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Il Manifesto Rassegna Stampa
19.01.2007 Una legge razzista in Israele? No, un provedimento imposto dal terrorismo
ma Michele Giorgio preferisce ignorare il problema

Testata: Il Manifesto
Data: 19 gennaio 2007
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Spose arabe, Tel Aviv: respingere anche quelle di «stati nemici»»
Raccogliendo il maggior numero possibile di opinioni contrarie e rlegando a poche righe i dati forniti dallo Shin Beth Michele Giorgio sul MANIFESTO  del 19 gennaio 2007 presenta la legge israeliana che  nega ai palestinesi dei Territori  che sposano cittadini israeliani  la  cittadinanza o la residenza israeliana.
Nessuno degli avversari della legge citati da Giorgio, formula un'obiezione convincente alla reale giustificazione della legge, che è di sicurezza:
"Secondo lo Shin Bet", scrive lo stesso Giorgio, "38 attacchi suicidi su 272 (il 14%) sono stati portati a termine da palestinesi che avevano ottenuto la carta d'identità dello Stato ebraico sposando un arabo-israeliano. Per questo motivo - ha sostenuto nei giorni scorsi davanti alla Commissione interni il servizio segreto interno - è necessario, per la quarta volta da quando fu approvato, che il Parlamento rinnovi il provvedimento."

Ecco il pezzo completo:

Le ragazze siriane, irachene, libanesi e iraniane dovranno stare attente a non innamorarsi di un palestinese di Haifa o della Galilea. Anche per loro infatti potrebbe arrivare il divieto di cittadinanza in Israele in caso di matrimonio con un cittadino dello Stato ebraico. Lunedì il governo Olmert ha prorogato fino al 15 aprile 2007 la legge che nega ai palestinesi dei Territori occupati che sposano cittadini dello Stato ebraico (questi ultimi, salvo eccezioni insignificanti, sono arabi, 1.300.000 abitanti, il 19% della popolazione) la cittadinanza o la residenza israeliana. Approvata dalla Knesset nel 2003 e rinnovata ogni anno, la Nationality and entry into Israel law (temporary order) è oggetto in queste settimane di un dibattito parlamentare su modifiche che mirano ad allargarne la sfera di applicazione e che, secondo le associazioni di difesa dei diritti civili, sono fortemente lesive dei diritti della minoranza della popolazione. L'emendamento numero 2 prevede l'estensione del divieto ai cittadini di quelli che vengono definiti «stati nemici»: Siria, Iraq, Libano e Iran; a individui che, in base a valutazioni dell'esercito, risiedono in un'area geografica dove si svolgono attività che mettono in pericolo la sicurezza d'Israele; che la legge sia rinnovata ogni due anni e non annualmente.
«La modifica proposta rappresenta una violazione palese della Dichiarazione dell'Onu del 1992 sui diritti delle minoranze», dice Sawsan Zaher che per Adalah - l'organizzazione per i diritti umani che difende la minoranza araba in Israele (www.adalah.org) - sta seguendo l'iter della norma. «Un individuo che appartenga a una minoranza - spiega Zaher al telefono da Shafa'amr, in Galilea - ha diritto a stabilire e mantenere, senza alcuna discriminazione, contatti oltre frontiera con cittadini di altri stati a cui sia legato da legami nazionali, etnici, religiosi o linguistici». Entrata in vigore nel pieno della seconda intifada - quando gli attentatori suicidi palestinesi facevano strage nelle città israeliane - la legge colpisce la minoranza araba dello Stato ebraico costringendo gli arabo-israeliani a stare lontani dalle loro mogli/mariti residenti in Cisgiordania, Gaza o Gerusalemme est.
Secondo lo Shin Bet, 38 attacchi suicidi su 272 (il 14%) sono stati portati a termine da palestinesi che avevano ottenuto la carta d'identità dello Stato ebraico sposando un arabo-israeliano. Per questo motivo - ha sostenuto nei giorni scorsi davanti alla Commissione interni il servizio segreto interno - è necessario, per la quarta volta da quando fu approvato, che il Parlamento rinnovi il provvedimento. La legge ottenne il via libera definitivo il 14 maggio scorso, quando la Corte suprema (sei voti favorevoli, cinque contrari) respinse il ricorso di Adalah, di famiglie colpite dal provvedimento e membri della Knesset che ne chiedevano la cancellazione. Secondo Human rights watch quel giudizio «colpisce il diritto di migliaia d'israeliani a vivere con le proprie famiglie». L'organizzazione per i diritti umani statunitense ritiene che «l'Alta corte abbia approvato una legge che colpisce ingiustamente i cittadini israeliani di origine palestinese».
I cinque giudici di minoranza però confermarono la tesi di Adalah, giudicando la legge incostituzionale, perché nega alle famiglie arabe d'Israele diritti (primo fra tutti quello al ricongiungimento familiare) accordati invece alla maggioranza ebraica. Le mogli o i mariti non ebrei degli ebrei che emigrano in Israele in base alla Legge del ritorno hanno infatti automaticamente diritto alla cittadinanza. «Fu l'ex premier Ariel Sharon a parlare del vero principio ispiratore della legge: contrastare quella che lui definiva la minaccia demografica araba», commenta da Gerusalemme Joav Loeff, portavoce dell'Associazione per i diritti civili in Israele (Acri, www.acri.org). Il 4 aprile del 2005, durante una riunione dell'esecutivo - come riportato dal quotidiano Ha'aretz - Sharon dichiarò: «Non c'è bisogno di nascondersi dietro motivi di sicurezza. Si tratta di una necessità per l'esistenza di uno stato ebraico». L'ex ministro delle finanze, Benjamin Netanyahu, nello stesso incontro, disse: «Invece di facilitare l'accesso alla cittadinanza per i palestinesi, lo renderemo molto più difficile, per garantire la sicurezza e la maggioranza ebraica in Israele».
Ma per Loeff si tratta di «un provvedimento razzista, che mira a costruire una società divisa in due: il governo deve evitare che terroristi ottengano la cittadinanza, ma quest'esclusione deve avvenire su base individuale, non discriminando interi gruppi in base all'etnia d'appartenenza». «Stanno cercando di rendere la vita impossibile agli arabi - rincara la dose Sawsan Zaher - per spingerli ad abbandonare il paese dove sono nati».

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