadinejad circa una prossima eliminazione dello Stato d´Israele (cui l´Occidente non trova la forza di rispondere come dovrebbe), i rapporti con gli Stati Uniti mai tanto allentati e problematici. La sfiducia verso le forze armate che i clamorosi insuccessi nella guerra libanese della scorsa estate hanno diffuso nella società israeliana, la valanga di giudizi critici (ormai prossima ad una vera e propria animosità) che viene da mezzo mondo. E in ultimo il governo più incerto e debole che il paese abbia mai avuto. No, non ci sono dubbi chiunque abbia a cuore la sicurezza d´Israele, vede bene che questa è la fase peggiore che il paese abbia finora vissuto. E la scena di ieri sera, quando Moshe Katsav ha annunciato l´autosospensione, è apparsa come il culmine dello sbandamento israeliano. La voce rabbiosa, più volte vicino alle lacrime, l´ex capo dello Stato ha fatto piovere insulti su tutta la stampa, di destra e di sinistra, ha aggredito gli avversari politici, indicava moglie e figli - che gli stavano muti e imbarazzati a fianco - come testimoni della sua dirittura morale. Una scena come i padri fondatori d´Israele non avrebbero mai potuto, neppure in un incubo notturno, immaginare. La storia dello Stato ebraico, e un residuo senso di dignità da parte di Katsav, avrebbero richiesto infatti altro: o un Parlamento che avesse deciso per l´"impeachment" o le dimissioni del presidente. Messo sotto accusa dalla Procura generale - meglio ricordarlo - per un reato, lo stupro, che comporta in Israele diciassette anni di reclusione. Guardate, aveva scandito Grossman a novembre, dove avete condotto questo paese. Ed è con lo stesso sconforto che chi, come noi, aveva criticato tante volte la classe politica israeliana, guarda a quel che sta avvenendo in Israele. Solo che a questo punto la spinta alla critica viene meno. Israele è debole, adesso, mentre ci vorrebbe che fosse forte dinanzi ai pericoli che gli si stanno addensando tutt´attorno.
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