Iraq: l'offensiva voluta da Bush non parte Maurizio Molinari spiega i retroscena di conflitti interni al Pentagono
Testata: La Stampa Data: 17 gennaio 2007 Pagina: 14 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Burocrati e generali fanno naufragare l'offensiva di Bush»
Dalla STAMPA del 17 gennaio 2007:
«Vi sono delle resistenze dentro il Pentagono allo svolgimento delle procedure e della logistica per consentire l’invio dei rinforzi in Iraq». Parlando dagli schermi della Cbs è il senatore repubblicano dell’Arizona, John McCain, ad alzare il velo sul braccio di ferro al ministero della Difesa, che vede il nuovo titolare Robert Gates alle prese con la struttura di comando ereditata da Donald Rumsfeld. A Capitol Hill l’aumento di 21.500 uomini deciso dalla Casa Bianca è soprannominato «dottrina McCain» per via del fatto che proprio il senatore ex prigioniero di guerra in Vietnam è stato il primo a sostenerne la necessità. Ora però l’applicazione della «dottrina McCain» si scontra con generali, ufficiali e sottoufficiali che negli ultimi tre anni hanno applicato la strategia di Rumsfeld, contraria ad un aumento di truppe. «Nessuno si oppone allo scoperto ma chi lavora nella burocrazia sa come fare per ritardare le cose», ha aggiunto McCain. Il braccio di ferro spiega il ritardo nell’arrivo a Baghdad di David Petraeus, nuovo comandante delle truppe in Iraq al posto di George Casey, come anche del grosso delle cinque brigate dell’Us Army destinate ad affiancarsi nella capitale a reparti iracheni e dare la caccia alle milizie. A far conoscere l’umore degli ufficiali al fronte è stato Ray Odierno, destinato ad essere il nuovo vice di Petraeus, rilasciando alla Abc un’intervista nel quale ha ammonito che «il tempo utile per intervenire con efficacia sta per scadere» a causa del deterioramento della situazione politica «tanto in Iraq che negli Stati Uniti». Fra Petraeus e Odierno non scorre buon sangue dal 2003, quando il primo a Mosul impiegava i suoi uomini in mansioni di amministrazione civile per stabilizzare l’area mentre Odierno adoperava il pugno di ferro fronteggiando la guerriglia nel Triangolo sunnita. Proprio perché sostenitori di metodi militari opposti, Gates li ha voluti affiancare alla guida delle truppe, ma le prime scintille lasciano intendere che la convivenza potrebbe essere delicata. «Non ho idea se questo aumento di truppe sia o meno l’ultima possibilità per stabilizzare l’Iraq, ma di certo la nostra presenza qui non sarà illimitata nel tempo», ha detto Odierno, spingendosi fino a fare considerazioni politiche come auspicare l’«assorbimento delle milizie nell’esercito iracheno» ed esprimere il timore che le Nazioni Unite possano alla fine del 2007 approvare regole di ingaggio che potrebbero limitare di molto le operazioni militari sul territorio. Stretto fra le resistenze della burocrazia militare a Washington e l’accelerazione di tempi invocata da Odierno, Robert Gates si è visto recapitare ieri una petizione anti-guerra firmata da oltre mille soldati favorevoli ad un ritiro immediato delle truppe. All’origine dell’iniziativa c’è un gruppo di cinquanta soldati, inclusi alcuni veterani di «Iraqi Freedom», che hanno chiesto al Congresso di Washigton «non di aumentare le truppe ma di portare i soldati a casa». Il documento è stato consegnato nelle mani del deputato democratico dell’Ohio Dennis Kuchinich, esponente dell’ala più pacifista del partito, che si è a sua volta impegnato a recapitarlo al Pentagono. «In considerazone dell’iniziativa di aumentare le truppe il Congresso farebbe bene ad ascoltare noi che in Iraq ci siamo stati», ha scritto il marinaio Jonathan Hutto, co-fondatore del gruppo «Appeal for Redress», sottolineando come «mandare più militari non farà altro che moltiplicare gli obiettivi da colpire per terroristi ed insorti». Sottoscrivendo la petizione al Congresso i veterani si sono richiamati ad appositi regolamenti che già consentirono iniziative simili ai tempi della guerra in Vietnam, e ciò appare destinato a favorire l’iniziativa dei leader democratici che si preparano a far votare, dal Senato e dalla Camera, mozioni non-vincolanti contrarie alle svolta strategica proposta da George W. Bush. L’obiettivo della maggioranza parlamentare è di far venire il più possibile allo scoperto i dissensi interni alle fila repubblicane per aumentare l’isolamento della Casa Bianca ed obbligare Bush alla marcia indietro. Inoltre, senza un consistente numero di defezioni repubblicane - tanto al Senato quanto alla Camera - i democratici non dispongono dei due terzi di voti necessari per rovesciare un eventuale veto del presidente a leggi che potrebbro bloccare lo stanziamento di fondi per le operazioni in Iraq. Anche la copertina del «New Yorker», che descrive Bush come un novello Nerone fra le fiamme di Bahdad, punta a rimarcare la solitudine del presidente.
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