È morto a 94 anni l'Abbé Pierre. I giornali, nella abituale celebrazione di quei personaggi ignorati in vita ma indispensabili per le vendite post mortem, hanno riempito pagine raccontando le imprese di questo prete dalla storia avventurosa quanto ambigua, esaltandone quelle che, curiosamente, vengono giudicate virtù e sottacendo le frequentazioni che, se non fosse stato prete, avrebbero potuto portarlo in tribunale. Ma si sa, l'Abbé Pierre si occupava di emarginati, poco importa se erano brigatisti rossi in fuga, o senzatetto, volgarmente detti barboni, ai quali sin dal dopoguerra si dedicò con passione, fino a trasformare la comunità Emmaus, da piccola associazione, in una potente e ricca azienda multinazionale. Veniva chiamato il "sacerdote dei poveri", il "sovversivo della carità", e una verità in queste definizioni c'è. Ma se lo paragoniamo a un imprenditore, che col suo lavoro, con la sua azienda, crea lavoro, quindi ricchezza, non possiamo non notare quanto quella dell'Abbé Pierre, se confrontata con quella di un qualunque sciur Brambilla, ne esca perdente. I poveri, a furia di carità, sono rimasti tali, mentre la distribuzione della ricchezza, in un'economia di mercato, i poveri li ha ridotti. Certo, è stato un uomo di lotta. Si tratta di stabilire quale. Se escludiamo la partecipazione alla Resistenza, di quel periodo si ricordano soprattutto gli ebrei che avrebbe salvato, un atto rivendicato da tante di quelle persone dopo la Liberazione da far pensare che gli ebrei fossero in Europa alcune decine di milioni, il resto del suo impegno di lottatore l'ha portato ad unirsi con l'estremismo di sinistra nelle sue varie colorazioni. È stato accanto alle Brigate rosse, convincendo Mitterand a dar loro asilo, accolse nella comunità Emmaus in qualità di medico Michele D'Auria, militante di Prima Linea, e per difendere Vanni Mulinaris, del giro di Renato Curcio, fece pure lo sciopero della fame. Fra i sospettati del rapimento Moro c'era il marito di sua nipote, Françoise Tuscher, che, guarda caso, era anche la segretaria di quella scuola di lingue parigina, l'Hyperion, frequentata da molti sospettati di terrorismo. Non si perse mai una manifestazione contro l'odiato capitalismo, e abbracciò sin dagli anni '60 la causa arabo-palestinese in funzione antisraeliana. Non fu solo contro Israele, solidarizzò anche con gli antisemiti alla Roger Garaudy, suo grande amico, arrivando a difenderlo quando costui diventò uno dei propagandisti della negazione della Shoah. Cosa perlomeno curiosa per uno che si vantava, da resistente, di avere "salvato" degli ebrei ! Aveva ragione Roland Barthes, descrivendo l'Abbé Pierre, analizzandone il look dallo sguardo fino ai sandali. Una specie di Che Guevara, che solo per caso non è finito sulla copertina di "Uomo Vogue". Le caratteristiche le aveva tutte. Vestiva in modo eccentrico, aveva scelto la povertà ma governava un impero, era disubbidiente alla sua chiesa ma senza disturbare più di tanto, entrava e usciva dai tribunali dicendo lui ai giudici se gli imputati erano innocenti o colpevoli. Un benefattore dell'umanità? A leggere i giornali si direbbe di sì. Malgrado il suo passato una cosa è sicura, verrà beatificato quanto prima, e, dopo poco, santificato.
da LIBERO di mercoledì 24 gennaio 2007: |