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Il Giornale Rassegna Stampa
19.01.2007 Dopo le dimissioni di Halutz, l'esercito d'Israele imparerà dagli errori commessi
Fiamma Nirenstein intervista il generale Yaacov Amridor

Testata: Il Giornale
Data: 19 gennaio 2007
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il nuovo esercito imparerà dai troppi errori della guerra»
Dal GIORNALE del 18 gennaio 2007, un'intervista di Fiamma Nirenstein al generale Yaacov Amidror, che guida la commissione militare di indagine sui servizi segreti prima e dopo la guerra

Un capo di Stato maggiore, il Ramat Kal, come si dice con un acronimo, nell’immaginazione collettiva della società israeliana è più di un primo ministro: i soldati di leva affrontano la possibilità di morire sulla sabbia di Gaza o in un bosco del Libano misurando quanto ne valga la pena sul suo modo di parlare, di sorridere, di guardare negli occhi, di camminare, di essere cool e giusto al contempo. Dan Haluz sapeva stare fra i suoi ragazzi con autorevolezza e cameratismo. Ma ieri si è dimesso, e la società israeliana trattiene il respiro. Olmert ha espresso il suo rincrescimento, e in realtà, dopo tante critiche e attacchi, ora che il 58enne Dan Halutz ha deciso di andarsene con poche parole e nel rispetto dei tempi di un’ordinata successione, molti parlano della sua calma, della sua sincerità e purezza d’animo con un respiro di sollievo. Le grandi pulizie sono cominciate, Israele può ricominciare a lavorare sodo per il prossimo match. Halutz era un gran tipo, come si conviene a un aviatore di prima classe, crema della crema dell’esercito: che era stato capo delle schiere degli F16 e 15m, i delicatissimi uccelli che devono sapere discernere fra la prevenzione del terrorismo e la punizione collettiva guardando dalle nuvole e oltre. Era capace di fermare un’operazione in grande stile perché una donna palestinese stava attraversando una strada vicina all’obiettivo, ma anche di rispondere a un reporter «una vibrazione nelle ali del mio F16» quando quello gli chiese che effetto faceva il bum dell’esplosivo lanciato su una casa di Gaza durante un’operazione di eliminazione mirata. Aveva compiuto grandi operazioni (come l’eliminazione dello sceicco Yassin) e qualche guaio serio, quando oltre che all’obiettivo ci sono andati di mezzo dei civili. Durante la guerra, l’abbiamo incontrato cento volte sul campo in prima linea fra le katiushe che piovevano, ma il coraggio non gli è bastato a vincere la guerra. Dan Halutz non ha perso contro gli hezbollah, ma non ha vinto: non ne ha fermato i missili, non ha distrutto la forza di Nasrallah, né il suo rapporto con la Siria e l’Iran. Così, dopo tro mesi e mezzo di angoscia sostenuta con classe, si è dimesso. Israele è sottosopra. Halutz se n’è andato poche settimane prima del rapporto della commissione Vinograd, che mette sotto processo per la guerra sia militari che politici. Può portare alla frana di Ehud Olmert, il suo governo e la sua politica. È certo, come già si sente alle tv arabe, un’occasione di festa per Ahmadinejad, gli Hezbollah, Hamas. Annuisce all’osservazione e si accarezza la barba rispondendoci il generale delle Riserve Yaacov Amidror, che guida la commissione militare di indagine sui servizi segreti prima e dopo la guerra. È l’inizio di un terremoto? «La commissione di indagine concluderà il suo lavoro, e allora anche i leader del governo dovranno saper essere esempio di senso di leadership, come ha fatto il capo di Stato maggiore». Generale, le dimissioni di Halutz mandano ai vostri nemici in fondo un messaggio di confusione, di senso di sconfitta... Si rende conto della caduta di immagine dell’esercito israeliano? «I nostri nemici dopo un giorno di soddisfazione, sapranno riconoscere nelle dimissioni di Halutz il segnale della volontà assoluta di rimediare ai guasti e approntare di nuovo un esercito formidabile. È quello che faremo e che già stiamo facendo». Per arrivare, in Israele, alle dimissioni del Ramat Kal, i suoi errori devono davvero essere stati grandi. «Intanto, il motore primo di queste dimissioni è il fatto che la democrazia si esamina, si critica, si mette in discussione e permette il ricambio, anche in maniera brusca. I leader devono pagare per i loro fallimenti, totali o parziali, la democrazia impone che chi non colpisce l’obiettivo, paghi». Quella del Libano è stata una guerra perduta? «No, gli hezbollah hanno subito anche un duro smacco, ma abbiamo mancato alcuni obiettivi basilari. I missili, come ha visto, hanno seguitato a cadere su Israele fino all’ultimo giorno di guerra, e gli hezbollah non sono stati distrutti. Gli errori che hanno causato questo risultato? Il primo è stato quello di non aver capito che si doveva mobilitare subito gli uomini delle riserve; il secondo quello di non aver usato la fanteria per una penetrazione massiccia, di terra, del sud del Libano. Halutz si è fidato dell’aviazione, ha voluto evitare l’impantanamento delle truppe, e ha sbagliato». Immagino che il prossimo Ramat Kal non apparterrà all’Aviazione. I due candidati, adesso, sono Moshe Kaplinsky, il vice di Halutz, e Gabriel Ashkenazi, oggi direttore del ministero della Difesa. Uno dunque più interno e vicino a Olmert, l’altro al ministro della difesa Peretz, e più distante da Halutz. «Ambedue sono ottimi soldati, ambedue appartengono ai Golani, le nostre migliori divisioni di terra; ritengo che per il capo di Stato maggiore sia utile il suo rapporto operativo con le forze di terra». È stato sorpreso che Halutz abbia deciso di dimettersi dopo quattro mesi e mezzo, visto che varie volte aveva detto che non ne aveva intenzione? «No: la commissione ha quasi finito il lavoro, e anche tutta la progettazione del prossimo budget della difesa è stata terminata in questi giorni. Halutz ci ha lavorato alacremente, ha presentato i suoi risultati, lascia un tavolo ben ripulito dalle scorie del passato, un invito a lavorare ventre a terra per costruire un esercito molto migliorato, guarito. Ha dato con le sue dimissioni un magnifico esempio di responsabilità». Il prezzo è un terremoto. «Il risultato sarà l’opposto di un terremoto. Vede: la guerra di agosto da una parte è stata una disgrazia come tutte le guerre, dall’altra è stata una fortuna. Ci ha permesso di focalizzare quali danni ci aveva portato l’illusione del processo di pace, di guardare in faccia l’operatività dei nostri nemici, e l’assurdo clima di relax in cui ci eravamo messi, con la diminuzione della spesa per la difesa, il declino del lavoro di training delle riserve, la discesa dell’accuratezza della preparazione in tanti campi legati all’esercito. Halutz con le sue dimissioni chiude questa era e resta quel collega intelligente e coraggioso che ho sempre ammirato». Non servirà proprio un grande pilota al comando, se l’Iran non frenerà sul nucleare? «Le ricordo che fu Raful, Raphael Eitan, allora a distruggere il reattore di Osirac in Irak» Non pagate un prezzo troppo grande mentre tutti prevedono una prossima guerra molto vicina? «Anche Churchill si dimise in piena prima guerra mondiale, dopo i Dardanelli. In democrazia si paga, ci si dimette, si migliora, si vince la prossima battaglia». Ma la gente riacquisterà la fiducia nell’esercito? «Ho partecipato ora alle procedure di arruolamento delle leve: i giovani chiedono sempre di più di far parte di unità operative e speciali. E la gente, durante la guerra, nei bunker al caldo e nella paura dei missili, ci chiedeva di andare avanti, non di fermarci».

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