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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Dalla Corea 1950 a Vicenza 2007 20/01/2007

Nell’estate del 1950 la Corea del Nord aveva invaso proditoriamente la Corea del Sud, dalla quale era divisa al 38mo parallelo, schiacciando fin quasi alle spiagge le deboli forze sud-coreane e il simbolico contingente americano. Una nuova Dunkerque (dieci anni prima i resti delle divisioni inglesi e francesi riuscirono a evitare la totale distruzione da parte tedesca imbarcandosi per l’Inghilterra) sembrava inevitabile.

 

Poi però, su mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che aveva condannato l’aggressione nord-coreana, gli Stati Uniti, appoggiati da forze militari di molti paesi, riuscirono a inviare truppe sufficienti per rovesciare le sorti del conflitto e riportare il confine allo stesso 38mo parallelo.

 

In questo conflitto da che parte stava il torto e dove la ragione era più che lampante, eppure le sinistre comuniste europee (e non solo) si schierarono senza esitazioni dalla parte della Corea del Nord e del suo “caro leader”.

 

Da noi ebbero luogo imponenti manifestazioni contro l’“aggressione” statunitense. Striscioni e scritte murali imprecavano contro il comandante delle forze americane, generale Ridgway, chiamato “generale Peste” perché cervelloticamente accusato di avere usato armi biologiche contro i nord-coreani.

 

Molti anni dopo divenne pacifico a tutti che gli aggressori stavano a Pyongyang e gli aggrediti a Seul. “Pacifico” vuol però anche dire che nessuno mai, tra quelli che avevano manifestato per l’aggressore contro l’aggredito, fece una minima riflessione. Semplicemente venne preso silenziosamente atto della verità, archiviandola.

 

Tra verità e “rivoluzione” veniva sempre scelta la rivoluzione, nel nome di Marx, Lenin e Stalin.

 

Nel 1967, quando gli Stati arabi si accingevano a completare la “soluzione finale” contro gli ebrei dello Stato d’Israele, dopo un breve fremito di timore probabilmente autentico per la sorte di quello Stato (la Shoà non era ancora diventata una ricorrenza), di nuovo le stesse sinistre si schierarono incondizionatamente dalla parte degli aggressori contro quell’unghia di terra rappresentata da Israele. Un po’ alla volta si moltiplicarono le manifestazioni a favore di quei palestinesi per i quali i loro fratelli arabi non avevano mai mosso un dito, se non sui grilletti.

 

Nel 1983 nessuno poteva nemmeno lontanamente prevedere che l’Unione Sovietica e  il comunismo avevano gli anni contati e la minaccia di Mosca contro l’Europa era concreta. Ma l’Europa da sola non sarebbe stata in grado di resistere senza l’autorevole presenza USA, con l’installazione a Comiso di 112 missili Cruise a testata nucleare, puntati verso Nord Est.

 

E questo provocò altre oceaniche manifestazioni di protesta.  “Yankee go home” divenne il più simpatico degli slogan urlati e graffiti sui muri.

 

Poi divenne chiaro che quei missili a Comiso, con il loro messaggio di deterrenza, ci avevano probabilmente salvato da fare la stessa fine della Polonia, della Cecoslovacchia e via invadendo.

 

Nessuno però di quei manifestanti a favore della pax sovietica ha sentito nel corso  degli anni il bisogno di un minimo di riflessione.

 

L’11 settembre del 2001 il terrorismo islamico che stava dilaniando le carni della popolazione israeliana, portava la strage nel cuore degli Stati Uniti.

 

Dopo una prima asciutta reazione per un’azione che disturbava gli schemi mentali di una sinistra diventata, come si dice ora, “antagonista” (ma in realtà reazionaria), il compianto per le quasi tremila vittime  americane lasciava molto presto il campo ad una accresciuta avversione per gli Stati Uniti, e non importa  chi sia alla presidenza.

 

Gennaio 2007. L’ampliamento della base militare americana in Italia ha provocato manifestazioni non dissimili a quelle per i Cruise di Comiso. Gli ultrà dell’antiamericanesimo ne hanno copiato pari pari la sceneggiatura malgrado non ci siano Cruise a Vicenza, ma solo una sorta di dormitorio per i 1800 militari USA in arrivo e che, a detta dei fieri oppositori, consumerebbero tanta acqua quanto trenta o quarantamila vicentini.

 

Vero è che nel vicino aeroporto militare sono sempre pronti al decollo gli aerei da combattimento. Ma un “non si sa mai” non è venuto in mente a nessuno? O forse proprio per questo?

 

Che questa nuova (o vecchia?) sinistra sia reazionaria lo dimostra l’avversione per qualsiasi passo verso il futuro. L’avversione per la TAV, per l’eolico, per gli impianti di gassificazione, per il nucleare, per le centrali (moderne) a carbone, per l’aumento  dell’età pensionabile, e così via.

 

La simpatia per i regimi medievali e totalitari è almeno pari all’odio contro l’Occidente, rappresentato al meglio con i suoi molti pregi e con i suoi difetti dagli Stati Uniti che continuano a costituire l’unica vera, e sia pure imperfetta, garanzia di difesa contro un pericolo mortale che non viene più da nord-est, ma da sud-est.

 

Ma l’Occidente – gli Stati Uniti ne fanno parte – tanto odiato, non siamo forse tutti noi? L’Europa non siamo noi?

 

E’ dunque una Europa in preda all’“odio di sé” che la spinge davvero verso la sua fine.

 

Il “Non toccate Caino”, va benissimo, ma ad Abele chi ci pensa? E per il reato commesso da Caino, cerchiamogli pure le attenuanti, magari della provocazione sia da parte del fratello che da quella di Dio, che palesemente gli preferiva Abele, non condanniamolo a morte  e nemmeno all’ergastolo, ma via, qualche anno di prigione vogliamo darglielo?

 

A meno che, s’intende, Abele, in preda a un suicida odio di sé, non se la sia andata proprio a cercare. E dunque muoia Abele e sia assolto Caino che in fondo ha ucciso solo l’altra parte di sé.

 


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