Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Alla sicurezza Israele non può rinunciare Tulia Zevi risponde a Massimo D'Alema
Testata: Corriere della Sera Data: 14 gennaio 2007 Pagina: 11 Autore: Dino Martirano Titolo: «Noi ebrei democratici non possiamo non stare con Israele»
Di seguito, un'intervistadel CORRIERE della SERA a Tulia Zevi, a proposito del testo di D'Alema da noi riportato a questo link:
ROMA — «Questo è lo stile di D'Alema e, un po' in generale, quello degli ex comunisti che spesso sentenziano. Io, infatti, mi domando perché mai si debbano generalizzare l'atteggiamento e le reazioni degli ebrei della diaspora nei confronti dello Stato di Israele? Ognuno di noi ha la sua testa e ci può esser anche qualche disagio davanti alle scelte di Israele ma, ricordiamolo, un Paese senza sicurezza e senza meccanismi di autodifesa non può esistere». Parla così Tullia Zevi, ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, commentando l'introduzione di Massimo D'Alema al volume «Donna, ebrea, comunista» di Bice Foà Chiaromonte in cui il ministro degli Esteri torna a sostenere una tesi che gli è cara. Eccola: «Io non ritengo positivo che le comunità ebraiche abbiano perduto la capacità di esercitare uno stimolo critico sulla politica israeliana affinché la classe dirigente possa affrontare il futuro non soltanto in chiave di sicurezza ma anche di costruzione di una pace che non può non essere basata sulla convivenza con i vicini». Tullia Zevi, che abita nel vecchio Ghetto di Portico d'Ottavia dove non è raro vedere le bandiere d'Israele appese alle finestre, parte da lontano per smontare l'accusa: «Dopo il vissuto del nostro millennio c'è poco da fare sull'elaborazione dell'esistenza di Israele. Un Paese che è sorto come una necessità perché, nella civilissima Europa, erano stati sterminati sei milioni di ebrei dei quali un milione e mezzo bambini. Ecco perché l'esigenza di una identità nazionale emerge con più prepotenza». Era già successo a metà novembre quando D'Alema era stato accusato dall'ex direttore dell'«Unità», Furio Colombo, a causa di un'intervista «troppo sbilanciata» contro Israele. E sempre due mesi fa, il ministro degli Esteri suscitò il risentimento di un «diessino dilaniato» come Victor Magiar che non aveva digerito la sua «chiamata in correità» della comunità ebraica nella valutazione sulle responsabilità del conflitto mediorientale. A tutto questo, il responsabile della Farnesina rispose, contrattaccando: «Sono processi alle intenzioni, cacce alle streghe di cui non si sente proprio il bisogno... Visto che noi, in Italia, stiamo applicando l'embargo contro i palestinesi. Da questo punto di vista la nostra posizione non è equanime. E' dalla parte di Israele». Ecco, con questo precedente, non deve apparire strano che Tullia Zevi reagisca con qualche perplessità alla nuova sortita sul tema del ministro degli Esteri. Stavolta, a riaccendere il dibattito è la prefazione di D'Alema al volume di Bice Foà Chiaromonte — la compagna Bice che ha condiviso la sua vita con Gerardo Chiaromonte, uno dei più raffinati dirigenti del Partito comunista italiano - ma la sostanza non cambia. Scrive dunque D'Alema: «In Italia, il rapporto tra mondo ebraico, impegnato nella vita della comunità, e la sinistra... è anche di stimolo critico, attraverso mille canali, sugli israeliani perché possano muovere verso un orizzonte diverso rispetto alla politica che hanno fatto fin qui. Una politica miope soprattutto per loro perché, se un Paese vive circondato da cinquecento milioni di persone che ti odiano, anche avere le bombe atomiche non è una garanzia definitiva di sicurezza. Se fossi un governante israeliano avrei come principale obiettivo creare uno Stato palestinese». Tullia Zevi concorda sulla necessità della creazione di uno Stato palestinese solido, anche se «devono maturare ancora i tempi». Ma sull'esigenza di sicurezza non ammette cedimenti: «E' vero, basta guardare la carta geografica per capire che uno Stato nazionale senza confini sicuri e senza meccanismi di autodifesa non può avere futuro». Questo dice Tullia Zevi che ha alle spalle una storia esemplare. Figlia di un avvocato liberale della migliore borghesia illuminata milanese, da ragazza fu costretta a riparare in Svizzera, in Francia e negli Stati Uniti, dove si guadagnò da vivere anche suonando l'arpa con l'orchestra di Frank Sinatra, per sfuggire alle leggi razziali volute dal fascismo. E ora Massimo D'Alema si rivolge proprio a quegli ebrei democratici che hanno fatto la storia del XX secolo: «In questo libro c'è anche la grande testimonianza di un mondo ebraico democratico che oggi io vedo meno forte, meno protagonista, meno in grado di esprimersi nel dibattito pubblico».
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