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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.01.2007 Continua l'antiamericanismo di Sergio Romano
per lui l'interesse nazionale italiano richiederebbe di non combattere la guerra al terrorismo

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 gennaio 2007
Pagina: 23
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La base di Vicenza: economia e interesse nazionale»

La minaccia del terrorismo non riguarda solo l'America , ma tutto l'Occidente.
Per questo è evidente che la base di Vicenza risponde all'interesse nazionale italiano non meno che a quello statunitense.
Il contrario di quanto suggerito da Sergio Romano nella risposta che dà a un lettore sul CORRIERE della SERA del 22 gennaio 2007.

Ecco il testo:  


Ho 38 anni e sono un dipendente della Caserma Ederle. Sono a Vicenza da 4 anni circa, vengo da Napoli dove ho lavorato nella clinica odontoiatrica della marina Usa per circa 10 anni come assistente generico, poi ho deciso di venire a Vicenza per una posizione migliore e più «sicura» nella clinica odontoiatrica dell'esercito Usa in quanto si parlava di riduzione del personale anche nelle basi del Sud. Anche mia moglie lavora part time nella base, abbiamo avuto una stupenda figlia e acceso un mutuo trentennale per l'appartamento. Adesso però ci troviamo a correre il rischio di perdere il posto di lavoro e di conseguenza la casa! Se il governo negherà l'ampliamento come faremo a pagare i debiti? Chi ci darà subito un altro posto di lavoro permanente a Vicenza? Spero tanto che Prodi e D'Alema se prenderanno questa decisione autorizzino almeno il reintegro dei dipendenti della Ederle in enti statali, altrimenti ce la vedremo proprio brutta.
Fabio Di Lorenzo
fabiodilorenzo@ hotmail.com

Caro Di Lorenzo, dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio lei è certamente più tranquillo. Ma la sua lettera mi sembra ancora interessante perché solleva, con l'efficacia propria del caso personale, uno dei due argomenti che sono stati maggiormente utilizzati nelle scorse settimane da coloro che erano favorevoli alla richiesta americana. Molti hanno ricordato, come lei, che la chiusura della base avrebbe comportato il licenziamento di circa settecento persone e parecchi svantaggi economici per l'intera città. Altri hanno scritto per ricordare che i militari americani della base sono stati in questi anni persone simpatiche, affidabili, eccellenti vicini di casa. E gli autori di queste lettere hanno dato la sensazione di ritenere che questi argomenti fossero, nella vicenda della base, determinanti. Ebbene, debbo confessarle che mi sembrano irrilevanti. So che gli americani sono molto spesso persone affabili e gradevoli. E so che la chiusura di una installazione militare occupata da qualche migliaio di persone provoca sempre ricadute negative per la comunità che trae vantaggio dalla loro presenza. Ma non credo che questi problemi possano essere pesati sulla stessa bilancia su cui il governo deve valutare e pesare l'interesse nazionale. Il problema dell'occupazione sarebbe sorto successivamente e, sperabilmente, risolto. Ma non avrebbe dovuto condizionare la decisione del governo. Per la stessa ragione il presidente del Consiglio non avrebbe dovuto sostenere, come ha fatto durante la conferenza stampa di Bucarest, che il problema della base di Vicenza è «di natura urbanistico-territoriale, non politica». La definizione mi sembra sbagliata. Il problema è strettamente politico perché concerne la politica estera dello Stato, la sovranità della Repubblica, la compatibilità della base con i nostri interessi nel Mediterraneo. La base di Ederle fu creata all'epoca della guerra fredda, quando Italia e Stati Uniti avevano un potenziale nemico e la Nato doveva attrezzarsi ad affrontare nel miglior modo possibile una eventuale minaccia. Qual è il nemico comune oggi? Se è il terrorismo islamico, siamo certi che gli Stati Uniti siano disposti a tenere conto, nel momento in cui decidono di colpirlo, del nostro giudizio e delle nostre valutazioni? Avremo voce in capitolo nell'uso della base o saremo semplicemente costretti a leggere sui giornali che gli aerei americani di Ederle 2 hanno utilizzato il nostro territorio, qualche ora prima, per una operazione militare? Sono queste alcune delle domande che il governo avrebbe dovuto porre. E sarebbe stato utile, con l'occasione, preparare un Libro Bianco, da presentare in Parlamento, sul numero delle basi presenti nel territorio italiano, sulle clausole degli accordi che furono stipulati a suo tempo per la loro apertura, sulla durata dei contratti, sullo statuto giuridico delle truppe americane. Il governo ha preferito aspettare parecchie settimane e dire alla fine che il problema è «urbanistico- territoriale». Troppo poco, troppo tardi.

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lettere@corriere.it

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