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Libero Rassegna Stampa
24.01.2007 Le icone della sinistra compromesse con il fascismo e con l'antisemitismo di regime
recensione di un libro di Pierluigi Battista in uscita

Testata: Libero
Data: 24 gennaio 2007
Pagina: 0
Autore: CLAUDIO SINISCALCHI
Titolo: «Silenzi, omissioni e bugie dei nostri antifascisti»
Da LIBERO del  24 gennaio 2007:

Un'altra slavina sta per abbattersi rovinosamente sul castello di bugie costruito per giustificare il passaggio della stragrande maggioranza degli intellettuali italiani dal fascismo all'antifascismo. È il nuovo libro di Pierluigi Battista: "Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo" Rizzoli, 190 pagine, 18 Euro). Lo scorso anno Giampaolo Pansa con il suo "La Grande Bugia" scatenò il risentimento delle vestali dell'antifascismo più oltranzista. Non ci è dato sapere se a Battista andrà meglio di Pansa. Ma l'argomento affrontato di sicuro non è meno scottante e difficile da digerire, visto che chiama direttamente in causa uno dei maggiori detrattori di Pansa, "l'uomo di Cuneo", Giorgio Bocca, autore di alcuni scritti antisemiti prima della sua militanza tra i partigiani nel fronte resistenziale. Battista parte dal clamoroso caso di occultamento della memoria dello scrittore tedesco Günter Grass. Come si ricorderà, Grass ammise di essersi arruolato, diciassettenne, nel 1944, in un reparto delle Waffen-SS. Proprio lui, il grande moralizzatore, come lo aveva definito Inge Feltrinelli, il modello del predicatore e dell'intellettuale impegnato, il Pasolini e il Sartre della Germania, aveva vestito la divisa delle SS. E solo sessant'anni dopo si era ricordato del peccatuccio di gioventù. Del resto il paragone di Inge Feltrinelli con Sartre e Pasolini è assolutamente pertinente. Basta ricordare l'oscura pagina di Sartre durante Vichy. A Parigi, sotto l'occupazione tedesca, andavano in scena i drammi di Sartre. Un collaborazionista? Macché, un resistente, tutto d'un pezzo. E che dire del giovane Pasolini in viaggio premio a Weimar nel 1942 per partecipare ad un incontro con studenti universitari tedeschi, spagnoli e di paesi fratelli (del fascismo naturalmente)? Ne tornò talmente entusiasta che in un resoconto per una rivista dei Guf scrisse di essersi imbattuto nella "migliore gioventù" (al biografo Nico Naldini l'articolo appare l'embrione del Pasolini "corsaro" e, dunque, antifascista). Ma la "meglio gioventù" non era una metafora pasoliniana per indicare la superiorità dei figli del Sessantotto sul resto del mondo, come ci pare di capire dal tanto celebrato film di Marco Tullio Giordana? Scusate: è la "migliore" (fascista), non la "meglio" (sessantottina). Il Sartre tedesco emblema del '900

Ma torniamo a Günter Grass. Spirito antiamericano per eccellenza. Fustigatore irremovibile della politica (soprattutto dei cristiano-democratici), propagandista della Cina di Mao e della Cuba di Castro. Appena sentiva parlare di nazismo, parafrasando il dottor Göbbels, metteva le mani sulla macchina per scrivere. E giù mazzate. Rimproverò al "toro della Baviera", il cattolico Franz Joseph Strauss, di non avere una biografia immacolata, essendosi compromesso con il nazismo. Invece la sua era candida, come i panni freschi di bucato. E i tanti Günter Grass italiani si domanda Battista - perché in questi sessant'anni non hanno mai parlato e raccontato la verità? E come potevano? Erano impegnati a manganellare (quasi tutti riparati sotto il protettivo ombrello comunista, e - se non intruppati - mai ostili al partito) chi provava a raccontare le dinamiche reali, senza reticenze, del passaggio della cultura italiana dal fascismo alla democrazia. Vizio antico, duro a morire. Le polemiche contro Pansa ancor oggi ne sono limpida testimonianza. In Italia non ci poteva essere nessuna epurazione culturale antifascista, visto che alla maggior parte degli epuratori sarebbe spettata l'epurazione per i troppi compromessi, lusinghe e cedimenti al fascismo. Già Curzio Malaparte, nei primi anni del dopoguerra, aveva dipinto lo scenario: «I lettori dell' "Unità" non sanno - osservò - che il massimo organo del Pci è interamente scritto da giornalisti fascisti (...) Nessuna legge proibisce a fascisti di diventare comunisti. Ma il buon gusto, la decenza, il pudore, dovrebbero consigliare loro a non impancarsi a Catoni, a giudici della vita morale e politica italiana, a esempi di coerenza e di intransigenza». Il lungo elenco delle biografie mutate

Gli intellettuali italiani passarono dal fascismo al Pci in frotta. Le loro biografie vennero ricostruite in base a criteri auto-indulgenti e auto-assolutori. Ne è un capolavoro intellettuale, in tal senso: "Il lungo viaggio attraverso il fascismo" di Ruggero Zangrandi. Come poteva il filosofo Galvano Dalla Volpe giustificare il saggio "Teoria marxista dell'emancipazione umana" del 1945, con l'elogio estetico del carro armato della Wehrmacht composto pochi anni prima? E come poteva Roberto Rossellini, autore del resistenziale "Roma città aperta" del 1945, far dimenticare i tre film di propaganda fascista realizzati tra il 1941 e il 1943? In linea di principio era difficile far digerire tale repentino trasformismo. Ma Zangrandi offrì la pozione magica. E Palmiro Togliatti ne decretò la bontà assoluta. «Nel ricordo di Ruggero Zangrandi - scrive Battista - si fissa la leggenda dei giovani che si liberano pian piano, passo dopo passo, dell'involucro asfissiante in cui il fascismo aveva imprigionato il loro istinto di rivolta per poi approdare, dopo un faticoso apprendistato, dalla parte giusta». La generazione di Zangrandi (classe 1915) non doveva con- siderarsi responsabile per aver appoggiato il fascismo. Dal fascismo era stata ingannata, sedotta e poi abbandonata. Quindi, approdando al Pci, gli ideali della giovinezza potevano finalmente trovare un luogo sicuro per esprimersi nella loro pienezza. La scuola fortunata di Zangrandi

Zangrandi pubblicò il suo libro nel 1947, presso Einaudi. Amolti comunisti non piacque. Mario Alicata era furibondo. Ci pensò Togliatti, su "Rinascita", a dettare la linea: lasciate che i fascisti di ieri vengano a noi. Il solo passaggio nelle file del Pci li "redimerà". Einaudi fece poco o nulla per il libro di Zangrandi. E non lo ristampò più. "Il lungo viaggio" riuscì in una nuova versione, di ben 741 pagine, edita nel 1962 da Feltrinelli. Anche stavolta molti comunisti rinnovarono la loro ostilità. E anche sta volta "il Migliore", presa la penna (e di nuovo su "Rinascita"), appoggiò il lavoro di Zangrandi. L'orologio antifascista veniva rimesso indietro: già nel 1934 (e non nel 1943) i dubbi erano affiorati. Oppure nel 1938 (e non nel 1942). O, ancora nel 1940 (e non nel 1944). Affannosamente si cercavano segni premonitori. Il gioco era riuscito a Zangrandi: perché non poteva riuscire a Bocca, a Bobbio, a Firpo, a Fanfani, a Spadolini, a Lajolo, a Cantimori, a Moravia, a Dario Fo? Inoltre si poteva invocare la "dissimulazione onesta" di Torquato Accetto. O il nicodemismo. Volete una bella prova di antifascismo? Un saggio sul Petrarca o sul Tasso degli anni Trenta. Un grande della storiografia contemporanea, Rosario Romeo, che ebbe il merito di difendere Renzo De Felice con straordinario coraggio, scrisse della Resistenza: «opera di una minoranza, è stata usata dalla maggioranza degli italiani per sentirsi esonerati dal dovere di fare fino in fondo i conti con il proprio passato». Battista, nel concludere il libro, osserva: «È evidente che quei conti, anche nel secolo nuovo, ancora non sono stati saldati». C'è poco da aggiungere.

LIBERO riporta anche alcune frasi particolarmente compromettenti di noti intellettuali, politici, giornalisti riciclatisi
Eccole:

Questo odio degli ebrei verso il fascismo è la causa prima della guerra attuale.
La vittoria degli avversari (...) in realtà sarebbe la vittoria degli ebrei.A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l'idea di dover  in un tempo non lontano essere lo schiavo degli ebrei
Giorgio Bocca, 1942

Per me , dirò subito, la visione dei carri armati tedeschi sulla strada di Calais (in un recente documentario cinematografico) è dello stesso ordine e della stessa natura, ad esempio, della visione seguente, in Erinna, nel Lamento a Bauci: "I bianchi cavalli smaniosi, si levano dritti sulle zampe con grande strepito"
Galvano Della Volpe, 1940

Mussolini ha fatto una politica ardita, ardente , perentoria talvolta prudente, talaltra spregiatrice di convenzioni e consuetudini anacronistiche (...) ma sempre es solo italiana, orgogliosamente italiana. Cioè ha inteso restituire al popolo italiano, nei rapporti con lo straniero, quella dignità e coscienza di sé (...) che gli erano mancati
Giovanni Spadolini, 1944

A noi hanno insegnato che il fascismo si chiamava rivoluzione e ci hanno incantati le parole di Mussolini che questa rivoluzione non era affatto chiusa. Toccava ai giovani continuarla. E allora ci siamo messi a studiare, a durare sulle carte e ci siamo aggrappati amorosamente alla letteratura
Pietro Ingrao, 1934

Un impero del genere è tenuto insieme da un fattore principale e necessario, la volontà di potenza quale elemento di costruzione sociale, la razza quale elemento etnico, sintesi di motivi etici e biologici che determina la superiorità storica dello Stato nucleo e giustifica la sua dichiarata volontà di potenza.
Eugenio Scalfari, 1942

Benito Mussolini sorge, sintesi geniale della razza, espressione del nuovo e antico diritto di vita, di potenza, di imperio(...) Ecco noi, davanti a Mussolini, siamo come davanti al Signore, fanciulli leggeri, senza macchia, con la sola responsabilità dell'ubbidienza che rende felici
Fidia Gambetti, 1935

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