Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Israele nella Nato per rispondere alla minaccia iraniana? una cronaca di Davide Frattini e un'intervista di Cecilia Zecchinelli a Gianni Vernetti
Testata: Corriere della Sera Data: 25 gennaio 2007 Pagina: 16 Autore: Davide Frattini - Cecilia Zecchinelli Titolo: «Il piano di Israele: entrare nella Nato - «E' un'idea giusta Sì anche agli arabi»»
Dal CORRIERE della SERA del 25 gennaio 2007:
GERUSALEMME — Il lungo braccio della Nato si allunga dall'Europa e si piglia dalla faccia del Medio Oriente il dente israeliano. Negli anni Cinquanta, Maariv e i suoi lettori sognavano (a vignette) di venir chiamati a far parte dell'Alleanza Atlantica, ma da allora nessuno governo a Gerusalemme se l'è mai sentita di pagare la quota politica per entrare nel club militare. Sotto la minaccia del programma nucleare iraniano, la squadra di Ehud Olmert — rivela il quotidiano Jerusalem Post — ha deciso di cambiare strategia. Un comitato tra ministero della Difesa, Esteri e il Consiglio per la sicurezza nazionale sta preparando un documento che delinei le mosse diplomatiche per trasformare lo Stato ebraico in un membro a pieno titolo della Nato. Il piano dovrebbe essere pronto per la fine di febbraio, quando verrà presentato al premier. Il primo a parlare dell'idea è stato proprio Avigdor Lieberman, ministro per le Minacce Strategiche (ovvero Teheran). «Il nostro obiettivo dev'essere chiaro: ingresso nell'Alleanza e nell'Unione Europea», ha commentato una ventina di giorni fa. Per Lieberman, leader della destra ultranazionalista, i vantaggi del matrimonio sono evidenti: «La guerra che stiamo conducendo in Medio Oriente non è una guerra di Israele da sola. E' un conflitto di tutto il mondo libero e noi siamo in prima linea. Il terrorismo palestinese fa parte della jihad internazionale, la Nato non cercherebbe di frenare la nostra libertà d'azione militare». Otto anni fa, Ariel Sharon era convinto del contrario. Allora ministro degli Esteri, aveva definito «interventismo brutale» i bombardamenti alleati contro i serbi: «E' sbagliato per Israele appoggiare queste operazioni che vogliono imporre una soluzione a dispute regionali. Nel momento in cui esprimiamo la nostra approvazione, rischiamo solo di essere la prossima vittima». Lo storico militare Martin Van Creveld riconosce lo scetticismo che ha caratterizzato i rapporti tra la Nato e Gerusalemme. «Eppure l'Alleanza sembrava fatta apposta per noi: nata un anno dopo lo Stato ebraico, formata da Paesi che non avevano controversie con Israele e che per la maggior parte avevano votato in favore della sua creazione». Chi sembra sicuro dei benefici di una futura unione è Uzi Arad. Fondatore del centro di Herzliya e per venticinque anni un dirigente del Mossad, ha dedicato al progetto gran parte della conferenza internazionale, chiusa ieri nella cittadina a nord di Tel Aviv. Dal podio di Herzliya, leader europei e americani hanno proclamato la necessità di un accordo. «L'Iran cambierebbe completamente idea, se sapesse di dover affrontare tutta l'Alleanza» (José Maria Aznar, ex premier spagnolo). «Bisogna trovare da subito soluzioni per aumentare la cooperazione» (John Edwards, senatore democratico e candidato alla presidenza degli Stati Uniti). «Saremmo molto felici di poter vedere la bandiera israeliana sventolare davanti al nostro palazzo della Nato» (Alexandr Vondra, vicepremier ceco). La Casa Bianca riconosce che far entrare Israele nell'Alleanza sarebbe la strategia migliore per frenare gli iraniani. Per ora, Washington si limita a parlare di «una collaborazione più stretta e non di un'affiliazione totale», come ha ripetuto Nicholas Burns, uno dei vice di Condoleezza Rice, domenica da Gerusalemme. In ottobre, è stato firmato un accordo per rafforzare questa cooperazione e le navi israeliane pattuglieranno il Mediterraneo in nome della Nato. Passati cinquant'anni, il quotidiano Maariv continua a pensare che quel dente vada estratto e inglobato militarmente nell'Occidente. «Dobbiamo essere pronti a pagare il prezzo politico — scrive David Lipkin —: la richiesta di raggiungere un accordo finale con i palestinesi, che comporterà difficili concessioni».
Di seguito , un'intervista a Gianni Vernetti, sottosegretario agli Esteri:
Grande fautore dell'ingresso di Israele nella Nato («sono stato il primo in Italia a parlarne»), il sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti accoglie con «piacere il fatto che l'idea stia prendendo piede». E oltre a dirsi convinto che «l'ipotesi diverrà realtà», aggiunge che «in prospettiva anche i Paesi arabi moderati dovrebbero entrare nell'Alleanza». Israele sta lavorando concretamente al progetto, Aznar e altri politici l'appoggiano. Ma l'anno scorso D'Alema e gran parte della sinistra avevano definito l'idea irrealistica e imprudente. I tempi sono più maturi oggi? «È vero, D'Alema era stato freddo, anche se altri avevano apprezzato la proposta. Ma dopo la guerra tra Israele e Hezbollah e l'invio della forza Onu nel sud del Libano il contesto è cambiato: Israele ha iniziato a capire che il tema della sua sicurezza è una questione internazionale. E la comunità internazionale ha smesso di delegare il problema della difesa di Israele a quest'ultimo. L'ingresso della Nato è un ulteriore passo in questa direzione, soprattutto ora che la minaccia nucleare iraniana è seria». Non pensa che il mondo arabo potrebbe pensare che Europa e Paesi Nato si schierano dalla parte di Israele? Il processo di pace non è concluso e in base all'articolo 5 Israele potrebbe chiedere l'intervento militare Nato in caso si ritenga aggredito. Lieberman ha dichiarato che una volta nella Nato, Israele avrà «libertà d'azione militare al 100% anche in Palestina». «La posizione minoritaria ed estremistica di Lieberman non aiuta certo Israele, che ha interesse a far parte sempre più di contesti multinazionali. E comunque il suo ingresso nella Nato è un processo non breve che andrà costruito sulla base della partnership già esistente tra la Nato e sette Paesi mediterranei, Israele e sei Paesi arabi moderati tra cui Egitto e Giordania. Non sarebbe una mossa contro il mondo arabo ma un modo per costringerci tutti a un maggior confronto: noi, Israele e governi arabi moderati. I problemi si risolvono con sistemi di difesa regionali». Anche i Paesi arabi nella Nato, quindi? «In prospettiva sì. È nel loro interesse trovare una soluzione per pacificare il Medio Oriente, che verrebbe agevolata da un allargamento della Nato. Esistono poi i problemi del Mediterraneo — immigrazione, criminalità, terrorismo — che Europa e Paesi arabi moderati devono risolvere insieme». La Nato però è un'alleanza militare. «Ma da strumento difensivo contro i sovietici oggi è diventata sempre più uno strumento per la ricostruzione e la stabilizzazione, insieme all'Onu».
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