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Il Manifesto Rassegna Stampa
17.01.2007 Odio contro Israele e contro l'America
non manca mai sul quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 17 gennaio 2007
Pagina: 10
Autore: Michele Giorgio - Marco Revelli
Titolo: ««Ultimo ingresso». E Israele si blinda sempre più - L'offesa di Vicenza»

Mentre il premier israeliano Olmert chiede all'esercito israeliano di favorire il passaggio dei palestinesi verso Israele Giorgio, sul MANIFESTO del 17 gennaio 2007,  si concentra sui visti concessi a cittadini stranieri, arabi o no (spesso membri di organizzazioni non-governative antisraeliane).
Prima ancora che ci sia stato il tempo di verificare l'applicazione di una misura distensiva decisa da Israele occorre squalificarla e denunciare, sulla base di dati statisticamente vaghi e non verificati, qualche altro presunto "abuso".
Occorre sottolineare che le persone di cui scrive Giorgio non sono cittadini dell'Autorità palestinese, si trovano in cisgiordania con visti turistici. Sono cittadini di altri stati. Nei comportamenti restrittivi di Israele (adottati in una situazione di conflitto) non vi è dunque nulla di illegale.
Ecco l'articolo di Giorgio:

Perlustrando il percorso del muro ieri il premier israeliano Ehud Olmert predicava flessibilità. Al valico di Ephraim, costruito nove mesi fa e diventato il principale terminal per quei pochi palestinesi che ogni giorno entrano in Israele dal nord della Cisgiordania, ha anche sollecitato le autorità responsabili a prorogare l'orario di apertura. Peccato che non mostri altrettanto interesse per le tragedie che al ponte di Allenby (tra Cisgiordania e Giordania) all'aeroporto di Tel Aviv e ad altri valichi, sta causando a decine di migliaia di palestinesi.
I comandi israeliani sostengono di aver adottato una linea più morbida, in modo da consentire l'ingresso o il rientro nei Territori occupati ad un numero maggiore di palestinesi e stranieri ma poco o nulla è cambiato rispetto a qualche mese fa. Un numero enorme di persone rischiano l'espulsione. A denunciarlo è stata ieri, con una conferenza stampa a Ramallah, la Campagna per il diritto all'ingresso nei Territori occupati palestinesi. «Il coordinatore israeliano per i Territori occupati, Yossef Mishlev, a fine dicembre aveva inviato una lettera a Saeb Erekat (consigliere del presidente Abu Mazen) per informarlo che Israele avrebbe allentato le sue misure restrittive, ma sul terreno è come prima», ha protestato l'avvocato Ghassan Abdallah, che guida la campagna. «Genitori con i figli in braccio vengono respinti alla frontiera nonostante abbiano vissuto per anni in Cisgiordania oppure vengono avvertiti che non potranno tornare più quando usciranno la prossima volta per rinnovare il loro visto».
Israele, che ha occupato militarmente Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est nel 1967,

i territori sono stati conquistati da Israele nel corso di una guerra di difesa: Giorgio non lo ricorda mai 

continua ad avere il pieno controllo del registro della popolazione palestinese. Ogni singolo documento anagrafico deve ottenere l'approvazione di Israele, che controlla tutti gli accessi alla Cisgiordania. Decine di migliaia di palestinesi - 120mila secondo i dati in possesso di Abdallah - vivono nei Territori occupati con visti turistici (con una validità di tre mesi) o più spesso con documenti scaduti che le autorità israeliane rifiutano di rinnovare. Di recente molti palestinesi e cittadini stranieri (anche occidentali) che risiedono o lavorano in Cisgiordania con il visto turistico emesso da Israele si sono visti stampare «Ultimo ingresso» sul passaporto. Ciò significa che passati tre mesi dovranno lasciare i Territori occupati e non farvi più ritorno. «Sono sposata da sette anni con un abitante di Ramallah e sono madre di due bambini. Non ho mai ricevuto il permesso di residenza permanente e continuo ad andare in Giordania ogni tre mesi per rinnovare il visto. Ora i militari israeliani mi hanno avvertito che non riceverò altri permessi. Ho detto che non possono staccarmi dai miei bambini, loro hanno risposto di portarli via con me», ha raccontato Haniya A., nata a Ramallah ma cresciuta negli Usa. Il provvedimento ha colpito anche cittadini europei, tra cui diversi italiani, e statunitensi sposati con palestinesi. L'intervento dell'Unione europea ha impedito l'espulsione silenziosa dei cittadini occidentali che, si dice, presto riceveranno visti della durata di 27 mesi.
I palestinesi denunciano che sono favoriti solo coloro che non hanno origini arabe. «I palestinesi sono in pericolo anche se hanno un passaporto europeo o americano. Se le persone interessate sono occidentali senza origini palestinesi, allora hanno buone speranze di vedersi rilasciare questo visto di lungo periodo di cui si parla», ha affermato Kamal Qaisi, un palestinese con cittadinanza italiana residente a Betlemme. L'ultima «novità» riguarda il «doppio visto». In futuro gli stranieri che vorranno entrare in Cisgiordania, una volta giunti in Israele dovranno chiedere un permesso. Ciò accade già per Gaza e proprio tenendo presente quella situazione, è ovvio che il provvedimento impedirà a volontari, pacifisti, ricercatori, docenti universitari e tanti altri stranieri, di entrare in Cisgiordania.

Alla propaganda antisraeliana il MANIFESTO unisce, in prima pagina, l'antiamericanismo di Marco Revelli, (che lui preferisce chiamare  "capacità di giudizio" o "istinto di conservazione" ).
L'occasione è fornita dalla polemica sulla base di Vicenza. Revelli è ovviamente per buttare a mare le basi americane.
Vecchi slogan dettati da odi da guerra fredda che ora vengono ripresentati come dettati dalla necessità e dalla drammatica urgenza di tirarci fuori al più presto dalla guerra al terrorismo.
I raid contro Al Qaeda in Somalia sono secondo Revelli "l'immagine della potenza dei primi - dei più ricchi, dei più forti - scaricata ad annientare gli ultimi, i più poveri della terra, i più invisibili, quelli delle capanne tra le paludi".
Non ha importanza che sia stato il governo somalo a chiedere l'intervento americano.
Non ha importanza che l'obiettivo dei raid non fossero certo poveri abitanti di capanne tra le paludi, ma terroristi fanatici.
Gli Stati Uniti non hanno, semplicemente, il diritto di difendersi.
Perché sono troppo ricchi, troppo forti, troppo liberi. E troppo colpevoli di tutte queste cose.
E poi vorrebbero farci credere che l'"antiamericanismo" non c'entra nulla.
Ecco il testo:

Non necessariamente i governi si giudicano dai grandi gesti di coraggio. Ma dai piccoli atti di viltà sì. E quello di Vicenza è un mediocre, umiliante - e anche gratuito - atto di viltà.
Assistiamo ormai quotidianamente allo spettacolo grottesco che un presidente americano allo sbando, abbandonato dai suoi stessi elettori, infligge al mondo intero. Ai sacrifici umani di Baghdad. Alle mattanze somale, se possibile ancor più scandalose nel loro mettere in scena, sul palcoscenico globale, l'immagine della potenza dei primi - dei più ricchi, dei più forti - scaricata ad annientare gli ultimi, i più poveri della terra, i più invisibili, quelli delle capanne tra le paludi. Tutto il mondo può vedere ormai, ad occhio nudo, il disastro morale, umano, politico di quella pratica. E non è questione di anti-americanismo o di filo-americanismo. Si tratta qui dell'aver conservato o meno un brandello di capacità di giudizio. O anche semplicemente un residuo d'istinto di conservazione.
Abbiamo, dall'altra parte, un territorio - come quello vicentino - che si difende. Che da mesi si mobilita e resiste. Non per ostilità politica. Per tutelare la propria quotidianità. Non c'era nessuna necessità di ruere in servitium, alla velocità del fulmine. E di prostrarsi in ginocchio dal potente alleato col dono in mano, solo perché dall'altra parte dello schieramento politico qualcuno ha pronunciato la parola magica e tanto temuta - «anti-americanismo» -, e ha richiamato agli impegni (da lui, dal «suo» governo) assunti. «I patti vanno rispettati», sussurra il cavaliere disarcionato. Ma quali patti? Quelli assunti dal vecchio governo con l'amico George? O quelli stipulati dall'Unione con i propri elettori, quando servivano per vincere? O, ancora, quelli che dovrebbero legare un governo ai propri cittadini in un rapporto di responsabilità e di fiducia? Perché mai il «patto» con Washington dovrebbe valere di più di quello con gli elettori di Vicenza, abbandonati da Prodi alla loro «questione urbanistica»? In nome di quale «Ragion politica», umiliarli e frustrarli, ostentando questa incapacità e indisponibilità all'ascolto?
C'è, in questo paese, un tessuto civile che ancora, nonostante tutto, resiste, vuole crederci, si indigna e vorrebbe partecipare. E' ciò che resta delle grandi mobilitazioni di quattro anni fa. Il residuo solido della «seconda potenza mondiale» che aveva tentato di inceppare la macchina bellica globale. E' l'Italia che gli oligarchi di Caserta, chiusi nella propria reggia, si ostinano a non vedere. Né ascoltare. Sarebbe una risorsa non solo per una sinistra che volesse degnarla di uno sguardo, ma per la comatosa democrazia post-contemporanea. Ma sta al limite. Sente crescere dentro di sé frustrazione e disprezzo, di fronte all'impenetrabilità del «politico».
Ancora poco e ogni comunicazione verrà interrotta. Ci si guarderà, esplicitamente, come «nemici» tra chi sta dentro la reggia e i suoi codici lobbistici e chi sta nella vita, senza mezzi per difenderla. Perché aggiungere alla distanza abissale costruita con ostinata sicumera, anche la derisione?
Ci si conquisterà, forse, una critica in meno sul Corriere della sera. Ma si perderà, con certezza, un bel pezzo di futuro.

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