I piani sauditi, i contatti israelo-siriani, smentiti dietro le quinte della politica mediorentale
Testata: Il Foglio Data: 17 gennaio 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Anche l'Iran si accorge che Riad lavora a un piano a sorpresa»
Dal FOGLIO del 17 gennaio 2007:
Gerusalemme. L’Arabia Saudita non fa nulla per nascondere di essere il centro organizzativo per la costruzione di un fronte antiiraniano e d’appoggio alla strategia dell’Amministrazione Bush in Iraq. Attorno alla corte saudita, i leader del regno e Condoleezza Rice, che due giorni fa era a Riad, cercano di raggruppare i regimi sunniti che temono l’espansione dell’influenza della Teheran sciita, e atomica, e il crescere delle milizie sciite, armate dall’Iran, a Baghdad. Il piano non sfugge alla Repubblica islamica che ha inviato il mediatore nucleare, Ali Larijani, a Riad, a farsi fotografare col sovrano saudita. L’iraniano arriva munito di una lettera, firmata dalla guida suprema Ali Khamenei e dal presidente Mahmoud Ahmadinejad, in cui si chiederebbe a Riad di intercedere con Washington per calmare le tensioni tra Stati Uniti e Repubblica islamica. Teheran smentisce. Se in superficie ci sono i sorrisi per le telecamere, in profondità rimangono le paure di Riad. Ad Abdallah, re saudita, non piace che Hezbollah, gruppo sciita, finanziato da Teheran, tenga in ostaggio il governo eletto in Libano. All’indomani dell’attacco delle milizie del Partito di Dio contro i soldati d’Israele, paese che Riad non riconosce, il regno criticò in maniera inedita l’azione. Pochi giorni fa, una delegazione saudita avrebbe incontrato membri di Hezbollah. Riad non vuole che i suoi alleati di Beirut, gli Hariri e il premier Fouad Seniora, perdano terreno. Il regno ha un altro fronte di cui preoccuparsi: non vuole che Washington ritiri le sue truppe e lasci l’Iraq in mano alle milizie di Moqtada al Sadr. Lo ha scritto, poco dopo il successo dei democratici americani nel voto di mid-term, sul Washington Post, uno dei consiglieri per la sicurezza dell’ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti. Nawaf Obaid ha minacciato: se gli americani lasciassero l’Iraq, i sauditi sarebbero costretti a intervenire nel paese. E’ stato licenziato e l’ambasciatore saudita a Washington, Turki al Faisal, poco dopo, ha dato le dimissioni. Dick Cheney, vicepresidente americano, è arrivato subito dopo a Riad. Gli hanno detto che il regno è pronto a fare con i suoi petrodollari quello che già fa l’Iran, ma sul fronte sciita: finanziare i sunniti iracheni, armarli. Cheney ha fatto seguire alla sua visita di fine novembre quella del segretario di stato Rice per andare avanti con la costruzione di un piano su cui poggia la nuova strategia in Iraq. L’Arabia Saudita vuole un ruolo forte. Non ha più complessi davanti al mondo arabo. Non ospita più basi americane sul suo territorio. Ha soldi e autorità religiosa. Ha annunciato con altri stati del Golfo una corsa nucleare per non rimanere a guardare quella di Teheran. Ha chiesto, e ottenuto, che il summit del 2007 della Lega araba sia a Riad. L’altro fronte è quello del conflitto israelopalestinese. Da Israele è partita la visita di Rice. Sono diverse e recenti le notizie su contatti segreti tra sauditi e il governo israeliano; il premier Ehud Olmert ha fatto aperture sull’iniziativa saudita del 2002: terra in cambio del riconoscimento arabo d’Israele. “Riad ha interesse a riempire il vuoto tra Israele e Libano e Israele e palestinesi”, dice al Foglio Amatzia Baram, direttore del Meir & Miriam Ezri Center for Iran and Persian Gulf Studies dell’università di Haifa. Anche per questo, pochi giorni fa, l’alleato egiziano ha lasciato che il premier palestinese Ismail Haniye entrasse a Gaza con 20 milioni di dollari sauditi per Hamas, gruppo sostenuto economicamente dall’Iran: per rubare a Teheran il monopolio del movimento. Sono in molti a pensare che lo stesso meccanismo, di allontanamento, questa volta della Siria dall’Iran, sia alla base della pubblicazione, sulla stampa israeliana, ieri, di indiscrezioni sui contatti, tra 2004 e 2006, tra israeliani e siriani, culminati nella bozza di un dettagliato documento su un possibile accordo di pace, sfumato con l’inizio della guerra tra Hezbollah e Israele.
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