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La Stampa Rassegna Stampa
12.01.2007 Il governo Prodi raggela i rapporti Italia- Usa
un articolo di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 12 gennaio 2007
Pagina: 35
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «ITALIA-USA Gelo sull'alleanza»
Da La STAMPA del 12 gennaio 2007:

La possibile cancellazione del progetto di allargamento della base Usa di Vicenza e i disaccordi sui raid anti-Al Qaeda in Somalia hanno fotografato nelle ultime novantasei ore tensioni crescenti fra Italia e Stati Uniti sui temi della sicurezza ovvero su quello che dal 1945 è stato il perno del legame di alleanza.
Nel caso di Vicenza l’ampliamento della base militare rientra in un ampio riassetto delle truppe americane in Eurasia progettato per fare fronte alle sfide del dopo-Guerra Fredda, ovvero alla dissoluzione dell’Unione Sovietica sostituita dalle minacce provenienti da gruppi terroristici e armi di distruzione di massa situati nel Grande Medio Oriente.
Scegliendo di potenziare le strutture di Vicenza, l’amministrazione Bush ha inteso mettere in rilievo la maggiore importanza strategica del Mediterraneo rispetto all’Europa centrale e, in tale contesto, l’alleanza privilegiata con l’Italia negli equilibri globali del dopo-11 settembre 2001. Ma ora non comprende perché Roma esiti ad assumersi tali responsabilità. Sempre con l’11 settembre hanno a che vedere i disaccordi sulla Somalia, ribaditi ieri dalle parole pronunciate dal presidente del Consiglio, Romano Prodi, a Caserta.
Dare la caccia ai leader di Al Qaeda in ogni angolo del pianeta è la missione che l’America si è data per evitare nuovi Ground Zero - la morte di oltre tremila civili causata dai kamikaze di Osama bin Laden - e le critiche ai blitz, arrivate prima dalla Farnesina e poi da Palazzo Chigi, hanno destato a Washington sorpresa e disappunto, non solo perché negli ultimi cinque anni la comunità internazionale - Nazioni Unite, G-8, Unione Europea e Nato - ha più volte identificato in Al Qaeda un pericolo collettivo, ma anche alla luce del fatto che le autorità di Mogadiscio hanno formalmente chiesto al Pentagono di continuare gli attacchi contro i terroristi islamici al fine di ripristinare la sovranità sull’intero territorio.
Se a tutto ciò aggiungiamo la persistente richiesta dei comandi Nato all’Italia per poter usare «senza caveat» le nostre truppe nell’Afghanistan del Sud contro i taleban, diventa chiaro come la guerra al terrorismo sia oramai il vero banco di prova delle relazioni bilaterali. Ed è qualcosa che va ben oltre i rapporti fra i due governi perché l’America è compatta nella lotta ad Al Qaeda a dispetto della spaccatura sull’intervento in Iraq.
Incomprensioni politiche e disaccordi strategici sulla visione del mondo nel dopo-11 settembre rischiano di far dimenticare in fretta a Washington l’intesa bilaterale raggiunta nell’estate sull’invio delle truppe Onu in Libano del Sud e spiegano forse anche perché, a nove mesi dalla vittoria del centrosinistra, continua a slittare l’invito della Casa Bianca per il presidente del Consiglio, Romano Prodi.
Ma non è tutto. Basta varcare la soglia del Dipartimento di Stato o del Pentagono per accorgersi che nel dopo-11 settembre anche l’impatto delle crisi diplomatiche è differente. Se durante la Guerra Fredda lo Stivale mediterraneo era una piattaforma logistica insostituibile lungo le frontiere Est e Sud della Nato, e ciò assegnava de facto ai governi di Roma un ruolo di primo piano sulla scena internazionale, oggi la situazione è mutata perché gli Stati Uniti possono contare su molteplici opzioni strategiche per affrontare le minacce che provengono dal Grande Medio Oriente: non solo per la disponibilità dei governi delle nuove democrazie dell’Europa dell’Est - a cominciare da Bulgaria e Romania, appena entrate nell’Unione Europea -, ma anche per l’espansione della presenza in Africa sub-sahariana, evidenziata dall’imminente formazione del nuovo comando militare «Afrcom».

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