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La Stampa Rassegna Stampa
23.01.2007 Elogi acritici all'Abbé Pierre
l'esempio dell'articolo di Barbara Spinelli

Testata: La Stampa
Data: 23 gennaio 2007
Pagina: 36
Autore: Barbara Spinelli
Titolo: «Il rumore del bene»
Tra  i tanti articoli elogiativi pubblicati dalla stampa italiana per commemorare l'abbè Pierre scegliamo a titolo di esempio quello di Barbara Spinelli, dalla STAMPA .
La Spinelli ricorda l'appoggio dell'abbè al negazionismo di Roger Garaudy, ma lo definisce benevolmente "trasgressione assoluta" prodotta dalla solidarietà con la causa palestinese.

Ecco il testo:
 
L’Abbé Pierre se n’è andato nel momento in cui la Francia ha più bisogno di persone come lui, tanto vasti sono i suoi smarrimenti e acute le sue pene: ha bisogno di persone che si ergano diritte come un fuso, che non usino eufemismi e non si consolino facilmente. Ha bisogno di persone che sveglino i benpensanti e denuncino la loro indifferenza, come fece l’abate nel mezzo di una notte del 1954, quando prese il microfono di Radio Luxembourg e disse che faceva troppo freddo in quel maledetto inverno, e che una donna era appena morta assiderata sul marciapiede di boulevard Sébastopol. Con voce alta, l’abate invitò tutti a cercar coperte e cibo per evitare che i senzatetto morissero uno dopo l’altro.
Era l’una di mattino quando i francesi sentirono la sua parola per la prima volta, e circa alla stessa ora l’abate è morto, lunedì all’ospedale Val-de-Grâce di Parigi. Aveva 94 anni, e più volte aveva detto: «Tutta la mia vita ho desiderato morire». La morte era per lui un uscire dal torbido, un entrare nel chiaro: «Per me la morte non è una vera separazione, ma una continuazione. È come una vecchia amica, che ho imparato a conoscere lungo gli anni». Il nome Abbè Pierre, Henri Grouès se l’era scelto durante la Resistenza.
Lui che parlava con Dio come i patriarchi della Bibbia ­ litigando, brontolando, accusando; lui che viveva nelle storie sacre quasi gli fossero contemporanee ­ e s’indignava per lo sterminio dei Cananei a opera di Giosuè come s’indignava per la Shoah ­ usava apostrofare così il Signore: «Dio mi sta beffando. Non ne posso più di vivere». Tanti desideri trasgressivi aveva avuto durante il suo vivere e operare, anche quelli che son considerati peccaminosi per un sacerdote (lo ammise nel suo libro Mio Dio... perché?, Garzanti 2006, quando difese tra gli altri gli omosessuali e il loro diritto a curare figli adottivi) e tra questi desideri c’era quello di uscire dalla vita. Perché la bontà diventa insurrezione quando vede nel buio e lo mostra, quando conosce la forza proteiforme del desiderio: a cominciare dall’ansia di aldilà: «La morte è come uscire dall’ombra. Ne ho desiderio. Tutta la vita ho desiderato morire». Aiutare e fare il bene è trasgressione, anche nella vita di Gesù era stato così: «Voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: "Pace e sicurezza", allora d'improvviso li colpirà la rovina».
L’aveva detto San Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi. E di Paolo sono anche le parole: «Cotidie morior» ­ muoio ogni giorno: strano davvero come questa nostalgia d’aldilà abiti grandi uomini dediti alla vita activa, alla cura vera, costante, del prossimo. Quasi fosse la condizione di una vita operosa, questo rapporto intimo con la morte, questo attaccamento così sottile e labile alla vita. Quasi che «l’insurrezione della bontà» ­ i giornali uscirono con questo titolo, nel febbraio 1954 - avesse la sua radice non in una passione vitalistica ma in una sorta di apatia, di desiderio di sciogliersi e dissolversi.
Bernard Kouchner, fondatore di Médecins du Monde e amico dell’abate, costruì sull’insurrezione della bontà la sua idea della morale d’urgenza, che ordina di soccorrere i bisognosi senza aspettare che si muovano apparati, funzionari, ministri. Molte associazioni di volontari si richiamano a quella morale, quasi avessero interiorizzato l’appello del sacerdote a Radio Luxembourg. L’inverno era di ghiaccio quell’anno, e l’abate esercitò quello che Kouchner chiama il primo diritto umanitario: il diritto all’ingerenza, «a far rumore». L’appello del 1954 era preciso, l’insurrezione della bontà è lungi dall’essere astratta: «Portate 5000 coperte, 300 tendoni, 200 stufe». Da quel momento nella coscienza dei francesi (e poi degli europei, quando le comunità Emmaus si estesero al continente) tante cose cambiarono. L’invisibile era divenuto d’un tratto visibile. La povertà esisteva, dal momento che se ne parlava. Questo capì l’Abbé Pierre: parlando alla radio dei senzatetto, egli diede al sofferente il diritto d’esistere e reclamare.
Non stupisce che l’appello del primo febbraio ‘54 svegliò ricordi. Era già accaduto: un uomo solitario, dalla voce esigente e volitiva, si era rivolto a loro, irrompendo come un ladro nelle loro esistenze. Non molti anni prima ­ era il 18 giugno 1940 - De Gaulle aveva svegliato allo stesso modo la Francia indifferente, addormentata dal mero desiderio di sopravvivere. Esiliato a Londra, il generale si era recato negli uffici della Bbc e aveva annunciato che la vera Francia era lì, con lui, pronta a resistere contro Hitler e il governo fantoccio di Pétain. L’Abbé Pierre aveva un rapporto forte con De Gaulle, tutti e due avevano combattuto nella Resistenza.
La Francia che ha un antico spirito di rivolta ed è quasi sempre in rotta con la Chiesa ha i suoi santi, che adora e che sono spesso figure dell’impertinenza: da Giovanna d’Arco a De Gaulle, dall’Abbé Pierre all’attore comico Coluche, idolatrati nei momenti difficili. L’abate fu impertinente anche con gli idolatri: dopo esser stato per anni in testa ai sondaggi chiese, nel 2004, di non esser più nominato nelle inchieste demoscopiche. «I sondaggi sono spesso una trappola», chi ama un idolo «cerca in maniera incosciente di sbarazzarsi del suo vero compito».
L’Abbé Pierre ha lasciato eredi degni di lui, tutti usi alla trasgressione: Coluche è tra essi, il comico che si presentò alle presidenziali dell’81 e che nell’85 fondò i Restaurants du Coeur, i ristoranti del cuore che per strada donano cibo ai bisognosi. Molte associazioni simili hanno fatto seguito, tra cui i «Figli di Don Chisciotte» che all’inizio di quest’inverno hanno costruito tende per i senzatetto lungo il canale Saint-Martin. Per far cose simili son necessarie la collera, l’indignazione, se necessario anche l’illegalità e la semplificazione retorica che consiste nel proclamare: ci vuole una casa per tutti. Dice ancora Kouchner che semplificare può essere impolitico, ma è «sempre meglio che non far nulla».
Al centro della sua vita, l’abate aveva messo un tema: la sofferenza, e in questo fu cristiano ma in permanenza diffidente verso le gerarchie ecclesiastiche. Ogni tipo di sofferenza gli stava a cuore e lo incolleriva, anche quella su cui è d’obbligo esser prudenti come la sofferenza dei palestinesi. Fu quest’ultima a indurlo alla trasgressione assoluta, nel 1996. Pur di parlare della Palestina e degli errori israeliani, l’abate commise l’errore madornale: si schierò accanto al filosofo Garaudy appena convertitosi all’Islam, che aveva scritto un orribile libro antisemita. Lui non l’aveva letto e poi si scusò. Ma tornò a dire che il massacro dei Cananei, nell’Antico Testamento, era pur sempre un genocidio. Pierre Vidal-Naquet, che condivideva la sua battaglia sulla Palestina, lo condannò.
Tra le molte sofferenze, l’abate ne individuò una, forse la più ancestrale: non avere un tetto sopra il capo, non potersi proteggere da vento, pioggia, freddo, sole che infuoca. Abbiamo detto che la Francia in questi anni soffre. È anche perché quel male non solo è restato, ma s’è aggravato. Oggi sono tantissimi i giovani che non hanno tetto. E in Francia si muore più che altrove per il caldo (canicola 2003, più di diecimila morti) e per il freddo. È un paese che produce sempre più salariati che non possono permettersi un alloggio: il 29 per cento dei senza dimora hanno un lavoro. Nel 1954 i senza tetto erano 2.000. Oggi sono 100.000.

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